Le prime interviste di Eva Kaili dopo il Qatargate
L'ex vicepresidente del Parlamento Europeo si è definita innocente e ha criticato molto i metodi delle indagini delle autorità belghe
Negli ultimi giorni l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili, da mesi coinvolta nel presunto caso di corruzione soprannominato Qatargate, ha parlato con alcuni giornali europei per la prima volta dall’inizio del caso. Kaili è stata in carcere quattro mesi, e da fine maggio è agli arresti domiciliari.
La procura federale belga, che gestisce le indagini, ritiene che Kaili facesse parte della rete di parlamentari e funzionari corrotti dal lobbista Antonio Panzeri per conto di paesi esterni all’Unione Europea, come Qatar e Marocco. Nelle interviste che ha dato nel weekend – al quotidiano francese Libération, a quello spagnolo El Mundo e al Corriere della Sera – Kaili ha respinto tutte le accuse e ha criticato molto duramente le modalità con cui la procura federale belga sta portando avanti le indagini.
Nell’intervista al Corriere della Sera Kaili si è più volte definita innocente e inconsapevole dei presunti traffici fra Panzeri e Francesco Giorgi, suo compagno nonché assistente storico di Panzeri. Kaili ha anche cercato di spiegare l’episodio più noto legato a lei di tutta la vicenda: e cioè l’arresto di suo padre, Alexandros Kailis, fermato dalla polizia belga mentre trasportava una valigia piena di soldi recuperata dalla casa dove vivevano Kaili e Giorgi. Kaili ammette di essere stata lei a chiedere a suo padre di farlo, subito dopo avere saputo dell’arresto di Giorgi.
«Sono andata in panico», ha detto al Corriere. «Sapevo che nel suo ufficio che è nella stanza di sopra, dove non vado mai, c’era una valigia di Panzeri e ho trovato un sacco di soldi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, ma volevo allontanare da casa quel denaro per ridarlo a Panzeri, colui che credevo ne fosse il proprietario».
Ma Kaili ha anche criticato estesamente le indagini della procura federale belga, guidate dal magistrato Michel Claise. Ormai da mesi commentatori e avvocati dei sospettati lo accusano di avere usato la detenzione come un mezzo per fare pressione sulle persone incriminate, una pratica considerata scorretta e vietata in molti paesi (compresa l’Italia).
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«Penso che il pentimento e le confessioni di Panzeri siano state ottenute sotto minaccia. Il messaggio era chiaro: se fai i nomi, ti offriamo un accordo e liberiamo tua moglie e tua figlia dalla prigione. Sono metodi non degni di uno stato di diritto. Hanno fatto lo stesso con me. Dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia, ma dato che avrei dovuto mentire, non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione», ha detto Kaili. Sono accuse piuttosto pesanti, che finora non sono state commentate né dalla procura belga né da Claise.
A Kaili durante il primo mese di detenzione fu negata la possibilità di vedere sua figlia di due anni. Da tempo i suoi avvocati hanno fatto sapere che per ragioni non ancora chiarissime fra l’11 e il 13 gennaio Kaili fu tenuta in isolamento senza la possibilità di comunicare con nessuno, nemmeno con loro. In quei giorni Kaili aveva le mestruazioni, e sempre secondo i suoi avvocati le fu negato di farsi una doccia. Nella sua cella la luce era sempre accesa, cosa che le impediva di dormire, e quando chiese una seconda coperta per proteggersi dal freddo gli agenti della polizia penitenziaria non gliela diedero, sempre secondo la ricostruzione dei suoi avvocati.
Kaili è la prima fra le persone di primo piano coinvolte nell’indagine a dare un’intervista: ad oggi né Panzeri né Giorgi hanno parlato coi giornali dopo l’inizio del caso.