Perché i supermercati sono fatti così
La loro conformazione è tutt'altro che casuale, e risponde a strategie commerciali e psicologiche per influenzare gli acquisti dei clienti
Nella maggior parte dei supermercati italiani ormai da decenni la disposizione della merce è sempre più o meno la stessa, anche se con alcune differenze a seconda della conformazione del punto vendita: frutta e verdura all’inizio, poi i banchi frigo; i banconi degli alimentari stanno invece ai lati e tutti i prodotti confezionati lungo le diverse corsie, fino ad arrivare all’acqua e alle bibite. Vicino alle casse sono solitamente esposti articoli voluttuari e di intrattenimento, come caramelle, cioccolatini e giornali.
La planimetria dei punti vendita e la disposizione delle categorie merceologiche non è casuale ed è frutto di accurate tecniche di marketing e studi di psicologia del consumatore. I supermercati sono fatti così per influenzare le scelte del cliente e invogliarlo ad acquisti anche non programmati e spesso di impulso, sfruttando il fatto che nei momenti in cui fa la spesa non si comporta sempre in modo razionale.
Le catene distributive adattano le proprie strategie commerciali a seconda della grandezza del punto vendita: saranno diverse se si tratta di un grande ipermercato dove solitamente si fanno spese consistenti o di un piccolo punto vendita di prossimità dove invece si va a comprare soltanto pochi articoli necessari. L’obiettivo però è sempre simile: trattenere il cliente all’interno per il maggior tempo possibile per aumentare le probabilità di acquisto di prodotti fuori dalla sua lista.
L’influenza psicologica
Le strategie delle catene distributive si basano su un basilare assunto di psicologia: il consumatore al supermercato spesso si comporta in modo poco razionale. Tante scelte di consumo, soprattutto quelle più routinarie come quelle che si fanno durante la spesa al supermercato, sono fatte talvolta in modo affrettato e con una elaborazione delle informazioni meno razionale. Per esempio per scegliere una confezione di pomodori pelati al supermercato non si impiega lo stesso tempo e la stessa energia che invece si impiegherebbe nella scelta di un prodotto più costoso, come potrebbe essere per esempio una lavatrice, per la cui scelta si visita più negozi, si confrontano le diverse offerte su internet e via così.
Su questa premessa «si basano tutti i meccanismi che il marketing può utilizzare per influenzare o modificare le nostre scelte di consumo» spiega Guendalina Graffigna, psicologa dei consumi della facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che coordinerà proprio un corso di laurea specializzato su questi temi.
«Quando scegliamo dei prodotti routinari, come lo yogurt, la pasta o il detersivo per i piatti, non ci attiviamo a fare una ricerca delle informazioni efficace, ma ci basiamo sulla nostra esperienza o ci affidiamo alle informazioni che troviamo nei supermercati, come i cartelloni pubblicitari, le offerte promozionali, i banchi di prova», spiega Graffigna. Le informazioni dei supermercati sono quindi importantissime per indirizzare le scelte dei consumatori e limitano di fatto la nostra scelta a quei prodotti che il punto vendita ha deciso di mostrare.
Esiste un ramo specifico del marketing – ossia dello studio delle tecniche di avvicinamento tra aziende e consumatore – che si chiama merchandising: è la gestione degli spazi di vendita, in termini sia di assortimento dei prodotti che di distribuzione degli stessi all’interno del negozio per ottimizzare l’esperienza di acquisto del consumatore.
Una delle leve più diffuse per farlo è quella emotiva. Il fatto che nel punto vendita ci sia la musica, ci siano dei colori piacevoli o anche profumi allettanti, attiva un processo decisionale di acquisto che è maggiormente dettato dalle emozioni e più impulsivo. Quando si sta bene all’interno del supermercato si può anche andare meno di fretta e passarci più tempo, aumentando quindi le probabilità di acquisto. «Più tempo stiamo nel punto vendita e più compriamo», dice Graffigna, ma solo se l’esperienza è piacevole e non per esempio quando si perde molto tempo in fila alla cassa, dove si creano al contrario sensazioni di frustrazione e noia.
I supermercati cercano sempre di più di attivare le sfere emotive del consumatore con una sorta di «bombardamento sensoriale» anche banale: a volte basta sentire il profumo del pane appena sfornato per farcelo comprare anche se non avevamo pianificato di farlo.
Un’altra leva importantissima è quella del prezzo, che però non riesce a fidelizzare il consumatore e soprattutto non riesce a indirizzarlo verso acquisti che garantiscono al supermercato alti margini di guadagno. «Certamente il prezzo è una leva importante, certamente lo sconto e le offerte sono un’attrattiva importante per il consumatore, però sono altre le leve per aumentare quegli acquisti più d’impulso e remunerativi per le aziende, e sono quelle di natura emotiva e legate all’esperienza, che aumentano la fidelizzazione del cliente».
Le strutture dei punti vendita
All’interno di ogni punto vendita ci sono zone che in gergo si chiamano “calde” o “fredde” a seconda di quanta clientela attirano e dei punti di passaggio obbligato. Questi elementi vengono sfruttati dalle catene distributive per tentare di vendere e promuovere prodotti a più alta marginalità, ossia quelli che garantiscono un maggior profitto, o che comunque dal punto di vista commerciale sono più strategici per il distributore.
