La storia infinita del Centro per l’autismo di Avellino
Il cantiere è rimasto incompiuto per quasi vent'anni, tra controversie legali, presidi permanenti, comizi e benedizioni del Papa
Ad Avellino in molti conoscono la storia del Centro per l’autismo, una struttura di accoglienza e servizi per persone con autismo rimasta incompiuta per quasi vent’anni e mai aperta. C’è chi dice di avere parenti che ne avrebbero voluto usufruire, e chi ne ha semplicemente sentito parlare, dato che questa storia ha attraversato otto amministrazioni comunali, finora con pochissimi passi avanti.
La vicenda del Centro per l’autismo di Avellino cominciò nel 2001 con l’approvazione di un bando regionale finanziato con fondi europei, che aveva l’obiettivo di riqualificare le periferie dei comuni della Campania con più di 40mila abitanti (Avellino ne ha 52mila). L’anno successivo il comune partecipò a un bando per la riqualificazione del quartiere Valle, a ovest della città, comprensivo di un centro di assistenza sociosanitaria per persone con autismo: il progetto fu selezionato e nel 2003 la Regione Campania approvò un finanziamento da quasi 3 milioni e mezzo di euro per la sua costruzione.
La costruzione fisica del centro è terminata solo ad aprile di quest’anno, vent’anni dopo, tra ritardi, appalti a tre aziende diverse, mesi di presìdi al freddo di associazioni, comitati di cittadini e sindacati nel cantiere incompiuto, fiaccolate, denunce inviate al presidente della Repubblica e persino una benedizione inviata da papa Francesco. Ora che i lavori sono infine terminati, il centro non può aprire perché il comune di Avellino l’ha costruito senza aver mai completamente acquisito la proprietà del terreno.
Quando fu ideato, il Centro per l’autismo di Avellino era un progetto innovativo. I disturbi dello spettro autistico sono ancora oggi una questione a volte trascurata, e lo erano ancora di più vent’anni fa, quando c’erano anche meno diagnosi. Parliamo di disturbi dovuti ad anomalie delle connessioni nervose che hanno manifestazioni e conseguenze molto diverse tra loro, anche a livello di gravità: per questo si parla di forme ad “alto” e “basso” funzionamento, anche se da qualche anno la gravità del disturbo si classifica su due aree e tre livelli. In alcuni casi la gestione di una persona con autismo è estremamente complicata senza servizi e adeguata assistenza.
Oggi in Italia ci sono diverse realtà che se ne occupano e molti più strumenti di quanti ce ne fossero nei primi anni Duemila. In Campania, dove i disturbi dello spettro autistico riguardano 350 nati ogni anno, ci sono almeno due strutture che forniscono servizi per persone con autismo: il centro AIAS Nola di Cicciano, aperto nel 2002 in provincia di Napoli, e quello dell’ospedale “G. Criscuoli” di Sant’Angelo dei Lombardi, ad Avellino. Il secondo è stato aperto nel 2021 tra molte polemiche, anche perché è stato ricavato in un ambulatorio di un ospedale già esistente mentre i lavori per il centro di Valle non procedevano.
Il progetto per quest’ultimo fu realizzato soprattutto su spinta dell’Associazione Irpina Pianeta Autismo (AIPA), promotrice anche della maggior parte delle proteste per l’apertura del centro. Nel 2013 costituì una cooperativa che avrebbe dovuto collaborare con il centro fornendo servizi qualificati.
AIPA si occupava già da tempo di autismo organizzando convegni, corsi di formazione e laboratori: il progetto del centro di Valle era stato ispirato dal modello statunitense delle Farm communities, strutture collocate in contesti non urbani in cui attuare interventi riabilitativi attraverso il lavoro agricolo e a contatto con la natura. Non c’erano strutture simili in Campania, e in generale nel Sud Italia.
Nella sede di AIPA è ancora conservata la «prima pietra del cantiere», o almeno così la definiscono i fondatori dell’associazione, Scipione Pagliara ed Elisa Spagnuolo, genitori di una donna con autismo. Sopra c’è la data in cui fu posata, l’11 giugno del 2007, quella prevista per la consegna del primo lotto, il 10 giugno del 2008, e le firme del capo dell’ufficio tecnico e del direttore dei lavori.
L’ex giornalista Giulia D’Argenio ritiene che la storia del Centro per l’autismo abbia una sorta di «peccato originale», un problema a monte che ha generato quelli successivi e che riguarda la proprietà del suolo su cui venne avviato il progetto. Nel momento della pianificazione dei lavori venne individuato un terreno appartenente a un privato, Pasquale Pescatore, che secondo le ricostruzioni di giornali e fonti locali è un imprenditore avellinese residente negli Stati Uniti.
