L’opposizione in Turchia è molto scoraggiata
A Istanbul, a pochi giorni dal ballottaggio, analisti e attivisti temono che la vittoria di Erdogan sia praticamente inevitabile
di Eugenio Cau, foto e video di Valentina Lovato
Per l’opposizione al presidente turco Recep Tayyip Erdogan il primo turno delle elezioni, che si è tenuto il 14 maggio, è stato un’enorme delusione. I sondaggi, i rappresentanti dell’opposizione e buona parte degli elettori erano convinti che Kemal Kilicdaroglu, il candidato unitario di quasi tutti i partiti d’opposizione, sarebbe stato avanti alla fine dei conteggi: alcuni pensavano perfino che Kilicdaroglu avrebbe vinto al primo turno, ponendo fine a oltre vent’anni di dominio sempre più autoritario di Erdogan. Tutte le speranze sono state deluse la notte elettorale: Erdogan ha ottenuto il 49,5 per cento dei voti e Kilicdaroglu il 44,9. Al ballottaggio di domenica, a Erdogan basterà migliorare di mezzo punto il risultato del primo turno per ottenere un nuovo mandato da presidente.
A Istanbul, la città più grande e cosmopolita della Turchia, dove l’opposizione a Erdogan è da anni fortissima, molti sostenitori di Kilicdaroglu si erano preparati a festeggiare già la notte del primo turno: sia che Kilicdaroglu avesse vinto immediatamente, ottenendo più del 50 per cento dei voti, sia che fosse risultato in vantaggio in vista del ballottaggio, per l’opposizione sarebbe comunque stata una vittoria. Alcuni sostenitori dell’opposizione hanno raccontato che la notte delle elezioni avevano preparato bottiglie di vino da stappare al momento dell’annuncio che il loro candidato era in vantaggio. Altri erano pronti a scendere in strada per festeggiare.
Invece, alla fine di una notte lunghissima, Erdogan è arrivato primo, e con un distacco piuttosto consistente su Kilicdaroglu, quasi impossibile da colmare al ballottaggio.
«In un ballottaggio si ricomincia da zero, non bisogna necessariamente considerare i voti ricevuti al primo turno», dice Bilge Yabanci, una ricercatrice in Scienze politiche che lavora tra gli Stati Uniti e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Yabanci è arrivata a Istanbul dall’Italia, dove vive da circa tre anni, per fare l’osservatrice ai seggi elettorali della città durante il ballottaggio di domenica per conto di un’associazione che monitora lo svolgimento del voto. Quasi tutti gli analisti politici, tuttavia, ritengono che una vittoria di Kilicdaroglu al ballottaggio sia praticamente impossibile: il Financial Times ha definito la situazione dell’opposizione «disperata».
A questo stato d’animo piuttosto pessimista ha contribuito l’andamento della notte elettorale del primo turno, il 14 maggio. All’inizio dei conteggi Erdogan è risultato immediatamente in forte vantaggio: questo era previsto, perché in Turchia i primi risultati a essere annunciati sono sempre quelli di aree del paese che votano a maggioranza per l’AKP, il partito del presidente, mentre le grandi città e le aree del sud-est, più vicine all’opposizione, sono conteggiate più avanti. L’opposizione, dunque, ha trascorso la notte aspettandosi una rimonta di Kilicdaroglu. Lui stesso, a circa metà dello spoglio, ha scritto su Twitter: «Siamo avanti», alimentando una speranza che non si è mai realizzata.
I sostenitori dell’opposizione sono rimasti svegli gran parte della notte, fino alle due o alle tre del mattino, aspettandosi il sorpasso di Kilicdaroglu su Erdogan, che tuttavia non è mai arrivato. Erdogan, anzi, ha mantenuto un vantaggio notevole, ed è arrivato a pochi decimi dal vincere le elezioni al primo turno.
Fino al 14 maggio quello che nella politica americana è chiamato momentum, cioè il vantaggio psicologico dato dall’idea che le cose si stiano muovendo a proprio favore, era decisamente dalla parte dell’opposizione. Dopo la deludente notte del primo turno, il momentum è tutto dalla parte di Erdogan.
Per giustificare questa situazione la scienziata politica Bilge Yabanci parla di un «effetto Erdogan», cioè dell’eccezionale capacità del presidente turco di continuare a ottenere consenso tra un’enorme parte della popolazione, soprattutto la più povera e meno istruita, nonostante i problemi del suo governo.
Per l’opposizione queste elezioni di maggio erano sembrate l’occasione perfetta. Per la prima volta nella storia della Turchia, praticamente tutti i partiti contrari a Erdogan si erano riuniti in un’unica grande coalizione che rappresentava sei forze politiche molto differenti tra loro: dai socialdemocratici laici del CHP (il partito di Kilicdaroglu) ai nazionalisti di destra agli islamisti moderati. Anche il partito ambientalista e filocurdo HDP, pur non aderendo alla coalizione, aveva evitato di presentare un proprio candidato, dando così il proprio sostegno implicito a Kilicdaroglu. Erdogan inoltre sembrava piuttosto indebolito dalla disastrosa situazione economica della Turchia e dalla cattiva gestione del terremoto che ha colpito il paese a febbraio.
Il fatto che nonostante tutto questo Erdogan sia riuscito ugualmente a essere il candidato più votato al primo turno ha provocato delusione e sconforto nell’opposizione e nei suoi sostenitori. A peggiorare le cose c’è il fatto che alle elezioni parlamentari, che si sono tenute in concomitanza con le presidenziali, il partito di Erdogan, l’AKP, ha ottenuto la maggioranza dei seggi. La Turchia ha dal 2016 un sistema politico presidenziale, dove il parlamento non ha più l’importanza di un tempo, ma il suo ruolo è comunque centrale per chiunque governi il paese.
Questa situazione si è resa piuttosto evidente nelle due settimane che hanno separato il primo turno dal ballottaggio. Nelle sue uscite pubbliche, Erdogan è sempre parso piuttosto tranquillo, mentre i principali esponenti dell’opposizione per lunghi giorni dopo il primo turno hanno evitato ogni intervista e contatto con i media.
Alcuni parlano come se Kilicdaroglu avesse già perso. Ali Bayramoglu, un noto giornalista e commentatore politico di orientamento conservatore ma contrario a Erdogan, dice che «l’opposizione ha troppe fragilità al suo interno. Da un lato i partiti che compongono la coalizione contro Erdogan sono troppo differenti tra di loro, e in alcuni casi antagonisti: alcuni di sinistra, altri di destra, alcuni religiosi, altri no, e promettere il ritorno della democrazia non è stato sufficiente». Aggiunge Bayramoglu: «L’altra fragilità dell’opposizione è stata il candidato».
Kilicdaroglu, un politico esperto e dall’atteggiamento pacato e moderato, è l’unico candidato che è stato capace di mettere assieme la variegata e complessa coalizione dell’opposizione contro Erdogan. Ma la sua notevole capacità di mediazione e di accomodamento non è stata accompagnata, secondo molti, da altrettanta abilità politica. «Kilicdaroglu era l’unico candidato possibile, ma non è un candidato forte», dice Bayramoglu.
A due giorni dal ballottaggio, i sostenitori dell’opposizione continuano a sperare in quella che alcuni di loro definiscono una «sorpresa», cioè che nonostante tutte le difficoltà Kilicdaroglu riuscirà ugualmente a vincere le elezioni. Quasi tutti, però, temono che alla fine vincerà Erdogan.