Oggi c’è il ballottaggio in Turchia, ed Erdogan è ovunque
Anche nella progressista Istanbul lo stato si è mosso per favorire il presidente e danneggiare il candidato delle opposizioni, Kilicdaroglu
di Eugenio Cau, foto e video di Valentina Lovato
Istanbul è un’ottima città per comprendere almeno in parte l’andamento del ballottaggio di domenica 28 maggio in Turchia, in cui il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan cercherà di ottenere un nuovo mandato battendo il leader unitario delle opposizioni Kemal Kilicdaroglu, di centrosinistra. È la città più grande e progressista della Turchia, che da tempo vota per l’opposizione laica. Ma anche qui, ormai da settimane, ovunque ci si giri è possibile vedere immagini di Erdogan.
Il ballottaggio delle elezioni presidenziali turche era stato deciso il 14 maggio, quando Recep Tayyip Erdogan e Kemal Kilicdaroglu erano risultati i due candidati più votati senza che nessuno raggiungesse il 50 per cento dei voti. Erdogan ci era arrivato vicinissimo, al 49,5, provocando grossa preoccupazione nell’opposizione, che era convinta di essere in vantaggio, ed è stata duramente delusa.
Il buon risultato di Erdogan al primo turno era stato dovuto in parte al fatto che la sua popolarità tra la popolazione turca è ancora fortissima, e in parte alle difficoltà dell’opposizione. Alcuni esponenti dell’opposizione avevano parlato di brogli elettorali, ma gli esperti sono generalmente convinti che eventuali irregolarità non abbiano influito in maniera consistente: il sistema di voto turco, che prevede molteplici controlli, è relativamente sicuro, e la stessa opposizione ha insistito poco su questo elemento.
Ma un’altra delle ragioni per cui Erdogan è ancora così forte alle elezioni si vede dappertutto a Istanbul: anche in una città progressista, i manifesti del presidente e del suo partito AKP sono molti di più di quelli di Kilicdaroglu e sono appesi nelle zone più visibili.
«Queste sono le prime elezioni nella storia recente turca in cui tutto l’apparato dello stato si è mosso all’unisono a favore di Erdogan», dice Michelangelo Guida, un professore di Scienze politiche all’Università 29 Mayıs di Istanbul, che vive in Turchia da circa vent’anni e conosce molto bene la politica turca. I manifesti sono soltanto il fenomeno più evidente. Tutte le istituzioni pubbliche sono più o meno mobilitate: alcune campagne pubbliche promosse dai ministeri, che in teoria non avrebbero niente a che fare con la politica, citano in maniera più o meno esplicita gli slogan dell’AKP.
I media, che negli scorsi anni furono in gran parte epurati dai giornalisti d’opposizione, riprendono in maniera palese la propaganda del governo e creano enormi disparità nel trattamento dei candidati. Ad aprile, per esempio, sulle principali televisioni pubbliche Erdogan è stato presente in video per 33 ore; Kilicdaroglu per 32 minuti.
Anche il sermone della preghiera del venerdì, che in Turchia è uguale per tutti ed è definito da uno speciale ufficio del governo, sembra riprendere sottilmente i temi della campagna elettorale del presidente. L’ultimo sermone prima del primo turno invitava i fedeli musulmani a promuovere i valori della famiglia tradizionale e la «dignità dell’uomo e della donna», di cui ovviamente il conservatore Erdogan si propone come il principale difensore.
Anche per questo, alcuni elementi della società civile hanno cercato di mobilitarsi. Moltissime persone hanno aderito a Oy ve Ötesi (significa: Voto e non solo), un’associazione indipendente che fa monitoraggio del voto. Oy ve Ötesi organizza volontari da inviare ai seggi come scrutatori: per consentire loro l’accesso ai seggi, i volontari sono registrati come osservatori dei partiti che partecipano alle elezioni, che si appoggiano a Oy ve Ötesi perché non hanno abbastanza scrutatori interni. In questo modo, Oy ve Ötesi può mandare migliaia di persone ai seggi e assicurarsi che non ci siano irregolarità nel voto.
