Chi evade di più il fisco in Italia
Nel bilancio complessivo i mancati pagamenti di piccoli commercianti e lavoratori autonomi hanno un peso maggiore rispetto a quelli delle grandi aziende
In un comizio a chiusura della campagna elettorale per le elezioni amministrative in Sicilia la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha parlato di evasione fiscale. Meloni ha detto che il problema principale sarebbe l’evasione delle grandi aziende, le «big company, le banche, le frodi sull’IVA», e non i piccoli commercianti «al quale vai a chiedere il pizzo di Stato». Di fatto Meloni ha associato la riscossione delle imposte al fenomeno mafioso dell’estorsione nei confronti di chi possiede un’attività, suscitando critiche e contestazioni non solo per l’opportunità politica della sua definizione, ma anche perché quanto ha detto non è vero. In questi giorni ne hanno scritto vari giornali, tra cui il sito di fact-checking Pagella Politica e il quotidiano Il Foglio.
In sintesi chi evade di più sono i lavoratori autonomi, ossia i liberi professionisti e i piccoli commercianti, attraverso la mancata fatturazione e l’omissione dello scontrino fiscale.
L’evasione fiscale si misura tramite il cosiddetto tax gap, ossia la differenza tra quanto si stima che sarebbe dovuto e quanto realmente viene versato dai contribuenti. Gli ultimi dati disponibili fanno riferimento al 2020, quando il tax gap è stato di 89,8 miliardi di euro: 79 miliardi è la stima delle imposte evase (come IRPEF, IVA, IRES e IRAP), mentre 10,8 miliardi i contributi non pagati, cioè quei pagamenti che servono per finanziare le pensioni e le prestazioni assistenziali come la malattia e il congedo parentale, tra gli altri.
Le grandi aziende sono soggette all’IRES, l’imposta sui redditi delle società, che è piuttosto evasa: allo Stato nel 2020 mancavano 9 miliardi, il 24 per cento dell’imposta dovuta.
Nel bilancio complessivo però sono altre le imposte che pesano di più sull’evasione complessiva: l’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, e l’IVA, l’imposta sul valore aggiunto. L’IRPEF è l’imposta più evasa in Italia, soprattutto quella che dovrebbe essere pagata da lavoratori autonomi e imprese. Nel 2020 lo stato stima una perdita di gettito pari a 28,3 miliardi di euro, ossia il 69,7 per cento dell’IRPEF dovuta dagli autonomi e dalle imprese. Anche l’IVA è molto evasa in Italia, nel 2020 sono mancati 25 miliardi, circa un quinto di tutta l’imposta dovuta allo Stato e quasi un terzo di tutta l’IVA evasa a livello europeo.
Secondo esperti e commentatori, un’evasione dell’IRPEF e dell’IVA così alta è dovuta anche alla cosiddetta evasione con consenso, che si ha quando fornitore e cliente decidono insieme di evadere l’imposta: in casi di questo tipo l’azienda o il professionista non emette fattura o scontrino, evitando così di pagarci l’IRPEF, e il cliente finale beneficia di uno sconto pari all’IVA che altrimenti avrebbe dovuto pagare.
Questo fenomeno è il più difficile da tracciare per le autorità fiscali, soprattutto in caso di attività piccole o di liberi professionisti. Le grandi aziende, come le catene di distribuzione, le multinazionali e le banche, sono per loro natura meno propense a evadere in questo modo, perché l’emissione dello scontrino è utile soprattutto a loro come meccanismo di contabilità e reporting interno. Per intenderci, è più facile non ricevere lo scontrino in un bar che al supermercato.
Per quanto il peso dell’evasione delle grandi aziende sia relativamente inferiore, è anche vero che utilizzano talvolta altri metodi per non pagare le tasse, o pagarne meno. Per esempio le grandi multinazionali spostano interi rami d’azienda o la sede legale in paesi con una fiscalità di vantaggio, come possono essere l’Irlanda, il Lussemburgo o i cosiddetti “paradisi fiscali”, come le isole Cayman e le Bermuda. In questo caso si parla non di evasione ma di elusione fiscale, ossia le leggi tributarie vengono aggirate e non violate.
Nelle discussioni sull’evasione fiscale viene spesso usata anche l’argomentazione della “necessità di evadere”, perché le imposte sarebbero troppo alte o perché i ricavi sarebbero troppo bassi. Durante un’intervista al Festival dell’Economia di Trento il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha parlato anche di questo, citando un dato che secondo lui smentisce quella giustificazione: «Più dell’80% dell’evasione è per omesse dichiarazioni o infedeli» ha detto Ruffini, mentre la parte restante è «evasione da versamento, cioè di chi è trasparente, presenta la dichiarazione ma poi non ha le risorse per fare i versamenti a tempo debito».
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