Adesso ci sono troppi container
La loro carenza fu una delle cause della crisi dei commerci mondiali degli ultimi tre anni: oggi c'è il problema opposto
Da mesi nei porti cinesi si stanno accumulando container inutilizzati, cioè le enormi scatole di metallo che servono per spedire qualsiasi cosa, soprattutto via nave. I gestori dei porti non sanno più dove metterli. È una situazione paradossale, perché la mancanza di container era stato proprio uno dei problemi più noti della crisi dei commerci mondiali, una delle conseguenze economiche più serie della pandemia. Tra le altre cose, la crisi aveva comportato un insieme di enormi ritardi e blocchi nelle spedizioni e aveva reso introvabili molti beni e materie prime, facendone aumentare notevolmente i prezzi. Il problema della carenza di container era sentito soprattutto nei porti della Cina, da cui era diventato costosissimo spedire.
Da allora le cose sono molto cambiate: la pandemia è finita, il commercio internazionale ha ridotto molto i suoi ritmi, i costi di spedizione sono tornati nella norma e la crisi dei commerci mondiali si è più o meno risolta: uno degli effetti di tutto questo è stato che gran parte dei container prodotti in pandemia non servono più.
Sulle navi cargo, quelle che trasportano i container, viaggia più dell’80 per cento del volume delle merci trasportate in tutto il mondo. Questo significa che quasi tutti i beni che compriamo (o i materiali con cui sono stati prodotti) a un certo punto del viaggio sono stati trasportati in un container su una nave cargo. Il trasporto via mare è infatti il più conveniente per lo spostamento su tratte lunghe di grandi volumi di merci non deperibili (mentre per quelle deperibili è spesso preferibile il trasporto aereo, più rapido). Nei porti in cui arrivano, i container vengono caricati su camion o treni per completare il loro viaggio: un metodo logistico chiamato trasporto intermodale e basato sulla standardizzazione dei container a livello internazionale, che permette di spostarli facilmente da un mezzo a un altro in modo da rendere il processo il più veloce possibile.
Il trasporto intermodale è un’innovazione relativamente recente: esiste da meno di settant’anni ed è stato uno dei fattori che hanno permesso il fenomeno della globalizzazione, cioè l’integrazione delle diverse economie regionali in un’unica economia globale.
L’inceppamento di questo sistema aveva prodotto conseguenze lungo tutta la catena produttiva ed era iniziato con i primi lockdown: visto il crollo globale della produzione e dell’esportazione di merci durante la prima ondata di pandemia le compagnie di trasporto avevano cancellato centinaia di viaggi. Questo aveva interrotto il normale flusso dei container vuoti, che non erano tornati nelle destinazioni in cui servivano di più.
In particolare, quelli che avevano trasportato merci dalla Cina agli Stati Uniti erano rimasti nei depositi statunitensi, spesso collocati lontano dai porti per questioni di spazio. Gli Stati Uniti importano dalla Cina molta più merce di quanta ne esportino, e perciò c’è un flusso di container pieni che tende ad andare dalla Cina agli Stati Uniti, e uno di container vuoti che tende a seguire la rotta opposta. Quando la produzione cinese era ripresa e la domanda del trasporto di merci aveva cominciato a risalire – e lo aveva fatto molto in fretta – diversi porti cinesi si erano trovati senza container a sufficienza.
In quella situazione di emergenza i porti e le società di spedizioni avevano fatto enormi investimenti e scorta di container per provare ad aumentare la propria capacità di spedire. Nel 2021, la produzione globale aveva raggiunto i 7 milioni di container di dimensioni standard, più del doppio della produzione nel 2020. La produzione di container era aumentata rapidamente in risposta a un aumento della domanda di beni fisici indotto dalla pandemia: allora parte gran parte dei consumi era diretta verso prodotti, e non verso tutti quei servizi chiusi per le restrizioni sociali, come quelli forniti da ristoranti e hotel.
Da quando le restrizioni sono state allentate, parte dei consumi si è diretta nuovamente verso i servizi che via via hanno riaperto, facendo così diminuire la domanda di beni fisici. L’industria marittima si è quindi ritrovata con il problema opposto: un eccesso di container che sta creando problemi nei porti in Cina, paese dove viene prodotta la quasi totalità dei container del mondo.
Secondo il Financial Times la produzione dei container più diffusi e standard (quelli lunghi 12 metri) è diminuita del 71 per cento: da oltre un milione di unità nel primo trimestre del 2022 a poco più di 300 mila dei primi tre mesi di quest’anno. Il calo della domanda ha colpito duramente anche i produttori di container. I profitti di China International Marine Containers, uno dei maggiori produttori del paese, sono diminuiti del 91 per cento su base annua nei primi tre mesi di quest’anno.