Il governo israeliano ha approvato nuovi privilegi per gli ebrei ultraortodossi
Netanyahu sta accontentando i partiti più tradizionalisti e secondo i critici mettendo a rischio il futuro sociale ed economico del paese
Mercoledì scorso la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato il bilancio nazionale per il periodo 2023-2024: il testo ha ricevuto 64 voti favorevoli da parte dell’intera coalizione che sostiene il governo di destra di Benjamin Netanyahu e 56 contrari, ed è stato criticato da economisti e partiti di opposizione. Le critiche hanno riguardato soprattutto i fondi di coalizione, uno stanziamento di 13,7 miliardi di shekel (3,4 miliardi di euro) destinato alle istituzioni ebraiche ultraortodosse. Le scuole che li riceveranno, le yeshivot, sono indipendenti dal ministero dell’Istruzione israeliano e molte non insegnano materie laiche, cioè tutte quelle materie che non riguardano l’apprendimento di testi e argomenti sacri, come matematica, scienze e inglese.
Il bilancio, oltre ad aumentare i fondi per queste scuole, prevede un aumento di sussidi per i maschi ultraortodossi che studiano a tempo pieno nei seminari religiosi, non lavorano e sono esonerati dal servizio militare, che è invece previsto per la maggioranza dei cittadini israeliani.
Gli ultraortodossi – chiamati haredim in ebraico – sono cittadini israeliani che aderiscono alle dottrine più conservatrici dell’ebraismo, seguendone le interpretazioni più rigide e letterali. La loro vita si svolge intorno alla comunità, alla preghiera e allo studio dei testi sacri: da bambini entrano in scuole religiose che anche da adulti continuano a frequentare. Non lavorando, sopravvivono per lo più grazie a donazioni o sussidi statali. Il particolare status privilegiato di cui godono risale alla fondazione dello stato di Israele: il governo di Ben Gurion (primo premier della storia del paese) riteneva che il loro contributo fosse fondamentale per la formazione di un’entità nazionale di carattere ebraico, e garantì loro una serie di concessioni che sono state mantenute ed estese negli anni.
Secondo diversi economisti, ulteriori investimenti nell’istruzione religiosa da parte del governo rischiano di rallentare la crescita economica israeliana e di creare problemi nel breve e nel lungo periodo al paese.
Il tipo di formazione infatti non prepara gli studenti a entrare nel mercato del lavoro e a contribuire all’economia israeliana. E se si considera la crescita che sta vivendo questa comunità, il rischio che pesino ancora di più sull’economia israeliana è alto. Secondo l’ufficio centrale israeliano di statistica, attualmente gli haredim rappresentano il 13% della popolazione (1,28 milioni di persone) e sono il gruppo che tra tutti sta crescendo di più: è previsto che raggiungano il 16% nel 2030.
In una lettera indirizzata al governo e firmata da più di cento economisti e accademici – tra cui l’ex consigliere economico di Netanyahu, Eugene Kandel, e un gruppo di ex vice governatori della Banca di Israele – si legge: «Lo stanziamento di fondi di coalizione viene attualmente concesso per considerazioni politiche a breve termine, ma nel lungo periodo trasformeranno Israele da un paese avanzato e prospero a un paese arretrato in cui gran parte della popolazione non avrà le competenze di base per la vita nel Ventunesimo secolo». Il leader dell’opposizione centrista Yair Lapid ha definito questo bilancio come il più distruttivo nella storia di Israele, «una violazione del contratto con i cittadini israeliani, che tutti noi – e i nostri figli e figli dei figli – pagheremo ancora», secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Reuters.
Netanyahu ha invece affermato che l’aumento del budget a favore degli ebrei ultraortodossi servirà per compensare le condizioni dei bambini ultraortodossi, le cui scuole storicamente hanno sempre ricevuto meno finanziamenti da parte del governo rispetto a quelle che ammettono gli insegnamenti non religiosi. Ma il sostegno di Netanyahu alla misura riguarda anche la stabilità del suo governo. I partiti ultraortodossi infatti sono il secondo blocco più grande nella sua coalizione di maggioranza e nell’ultimo periodo i loro leader avevano minacciato di votare contro la proposta di bilancio se Netanyahu non avesse aumentato stipendi e finanziamenti alle loro scuole.
Questa crisi rispecchia una condizione di tensione più profonda tra le componenti laica e religiosa presenti all’interno del paese, dovuta allo spostamento dello stato verso un maggior integralismo religioso negli ultimi anni.
Le scelte adottate finora dal governo di Netanyahu vengono considerate da gran parte della popolazione una violazione del principio di uguaglianza perché sempre più religiose e autoritarie, come anche la recente proposta di riforma del sistema giudiziario. Presentata dal ministro della Giustizia Yariv Levin e sospesa a marzo in seguito alle numerose proteste, secondo i critici la revisione ridurrebbe i poteri della Corte suprema e del sistema giudiziario a favore del governo, mettendo a rischio la democrazia. I suoi sostenitori invece – i partiti della destra nazionalista laica, di estrema destra e quelli ultraortodossi – affermano che la riforma serva a bilanciare meglio i poteri dello stato, che negli ultimi decenni avrebbero favorito eccessivamente il potere giudiziario.
Gli ultraortodossi ad esempio accusano la Corte suprema di limitare le loro libertà religiose e temono che si opponga ai progetti di espandere gli insediamenti dei cosiddetti coloni in Cisgiordania, territorio che per la comunità internazionale appartiene ai palestinesi (a oggi privati di un proprio stato autonomo) e che è parzialmente occupato da Israele dal 1967.
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