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  • Mercoledì 7 giugno 2023

Le indagini sul femminicidio di Giulia Tramontano

Cosa si sa del caso di cui si è discusso di più negli ultimi giorni, con morbosità e qualche stortura

Manifestazione contro il femminicidio del movimento femminista Non Una di Meno, Roma, 8 marzo 2022 (Cecilia Fabiano/ LaPresse)
Manifestazione contro il femminicidio del movimento femminista Non Una di Meno, Roma, 8 marzo 2022 (Cecilia Fabiano/ LaPresse)
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Quello di Giulia Tramontano è il quarantunesimo femminicidio dall’inizio dell’anno e quello a cui i giornali, anche con storture e morbosità, hanno dato maggiore attenzione. Giulia Tramontano è stata uccisa a Senago, vicino a Milano, la sera di sabato 27 maggio dal suo convivente Alessandro Impagnatiello che ha poi nascosto il corpo per quattro giorni inscenando la sua scomparsa. Nei giorni successivi Impagnatiello ha confessato ed è stato arrestato. Dai rilievi eseguiti martedì sul luogo del delitto risulta che il femminicidio sia stato premeditato, diversamente da quanto aveva ipotizzato la giudice per le indagini preliminari.

Giulia Tramontano aveva 29 anni e era incinta di sette mesi. È stata uccisa con un coltello nella casa dove viveva con Impagnatiello, 30 anni, barista. Il pomeriggio aveva incontrato una ex collega di Impagnatiello che a sua volta aveva con lui una relazione ed era rimasta incinta, ma aveva deciso di abortire lo scorso gennaio. Questa donna, che ha 23 anni, è stata chiamata dai giornali solo con l’iniziale “A”.

Tramontano aveva raccontato della relazione parallela del compagno con A. a un’amica e anche alla madre di Impagnatiello. Finito l’incontro con A. aveva chiamato proprio la madre di Impagnatiello e aveva poi mandato a lui una serie di messaggi chiedendogli di aspettarla a casa. Le telecamere di sorveglianza della zona mostrano Tramontano rientrare poco dopo le 19. Stando alle ricostruzioni diffuse finora, dopo averla uccisa con un coltello da cucina Impagnatiello avrebbe provato più volte a bruciare il suo corpo, e l’avrebbe nascosto per almeno 48 ore nella cantina e nel garage, per poi caricarlo sulla sua auto e lasciarlo infine tra l’erba a poche centinaia di metri da casa.

Subito dopo l’omicidio, nella notte tra sabato e domenica, Impagnatiello si è presentato sotto casa di A. – che però non l’ha fatto entrare – e ha cominciato a inscenare la scomparsa di Tramontano. Per diversi giorni ha mandato falsi messaggi dal telefono di lei, le ha inviato a sua volta dei messaggi dal proprio telefono e ha dato risposte false a chi gli chiedeva notizie della donna: la stessa A., la famiglia di Tramontano e la madre di Impagnatiello.

Domenica 28 maggio, dopo essere andato a lavorare, Impagnatiello ha denunciato la scomparsa di Tramontano ai Carabinieri. È stato ufficialmente indagato da mercoledì 31 maggio: interrogato, e di fronte alle numerose prove nel frattempo raccolte, ha confessato di avere ucciso Tramontano indicando anche dove cercare il corpo. È accusato di omicidio volontario aggravato, interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere. Secondo i magistrati che si stanno occupando del caso il femminicidio di Tramontano è stato premeditato: prima di commetterlo Impagnatiello aveva fatto diverse ricerche su Internet che lo confermerebbero.

Per ora è stato ritrovato il coltello con cui Impagnatiello avrebbe ucciso Tramontano e che ha cercato poi di pulire e rimettere a posto in cucina. Sono state rilevate tracce di sangue di Tramontano in casa, nella cantina, nel garage e nell’auto di Impagnatiello. In un tombino di un parcheggio sono state recuperate la patente, il bancomat e la carta di credito di Tramontano. Non è invece stato trovato il suo cellulare. Le ricerche sono ancora in corso perché il contenuto del telefono potrebbe aiutare a ricostruire con maggiore esattezza quanto è accaduto. Si sta cercando inoltre di verificare se Impagnatiello sia stato aiutato da qualcuno.

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Secondo il report settimanale del Dipartimento di pubblica sicurezza pubblicato sul sito del ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 4 giugno in Italia sono state uccise 49 donne: 41 sono vittime di un femminicidio avvenuto in ambito familiare o affettivo e 24 sono state uccise direttamente dal partner o dall’ex partner.

I giornali hanno seguito moltissimo il femminicidio di Giulia Tramontano, dando meno spazio a quanto accaduto in quegli stessi giorni a Roma e vicino a Frosinone. Il primo giugno nel quartiere romano di San Basilio Pierpaola Romano, poliziotta di 58 anni, è stata uccisa a colpi di pistola da Massimiliano Carpineti, anche lui poliziotto, trovato poi morto suicida nella sua auto. Il 27 maggio a Cassino, in provincia di Frosinone, Yrelis Natividad Peña Santana, donna di 34 anni della Repubblica Dominicana, con tre figli e che molto probabilmente lavorava come sex worker, è stata picchiata e uccisa con più di dieci coltellate. Dopo qualche giorno è stato arrestato un uomo di 26 anni.

La parola femminicidio è stata usata per la prima volta dalla criminologa statunitense Diana Russell, che in un articolo del 1992 contenuto nel libro Femicide: the politics of women killings diede un nome alla causa principale degli omicidi nei confronti delle donne, introducendo questa nuova categoria. Spiegava che il concetto di femminicidio «si estende al di là della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine». Dopo di lei l’antropologa messicana Marcela Lagarde, considerata la teorica del femminicidio, ha sostenuto che la parola non definisce solo la morte della donna, l’atto finale, ma anche tutte quelle forme di discriminazione e di violenza che lo sostengono e lo precedono: violenza fisica, psicologica, economica e istituzionale, come la mancata prevenzione, la mancata presa in carico della questione dopo una denuncia e la persistenza di stereotipi di genere nei processi e nelle sentenze.

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Femminicidio, dunque, non indica una fattispecie di reato e non serve a distinguere le vittime per gravità: dice che è morta una donna, ma indica anche il contesto per cui è stata uccisa e che ha a che fare con una dinamica di potere tra i sessi alimentata da stereotipi e aspettative di genere.

Spesso, invece, quando i media si occupano di femminicidio tendono a non sottolineare il fatto che la questione è strutturale e faticano a menzionare il contesto che la legittima. Tra le altre cose i femminicidi vengono spesso raccontati come l’esito di un raptus improvviso o associando il movente a una patologia: fare riferimento a devianze, deliri o stati emotivi eccezionali dell’aggressore suggerisce in maniera implicita che le circostanze siano in partenza incompatibili con la premeditazione e che ci sia una straordinarietà in un crimine che invece si ripete con frequenza.

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Dove chiedere aiuto
Se subisci violenza o stalking e cerchi aiuto o un consiglio, chiama il numero antiviolenza 1522: è gratuito e attivo 24h su 24. Dal sito puoi chattare direttamente con un’operatrice. Oppure contatta il centro antiviolenza più vicino. Qui l’elenco dei centri della Rete Di.Re.