L’uccisione di un bambino palestinese di due anni in Israele
I soldati israeliani sostengono di avere sparato a Mohammed Tamimi per errore: ma c'è scetticismo sui risultati delle indagini
Un bambino palestinese di due anni e mezzo, Mohammed Tamimi, è stato colpito alla testa giovedì scorso da un cecchino delle forze armate israeliane ed è morto pochi giorni dopo in ospedale per le ferite riportate. Il fatto è avvenuto nel piccolo paese di Nabi Saleh in Cisgiordania (uno dei territori palestinesi occupati da Israele, nella parte sudorientale dello stato), che si trova nei pressi della colonia israeliana di Neveh Tzuf, a nord di Ramallah.
Le colonie israeliane sono insediamenti costruiti all’interno dei territori palestinesi occupati da Israele – Gerusalemme est e Cisgiordania – dalla fine della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Gran parte della comunità internazionale le ritiene una violazione del diritto internazionale. Israele sostiene che quei territori appartengano al proprio popolo per ragioni culturali e religiose e, benché molto discussa, la formazione di nuovi insediamenti è appoggiata dal governo di destra guidato da Benjamin Netanyahu. I palestinesi li contestano e dall’inizio della storia di Israele queste estensioni di occupazione sono accompagnate da scontri violenti e tensioni quotidiane: spesso le colonie e i suoi abitanti vengono attaccati dai palestinesi, e i coloni stessi compiono atti di violenza o ritorsione nei loro confronti.
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Secondo un’indagine militare ancora in corso, giovedì sera due uomini palestinesi armati avrebbero sparato in direzione di Halamish, un insediamento a sua volta vicino a Nabi Saleh, dove si trovavano il bambino e suo padre. In risposta, un soldato israeliano in un posto di guardia poco distante avrebbe sparato diversi colpi contro un’auto da cui credeva – erroneamente – fossero partiti gli spari ma dove si trovavano Mohammed Tamimi e suo padre.
Il padre, anche lui ferito ma non gravemente, ha riferito al giornale israeliano Haaretz che stava entrando in auto con il figlio quando sono arrivati gli spari e che prima di quel momento non c’erano stati spari. Altri residenti che hanno parlato con Haaretz hanno confermato la sua versione. In una dichiarazione l’esercito israeliano ha riconosciuto il fatto – dichiarando il proprio «rammarico» e l’impegno per «prevenire simili incidenti» – ma ha detto che c’erano stati degli spari prima che il bambino venisse colpito. Nelle proteste e tensioni che sono seguite, i soldati israeliani hanno sparato ancora nel villaggio ferendo almeno altre due persone.
Il funerale di Mohammed Tamimi si è tenuto tra Ramallah e Nabi Saleh martedì: ci sono state proteste e nuovi scontri in cui i militari israeliani hanno ferito altre persone. Il ministro degli Esteri dell’Autorità palestinese ha rilasciato una dichiarazione in cui ha accusato Israele di essere responsabile della morte di 28 bambini palestinesi dall’inizio dell’anno, e ha sostenuto che l’indagine israeliana avviata sul caso serva solo per coprire e proteggere i ranghi politici e militari presenti sul territorio.
Raramente alle indagini da parte dell’esercito sono seguite incriminazioni o azioni penali: secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, tra il 2017 e il 2021 solo il 21,4 per cento delle denunce si è convertito in indagini e tra quelle solo 11 (il 4,4 per cento) hanno portato a processi. In un commento su Haaretz lo scrittore e giornalista israeliano Gideon Levy, da sempre critico nei confronti dell’occupazione dei territori palestinesi, ha scritto che probabilmente anche questa volta non ci saranno conseguenze né verranno prese decisioni per evitare che ricapiti.