Gli stati degli Stati Uniti che stanno limitando i diritti delle donne e delle persone LGBTQ+
Nell'ultimo anno in tutto il paese sono state fatte leggi sull'aborto e sulle transizioni di genere che rientrano in una stessa strategia politica
Dopo che lo scorso giugno la Corte Suprema americana ha eliminato il diritto all’aborto a livello federale, consentendo quindi a ciascuno stato di stabilire regole proprie in autonomia, l’accesso all’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti sta venendo sempre più limitato. Con scelte interpretate come parte della stessa tendenza, negli ultimi mesi vari stati governati da maggioranze repubblicane hanno introdotto anche restrizioni in materia di diritti delle persone LGBTQ+.
La correlazione tra l’annullamento di “Roe contro Wade”, la sentenza del 1973 che garantiva l’accesso all’aborto su tutto il territorio nazionale statunitense, e le maggiori difficoltà sperimentate da chi vorrebbe interrompere una gravidanza è piuttosto evidente: venti stati hanno approvato provvedimenti restrittivi in quest’ambito dopo la revisione della sentenza. Oggi l’aborto è praticamente vietato in quattordici stati – esistono delle eccezioni, in certi stati, per le gravidanze dovute a uno stupro – ed è consentito solo entro sei settimane di gestazione, un periodo prima del quale molte donne non sanno di essere incinte, in un quindicesimo, la Georgia.
Nello Utah e in Arizona è attualmente possibile entro 18 e 15 settimane rispettivamente – in Italia, sulla base della legge 194 del 1978, è possibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza entro 90 giorni (12 settimane e 6 giorni) dall’ultima mestruazione – ma le istituzioni statali hanno cercato di imporre limitazioni: non sono entrate in vigore perché dei tribunali hanno temporaneamente bloccato le nuove leggi. In South Carolina, uno dei pochi stati meridionali dove non si applicavano limitazioni significative, martedì il parlamento ha votato a favore di un divieto a partire dalla sesta settimana e sabato l’applicazione è stata temporaneamente sospesa da un giudice. Cinque altri stati si trovano in situazioni analoghe.
Nel resto del paese (24 stati e il District of Columbia, il territorio della capitale Washington) l’aborto è permesso senza limiti definiti rispetto alle settimane di gestazione, oppure entro 22 o 24 settimane. La stragrande maggioranza delle interruzioni volontarie di gravidanza comunque avviene entro le 13 settimane.
Parallelamente alle nuove restrizioni sull’aborto, anche i diritti delle persone LGBTQ+ hanno subito forti limitazioni, e dall’inizio del 2023 sono state discusse 417 proposte di legge discriminatorie verso queste minoranze. Le limitazioni riguardano in particolare la cosiddetta “gender-affirming medical care”, ovvero quell’insieme di misure farmacologiche e chirurgiche per trattare la disforia di genere, la condizione di disagio e sofferenza di chi non si riconosce nel genere corrispondente al sesso biologico. Diciassette stati hanno introdotto provvedimenti per ostacolare o impedire del tutto le procedure chirurgiche di riassegnazione del sesso, così come la somministrazione di bloccanti della pubertà (farmaci che interrompono temporaneamente lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie, come la crescita di seno e peli) nel caso di persone minorenni. I medici che non rispettano il divieto rischiano di perdere la propria licenza o di dover affrontare procedimenti penali.
Queste nuove leggi non riguardano solo gli aspetti medici. In Florida, il governatore Ron DeSantis ha recentemente approvato restrizioni, tra le altre cose, sull’utilizzo nelle scuole di pronomi di genere diverso da quelli corrispondenti ai nomi sui documenti. Ha anche limitato la possibilità di organizzare spettacoli di drag (quelli in cui si interpretano personaggi molto appariscenti generalmente di un genere diverso dal proprio) dove potrebbero esserci minorenni nelle vicinanze. Una misura simile è stata adottata in Tennessee e una analoga è stata discussa in Alabama.
Secondo alcuni osservatori, la scelta dei Repubblicani di investire capitale politico nel limitare i diritti delle persone LGBTQ+ e l’accesso all’aborto si spiega con la necessità di garantirsi il voto della comunità evangelica, diventata via via più rilevante dall’elezione presidenziale del 1980, quella vinta da Ronald Reagan. Secondo l’istituto di ricerca statunitense Pew Research Center, i “cristiani evangelici” — gruppo che include numerose comunità religiose, come quella battista o luterana — rappresentano all’incirca il 24 per cento della popolazione statunitense; tre quarti degli evangelici si identificano come Repubblicani, e tendono a unirsi attorno a un nucleo ristretto di temi sociali legati a una visione conservatrice sulla famiglia.
Con la dichiarazione di incostituzionalità delle leggi che punivano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso nel 2003 e l’estensione del diritto costituzionale al matrimonio omosessuale nel 2015, aborto e identità di genere sono oggi i temi sociali di maggior rilevanza per gli evangelici su cui sia ancora possibile condurre una battaglia politica.