Al primo turno, i volontari che si erano proposti a Oy ve Ötesi come osservatori ai seggi erano stati circa 60 mila. Al ballottaggio saranno più di 220 mila, e questo è interpretato come un segno del fatto che la mobilitazione della società civile è ancora forte.
Al ballottaggio, come al primo turno, Erdogan è sostenuto da un’alleanza elettorale che si chiama Alleanza del popolo, ed è composta dall’AKP, il partito di Erdogan, dall’MHP, un partito nazionalista secolare, e da altri due piccoli partiti islamisti e ultranazionalisti. Kilicdaroglu è sostenuto dalla coalizione quasi unitaria dei partiti dell’opposizione che comprende il CHP, lo storico partito del centrosinistra secolare turco, il Buon partito (İyi Parti, nazionalista) e altri quattro partiti minori, sia laici sia religiosi. Chi vincerà diventerà presidente per i prossimi cinque anni: è una posizione di grande potere, dopo che un referendum costituzionale voluto da Erdogan nel 2017 aveva trasformato la Turchia in una repubblica presidenziale.
Praticamente tutti i sondaggi fatti prima del ballottaggio danno Erdogan come vincitore, anche se quasi nessuno si fida più: al primo turno gli stessi sondaggi davano avanti Kilicdaroglu.
Questo, tuttavia, ha fatto sì che i due candidati facessero campagne molto differenti nelle due settimane tra il primo turno e il ballottaggio: Erdogan, sentendosi in vantaggio, ha fatto una campagna dai toni più rassicuranti, mentre Kilicdaroglu si è spostato a destra, cercando il voto nazionalista. In particolare, ha fatto molto discutere una dichiarazione in cui ha promesso di cacciare dal paese i milioni di profughi soprattutto siriani che si trovano in Turchia.
La maggior parte degli esperti ritiene comunque probabile che al ballottaggio si ripeteranno le dinamiche del primo turno, che porteranno Erdogan a vincere.
Le speranze dell’opposizione si concentrano su elementi piuttosto difficili da quantificare. Alcuni esperti sostengono che l’affluenza, che già al primo turno era stata altissima (87 per cento degli aventi diritto), potrebbe aumentare ancora, cosa che potrebbe favorire Kilicdaroglu, che il 14 maggio aveva ricevuto meno voti delle aspettative in alcune regioni del paese a lui favorevoli, come il sud-est a maggioranza curda. L’affluenza è aumentata discretamente all’estero, dove si è già votato: dei 3,4 milioni di turchi che vivono fuori dal paese, e hanno diritto di voto, hanno votato per il ballottaggio in 1,9 milioni. Erano stati 1,7 milioni al primo turno.
Un’altra speranza per l’opposizione viene dalle divisioni nel partito di estrema destra di Sinan Ogan, il candidato che era arrivato terzo al primo turno con circa il 5 per cento dei voti, fondamentali. Se Ogan in persona ha dato il suo sostegno a Erdogan, in realtà il grosso del suo partito, compresi molti dirigenti importanti, si è schierato con Kilicdaroglu.
Ma la cosa che più di ogni altra sta probabilmente dando speranza all’opposizione, in questi giorni, è un video di YouTube. È un video del canale BaBaLa, che tra le altre cose organizza un popolarissimo talk show dal formato peculiare: invita un politico a confrontarsi in diretta con un pubblico di giovani che hanno orientamenti politici opposti all’ospite. I giovani del pubblico fanno domande durissime all’ospite, cercando di metterlo in difficoltà in molti modi. Lo show può durare dalle due alle cinque ore e, sia per la durata sia per il modo in cui è condotto, spesso l’ospite finisce per trovarsi in grossa difficoltà.
Kilicdaroglu è stato invitato a BaBaLa la scorsa settimana ed è andato molto bene. Il pubblico era composto interamente da sostenitori di Erdogan, che gli hanno fatto domande durissime e molto provocatorie. Per quattro ore lui non ha mai perso la calma e ha risposto in maniera pacata e ragionevole. In pochi giorni, lo show ha ottenuto quasi 25 milioni di visualizzazioni.