C’è una logica strategica rispetto al posizionamento dei prodotti sugli scaffali: c’è il “livello occhi”, molto ambito dalle aziende produttrici perché i prodotti lì sono molto visibili, e il “livello piedi”, dove invece i prodotti sono più nascosti e dove si tende a posizionare quelli per bambini, come caramelle o giocattoli, in modo che siano alla loro portata e per stuzzicare il loro desiderio.
Le aree più “trafficate” dei supermercati sono quasi sempre quelle più periferiche, ossia i bordi del punto vendita, le casse (dove avviene la maggioranza degli acquisti di impulso) e le estremità delle corsie, che in gergo tecnico si chiamano “testate di gondola”. Su queste aree vengono disposti i prodotti su cui la catena distributiva punta di più, ossia quelli che garantiscono maggiori profitti o quelli strategici dal punto di vista commerciale. Le aree più frequentate dei supermercati hanno un passaggio di clienti mediamente tre volte superiore a quello delle aree meno frequentate.
Solitamente lungo i bordi si trova quasi sempre tutto l’assortimento dei prodotti freschi, che sono quelli che in assoluto danno alla catena distributiva più margine di guadagno ma anche quelli su cui si basa spesso la reputazione del punto vendita: buoni prodotti freschi possono essere il discrimine con cui un cliente sceglie un supermercato rispetto a un altro, mentre i prodotti confezionati sono più standardizzati ed è facile che si trovino uguali un po’ ovunque.
«Sono stati fatti studi in cui si è visto che gli alimenti freschi, e in particolare la frutta e la verdura, sono i prodotti che più qualificano l’offerta del supermercato in termini di qualità. Oltretutto sono prodotti senza marca e proprio su questi il supermercato ottiene la fiducia dei consumatori», spiega Sandro Castaldo, professore ordinario di marketing dell’Università Bocconi ed esperto di tecniche della grande distribuzione.
All’ingresso ci sono sempre frutta e verdura, sia perché la freschezza degli alimenti e i colori vivaci evocano un ambiente sano e salutare sia perché si vuole incentivarne l’acquisto nel momento in cui si ha il carrello vuoto, ossia «quando il consumatore è più propenso a riempirlo», spiega la psicologa Graffigna. Lungo i bordi poi si trovano solitamente anche i reparti della carne, del pesce, la gastronomia e la panetteria.
Dietro alla scelta di collocare lungo i bordi i prodotti più strategici c’è una questione psicologica di fondo: in un ambiente non familiare l’uomo tende a sentirsi più a suo agio e al sicuro ai confini, rispondendo alla logica ancestrale di difesa verso ciò che non si conosce e potrebbe attaccarci. «Al centro dell’area di un territorio ci si sente vulnerabili e l’animale tende a restare lungo i confini. Anche noi quando entriamo in un punto vendita ne percorriamo il perimetro. Come in discoteca o in un ristorante: tendiamo a collocarci ai bordi e mai in pista o nei tavoli centrali» spiega Castaldo.
La disposizione dei prodotti poi sulle corsie non è casuale. Dipende molto dalla superficie e dalla conformazione del punto vendita, ma la sequenzialità è quasi sempre: prodotti da frigo (come yogurt e formaggi), alimenti per la colazione, pasta e riso, alimenti secchi come le farine e i legumi, prodotti da bagno e infine le bevande.
Chi compra l’acqua in bottiglia ne sente il bisogno, quindi non sarà mai posizionata nelle posizioni ad alta visibilità, perché il cliente la ricercherà comunque in autonomia. Lo stesso vale per il sale e lo zucchero, prodotti di prima necessità che il cliente va a cercare anche se non li trova subito. In termini di merchandising, la ricerca porta il cliente a girare per il punto vendita e magari a notare prodotti che non aveva sulla lista ma che decide comunque di comprare. Questa tecnica deve tuttavia essere gestita adeguatamente: se la ricerca di prodotti di prima necessità è tale da generare frustrazione e nervosismo allora si vanifica tutto lo sforzo per trattenere il cliente dentro il punto vendita.
Il fatto che ci sia una sequenza merceologica più o meno standardizzata all’interno dei supermercati ha un suo senso e serve a rendere l’esperienza del cliente il più fluida possibile. «A livello internazionale c’è più sperimentazione su questo: alcune catene distributive hanno un po’ stravolto le categorie espositive trasformandole da categorie merceologiche in categorie di bisogni. Altre aziende stanno pensando di riorganizzare in termini di bisogni: non più organizzare una sezione pasta, ma una categoria primi piatti, con dentro tutto quello che serve per comporre un primo piatto» dice Castaldo.
Le sperimentazioni in genere vengono fatte quando si aprono nuovi punti di vendita o format, ma è difficile cambiare radicalmente la disposizione dei prodotti senza creare un effetto di spaesamento e frustrazione nei consumatori. Più le cose seguono un flusso classico di acquisto più il consumatore ha un’esperienza fluida e «avrà meno frustrazione», spiega Graffigna.
Gli spazi più pregiati fanno addirittura parte degli accordi commerciali tra i supermercati e le aziende: per esempio la catena distributiva può impegnarsi a esporre il prodotto di una certa azienda negli scaffali ad altezza occhi o vicino alle casse se per esempio le fornirà la merce con un particolare sconto.