Di solito quando un ente pubblico vuole costruire un’opera su un terreno privato si procede con una dichiarazione di pubblica utilità, un atto con cui l’amministrazione dice che l’opera – una strada, una scuola, un ospedale – è utile per la collettività. Dopodiché si procede con un decreto di esproprio entro il termine di validità della dichiarazione (5 anni). Se l’ente pubblico non emana il decreto entro la scadenza o non procede con la dichiarazione ma realizza comunque l’opera, è consentito procedere con un provvedimento di “acquisizione sanante” per prendere possesso del terreno, ma con il Centro per l’autismo le cose non andarono così.
Pescatore propose al comune di Avellino un accordo di cessione volontaria, una procedura alternativa e più rapida rispetto al decreto di esproprio che prevede comunque un’indennità. Pescatore dettò una serie di condizioni per questa cessione in un accordo che molto probabilmente il comune avrebbe fatto meglio a non accettare. Secondo Orsola Torrani, avvocato esperto in urbanistica ed edilizia (la definizione al maschile è una sua preferenza), «fu molto incauto accettare le condizioni» di quell’accordo, «oltre che dubbio dal punto di vista procedurale».
In sintesi l’accordo proposto da Pescatore includeva che lui cedesse al comune una porzione di terreno minore di quella prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità (6.567 metri quadrati anziché 7.735); che la parte di cui avrebbe mantenuto la proprietà sarebbe stata destinata ad uso edilizio; che il comune avrebbe potuto iniziare a costruire il centro, ma che la proprietà del terreno sarebbe stata trasferita solo dopo l’approvazione del piano urbanistico comunale (che avvenne l’anno successivo, nel 2008). Inoltre se Pescatore o il comune fossero venuti meno a una qualsiasi delle condizioni descritte l’accordo avrebbe perso validità.
Non si sa che cosa volesse fare Pescatore nella porzione di terreno che sarebbe rimasta sua, se costruirci altri edifici, magari a uso dei futuri clienti del centro. In ogni caso, spiega Torrani, «uno degli aspetti problematici è l’avere accettato una serie di condizioni dettate dal privato: in un accordo di cessione volontaria, di solito, il comune provvede a determinare in via provvisoria l’indennità di esproprio e il privato sottoscrive, se lo accetta, l’accordo, senza poter aggiungere altre condizioni». Secondo Torrani di fronte alle condizioni poste da Pescatore il comune avrebbe dovuto respingere l’accordo e procedere con una normale procedura di acquisizione sanante, ma non lo fece.
Un altro aspetto che ha causato guai al comune sono i tempi: l’accordo fu proposto e approvato dal Comune con una delibera formale a ridosso della scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, che era stata emessa il 18 aprile del 2002 e sarebbe scaduta cinque anni dopo, il 18 aprile del 2007, pochi giorni dopo l’approvazione dell’accordo. Il comune di Avellino avrebbe potuto agire diversamente per evitare futuri contenziosi, decidendo per esempio di prorogare la dichiarazione di pubblica utilità, ma anche in questo caso l’amministrazione non si tutelò.
La conseguenza di tutto questo fu che i lavori iniziarono il 16 maggio del 2007, a dichiarazione di pubblica utilità ormai scaduta e su un terreno di cui non aveva ancora acquisito la proprietà. La Regione, nel frattempo, aveva già approvato lo stanziamento di oltre 2 milioni di euro per la costruzione del primo lotto.
Sette anni dopo Pescatore fece ricorso al TAR di Salerno accusando il comune di Avellino proprio di aver iniziato i lavori con la dichiarazione di pubblica utilità scaduta e su un suo terreno. Chiese quindi che gli venisse restituito, e che gli venissero pagati i danni. Il ricorso si è concluso lo scorso novembre con la condanna del comune alla restituzione del suolo «indebitamente occupato» e al pagamento dei danni per tutto il tempo trascorso a partire dalla scadenza della dichiarazione di pubblica utilità.
La proprietà del suolo non è l’unico problema, ci sono anche i lavori accidentati, che andarono a rilento dal 2007 a gennaio di quest’anno. La prima ditta a cui furono appaltati i lavori, la Domus Art, lasciò il cantiere nel «totale abbandono», dicono gli atti del Comune, che nel 2009 risolse il contratto e riappaltò la costruzione a un’altra ditta. Anche con quest’altra ci furono problemi: a un certo punto fallì e il comune fu costretto ad affidare i lavori per una terza volta.
