I governi europei hanno trovato un accordo sulla riforma del Regolamento di Dublino
È una riforma poco ambiziosa, che restringe i diritti dei migranti: prima di entrare in vigore dovrà passare dal Parlamento Europeo
Giovedì i ministri dell’Interno dei paesi dell’Unione Europea riuniti in Lussemburgo nel Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui siedono i rappresentanti dei 27 governi dell’Unione, hanno trovato un accordo sulla riforma del regolamento di Dublino, la norma europea che regola la gestione di migranti e richiedenti asilo. L’accordo è stato trovato al termine di un negoziato durato molti mesi, ma per entrare in vigore dovrà essere approvato nei prossimi mesi dal Parlamento Europeo.
I contenuti dell’accordo non sono ancora stati diffusi dal Consiglio: i giornalisti che hanno letto le bozze parlano di una riforma assai meno ambiziosa di quella proposta dal Parlamento Europeo nel 2018 e mai approvata dal Consiglio, cioè dai governi dell’Unione.
La riforma approvata giovedì prevede che in caso di ingenti arrivi di richiedenti asilo una quota venga trasferita in altri paesi. Non tutti però parteciperanno a questi ricollocamenti: i governi potranno scegliere di pagare una certa cifra per ogni richiedente asilo che non accoglieranno. Nella proposta del 2018 i ricollocamenti erano obbligatori per tutti i paesi dell’Unione, punto molto osteggiato dai paesi dell’Est storicamente ostili alla migrazione dal Nord Africa e dal Medio Oriente.
Ai paesi di frontiera come l’Italia, la Grecia e la Spagna verrà poi chiesto di rafforzare i controlli per evitare i cosiddetti movimenti secondari, cioè gli spostamenti dei richiedenti asilo verso i paesi del Nord: al momento il regolamento di Dublino prevede che la richiesta di asilo venga esaminata nel primo paese di ingresso, ma spesso questi paesi lasciano passare i richiedenti asilo per non assumersi l’onere di esaminare le loro richieste.
L’Italia poi aveva chiesto maggiori garanzie sui cosiddetti “paesi terzi”, cioè i paesi di transito dei migranti che cercano di arrivare in Europa, per favorire eventuali accordi sulla gestione dei migranti. Dal 2017 l’Italia ha accordi molto controversi con le autorità libiche affinché le milizie locali fermino le partenze dei migranti che cercano di arrivare via mare in Europa. Diverse inchieste giornalistiche e di organizzazioni internazionali hanno ricostruito che le milizie libiche gestiscono centri di detenzione per migranti in cui le violenze, le torture e gli stupri sono sistematici. La cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata dall’Italia e dall’Unione Europea, intercetta e riporta in questi centri i migranti che individua al largo delle proprie coste.
A quanto sembra l’Italia ha ottenuto che in futuro questi accordi possano essere più semplici, come ha spiegato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. «Volevamo che non passassero formulazioni dei testi che depotenziassero la possibilità di fare accordi con paesi terzi, sempre nell’attuazione della proiezione sulla dimensione esterna», ha detto Piantedosi alla fine dell’incontro del Consiglio.
Nei giorni scorsi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto un viaggio di stato in Tunisia, che nel 2023 è diventato il principale paese di partenza per i migranti che cercano di raggiungere via mare l’Italia. Il governo ha fatto capire che vorrebbe negoziare con la Tunisia accordi simili a quelli in vigore con la Libia, che prevedano inoltre procedure più rapide di respingimento per i migranti che a una valutazione superficiale non sembrano avere i requisiti per potere ottenere l’asilo. Da tempo gli esperti di migrazione e accoglienza ritengono che norme come questa possano impedire che una richiesta d’asilo venga esaminata con l’accuratezza prevista dalle norme italiane ed europee.
L’accordo trovato giovedì sarà discusso nelle prossime settimane dal Parlamento Europeo. Per approvarlo definitivamente ci sarà tempo fino ai primi mesi del 2024: a giugno poi si terranno le elezioni europee, con cui verrà rinnovato il Parlamento Europeo.
L’accordo di oggi è stato raggiunto con un voto a maggioranza qualificata: non tutti i paesi hanno votato a favore. Negli anni scorsi si riteneva che sulla riforma di Dublino, come su tutte le riforme più importanti, il Consiglio si dovesse esprimere all’unanimità: non è chiaro se anche per il voto definitivo sulla riforma, se mai sarà approvata dal Parlamento Europeo, sarà sufficiente una maggioranza qualificata.