La Festa della Repubblica italiana, oggi
Per ricordare il referendum con il quale nel 1946 gli italiani scelsero la repubblica come nuova forma di governo, dopo la fine del fascismo
La Festa della Repubblica italiana viene festeggiata oggi in ricordo del referendum del 2 e 3 giugno del 1946, con il quale quasi 25 milioni di italiani, su 28 milioni di aventi diritto, si espressero per scegliere la nuova forma di governo del paese dopo la fine del fascismo. Vinse la Repubblica con 12.718.641 voti contro i 10.718.502 della Monarchia. Nella stessa occasione si votò per eleggere i membri dell’Assemblea costituente, cioè i rappresentanti che avrebbero lavorato alla definizione della nuova Costituzione italiana. La Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza relativa con 207 deputati sui 556 totali, mentre al secondo posto arrivarono i Socialisti e al terzo i Comunisti. Fu anche la prima volta che le donne italiane poterono votare a un referendum e per le elezioni politiche, dopo aver votato per la prima volta alle elezioni amministrative nei mesi precedenti.
Sia nel 2020 che nel 2021, come comprensibile, il programma del cerimoniale era stato modificato a causa della pandemia da coronavirus. Nel 2022 era stata ripristinata buona parte del cerimoniale e quest’anno si è tornati più o meno al classico programma. In mattinata il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha deposto come da tradizione una corona d’alloro in omaggio al Milite Ignoto all’Altare della Patria a Roma, alla presenza delle più alte cariche istituzionali dello Stato. Si è poi assistito alla tradizionale parata delle forze armate e al volo su Roma delle Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica dell’aeronautica militare.
Quella che oggi chiamiamo Festa della Repubblica esiste dal 1948 e da allora è stata celebrata nel nostro paese quasi sempre, fatta eccezione per il 1976, quando la parata militare che la caratterizzava fu annullata a causa del terremoto del Friuli Venezia Giulia. Dall’anno successivo, per più di vent’anni, fu una “festa mobile”: per non perdere un giorno lavorativo, infatti, fu deciso di festeggiarla ogni prima domenica di giugno. Nel 2000, su iniziativa del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il governo ristabilì la data della Festa della Repubblica al 2 giugno, assieme alle celebrazioni ufficiali.
La Festa della Repubblica italiana ha le proprie origine in una delle fasi più difficili della storia del nostro paese. Nel 1946 era da poco finita la Seconda guerra mondiale: il voto si svolse tra le macerie dei bombardamenti alleati e quelle delle demolizioni dei nazisti in ritirata, con centinaia di migliaia di italiani ancora sparsi per i campi di prigionia in varie parti del mondo, intere province sotto il governo militare straniero e un clima che sembrava prossimo a quello di una guerra civile.
I risultati ufficiali del referendum furono annunciati il 18 giugno successivo, e fu proprio in quel giorno che la Corte di Cassazione proclamò ufficialmente la nascita della Repubblica italiana. Gli italiani che avevano votato a favore della Repubblica erano circa 2 milioni in più di quelli che avevano votato per la Monarchia; 1.498.136 avevano votato scheda bianca o nulla e più di 3 milioni non avevano partecipato al voto.
Il risultato era la dimostrazione di quanto l’Italia fosse divisa in due metà. Nel Nord Italia quasi tutti i centri urbani principali votarono a favore della Repubblica, che ottenne il risultato più ampio a Trento, dove ebbe l’85 per cento dei consensi. In moltissime città del Sud, invece, la maggior parte degli italiani votò per la Monarchia: a Napoli e a Palermo, per esempio, ottenne rispettivamente 900mila e quasi 600mila voti, contro i 250mila e i 380mila raccolti dalla Repubblica. A Roma lo scarto in favore della Monarchia fu più esiguo, circa 30mila schede.
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Non tutti gli italiani ebbero l’opportunità di votare. Non poterono partecipare alle elezioni i militari prigionieri di guerra nei campi degli alleati, alcuni dei quali si trovavano negli Stati Uniti, e non votarono nemmeno gli internati in Germania, che stavano cominciando lentamente a ritornare nel paese. Inoltre non si votò nella provincia di Bolzano, che dopo la creazione della Repubblica di Salò era stata annessa alla Germania e che dopo la fine della guerra era stata messa sotto governo diretto degli Alleati.
Non si votò nemmeno a Pola, Fiume e Zara, tre città che prima della guerra erano italiane, e che sarebbero passate alla Jugoslavia, così come non si votò a Trieste, che per diversi anni fu sottoposta all’amministrazione internazionale e fu al centro di un complicato contenzioso diplomatico che si sarebbe risolto soltanto nel 1954, con il ritorno della città all’Italia.
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Fu però la prima volta che le donne poterono votare in un referendum e durante le elezioni politiche: avevano già potuto votare ed essere votate alle amministrative dei mesi precedenti.
Anche se lo si sente dire spesso ancora oggi, durante il referendum non ci furono brogli. Secondo le analisi di storici ed esperti che negli anni hanno approfondito le dinamiche del voto e i risultati, la votazione si svolse in maniera tutto sommato regolare; inoltre, creare artificialmente un distacco di quasi 2 milioni di voti avrebbe richiesto la complicità di migliaia di persone e lasciato dietro di sé molte prove. Quella convinzione è comunque rimasta viva: in parte a causa del clima teso che si respirava in quelle settimane e che continuò per anni a incombere sull’Italia, e in parte perché lo spoglio e il processo con cui venne annunciato il referendum furono gestiti in maniera incerta e a volte decisamente pasticciata.
I primi risultati erano arrivati il 4 giugno e sembravano dare in vantaggio la Monarchia. Durante la notte e la mattina del giorno successivo la Repubblica passò in netto vantaggio e il 10 giugno la Corte di Cassazione proclamò il risultato: nel comunicato, però, a sorpresa utilizzò una formula dubitativa, rimandando quindi l’annuncio definitivo al successivo 18 giugno, dopo l’esame delle contestazioni presentate soprattutto dai monarchici.
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