Nel frattempo iniziarono le prime proteste e raccolte di firme, mentre si accumulavano ritardi nell’arrivo dei finanziamenti pubblici. Il motivo non è mai stato chiarito. Gianluca Festa, sindaco di Avellino dal 2019 ma che ha ricoperto diversi altri incarichi negli anni precedenti, dice che ritardi del genere sono «fisiologici in un paese annegato nella burocrazia come l’Italia», senza dare altre spiegazioni. Festa dice anche di aver «ereditato» questa situazione e di essersi limitato a fare ciò che era in suo potere da sindaco, cioè completare i lavori.
Attorno al cantiere incompiuto si riunirono una decina di soggetti per protestare, tra cui l’AIPA, le comunità parrocchiali, i sindacati CGIL, CISL e UIL e anche i Carabinieri. A gennaio del 2013 AIPA organizzò un presidio permanente nel cantiere abbandonato per evitare atti vandalici. Gli aderenti ci andavano anche d’inverno, con le stufe accese: da lì uno dei fondatori dell’associazione, Pagliara, iniziò a scrivere una serie di “lettere dal cantiere” pubblicate regolarmente sul Corriere dell’Irpinia e poi raccolte nel libro Ad Ulisse andò anche meglio, che racconta la vicenda del centro mai aperto. Pagliara dice di aver preso il titolo dal commento di un giornalista locale che seguendo la storia commentò così le vicissitudini del centro.
Sempre nel 2013 AIPA scrisse una lettera di denuncia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e poi alla presidente della Camera Laura Boldrini. A un certo punto AIPA scrisse anche al Papa, che rispose, e inviò una benedizione al Centro per l’autismo di Avellino. Anche la benedizione, come la prima pietra, è conservata nella sede di AIPA ad Avellino. Il caso cominciò a diventare noto e discusso sui giornali e sulle televisioni locali.
Soprattutto, il cantiere incompiuto si trasformò in un luogo in cui organizzare comizi: ci andarono Beppe Grillo e Guglielmo Epifani, allora segretario del Partito Democratico. «Sono sempre venuti tutti in periodo elettorale, e poi non li abbiamo più visti», dice Spagnuolo, cofondatrice dell’associazione.
Nel 2013 però il presidio permanente venne sospeso dalla ditta costruttrice, perché un operaio disoccupato salì su una delle gru minacciando di suicidarsi. Poi cominciarono gli atti vandalici, e proprio l’anno successivo, nel 2014, Pescatore fece ricorso contro il comune chiedendo la restituzione del terreno.
Negli anni successivi il grosso dei lavori fu lentamente completato. Ci furono anche diversi tentativi del comune, finora mai riusciti, di assumere la proprietà del suolo. Nel 2018 l’allora sindaco Paolo Foti, del Partito Democratico, deliberò la procedura di “acquisizione sanante” per il terreno, quella che il comune avrebbe dovuto avviare fin dall’inizio, ma venne revocata l’anno successivo dal commissario Giuseppe Priolo: nel frattempo infatti il comune era stato commissariato per la terza volta in 15 anni.
Il grosso dei lavori fu ultimato nel 2015 e la costruzione del centro è stata dichiarata completa lo scorso aprile, con una spesa complessiva di almeno 3 milioni di euro.
A vederlo da fuori il Centro per l’autismo appare come un grosso cubo blu, il colore simbolico dei disturbi dello spettro autistico. È alto due piani, con aule e corridoi ampi e luminosi, sui quali affacciano le stanze per le attività ricreative, come il teatro, e per i colloqui con gli psicologi. Ci sono anche una piscina e alcuni spazi per i parenti dei pazienti. Il mancato utilizzo e l’abbandono della struttura hanno però già provocato profonde infiltrazioni nei muri. All’esterno, tra le piastrelle, è spuntata l’erba. I due responsabili tecnici del comune che mostrano il cantiere ne strappano un po’ mentre camminano, e dicono che sono già stati spesi soldi per alcuni interventi di manutenzione dovuti al mancato utilizzo.
Una volta aperto, dovrebbe essere un posto in cui portare i pazienti durante il giorno, sia per attività ricreative che per interventi riabilitativi più mirati: sedute con psicologi, logopedisti e psicomotricisti. Ma il modo in cui funzionerà concretamente il centro dipenderà da chi lo prenderà in carico. Il sindaco Festa dice di avere già un piano per l’affidamento della struttura, ma non ha voluto dare dettagli.
Il comune comunque non ha ancora avviato la procedura di acquisizione sanante per assumere definitivamente la proprietà del suolo: lo scorso aprile Festa aveva detto che l’iter si sarebbe concluso per metà maggio, a metà maggio ha detto che si concluderà a fine giugno e che per settembre la struttura aprirà. Oltre all’indennizzo, il comune dovrà pagare i danni a Pescatore per anni di occupazione illegittima del suolo, come previsto dalla sentenza del TAR: «sotto il profilo erariale la responsabilità per danni è evidente», dice l’avvocato Torrani.