Puoi diventare papa anche tu
«È del tutto improbabile, ma non impossibile, che un non sacerdote e un non vescovo (e, diciamocelo, anche un non cardinale) sia oggi votato come papa (come racconto nel mio romanzo), ma forse il conclave è davvero il contesto giusto per pensare all’inatteso nella vita di chiunque. Sempre che sia maschio. Le donne, invece, possono diventare cardinali»
Ricorrono ormai i dieci anni dall’elezione di papa Francesco. Sul suo papato si è scritto e si scrive molto. Nei primi anni sono anche circolate ricostruzioni più o meno fantasiose (anche se a volte a opera di eminenti giornalisti) addirittura sullo svolgimento del conclave e sulla sua correttezza formale.
Del resto non c’è da stupirsi. L’idea stessa del conclave è di per sé affascinante e misteriosa. A operare è lo Spirito Santo, che però segue delle regole ben definite, che nel tempo cambiano. Nei primi secoli i vescovi (anche quelli di Roma) spesso venivano eletti “per acclamazione” dal popolo. Sant’Agostino e sant’Ambrogio, per esempio, furono vescovi per acclamazione popolare. Ambrogio in quel momento non era neppure battezzato.
L’acclamazione è stata una delle forme possibili di elezione papale fino al 1996, quando fu abolita da Giovanni Paolo II. Per Wojtyla essere eletti in conclave “come per ispirazione divina”, cioè appunto per acclamazione, non era più accettabile: quella forma di designazione non poteva interpretare il pensiero di un collegio elettivo ampio, come era diventato ormai quello dei cardinali. Allo stesso modo, dal 1996 non era più possibile votare “per compromissum”, cioè dando a un piccolissimo gruppo di cardinali la facoltà di decidere in rappresentanza di tutti. Questo per Wojtyla deresponsabilizzava i singoli elettori e ne sminuiva il potere individuale di scelta. Insomma, se Paolo VI aveva aiutato lo Spirito Santo vietando il voto a cardinali troppo anziani – dal 1976 dopo gli ottant’anni non si può più votare – per Giovanni Paolo II lo Spirito Santo esprimeva meglio la propria azione attraverso un’elezione “democratica”, a scrutinio segretissimo.
Anche per questo tipo di regole e per storie ricche di colpi di scena, il conclave ci affascina. Chi partecipa non può dire assolutamente nulla di ciò che succede, neanche dopo la sua fine. I cardinali giurano di mantenere il silenzio e il segreto. E la trasgressione è punita automaticamente con la scomunica.
Anche l’idea dei cardinali chiusi a chiave, finché la decisione non sia presa, ha degli elementi di straordinarietà. Del resto “conclave” significa proprio questo: chiusi a chiave (cum-clave).
Ho riguardato alcune delle istruzioni per diventare papa per scrivere il mio romanzo, da poco uscito, La vera storia dell’elezione di papa Francesco (Marcianum Press), in cui Guido Baldini, quarantenne professore di Storia moderna in un’università parigina, il 12 marzo 2013 viene eletto papa dal conclave. E sono interessanti. L’idea di chiudere a chiave i cardinali l’ebbero gli abitanti di Viterbo nel 1270. Sì, perché prima di allora (e anche dopo, in realtà) ci si potevano mettere settimane, mesi o anni per eleggere un papa. I cardinali non si decidevano, i lavori venivano sospesi, poi venivano ripresi magari altrove.
Nel caso del 1270 le autorità civili di Viterbo, stanche di una situazione che creava malcontento e disordini, chiusero a chiave i cardinali in una grande sala, poi diminuirono loro le razioni di cibo e alla fine scoperchiarono il tetto. Chissà, forse in quel modo lo Spirito Santo avrebbe più facilmente raggiunto i pensieri dei cardinali (ma di certo i poveri prelati sarebbero stati esposti alle intemperie e quindi sarebbero stati più desiderosi di arrivare a una decisione). Nonostante questo, ci misero ancora un bel po’. Dovettero arrivare due re e un principe per metterli sotto pressione – e ci fu anche qualche sanguinoso attentato politico in città.
Alla fine i cardinali decisero di incaricare un piccolo gruppo tra loro di accordarsi per tutti (l’elezione per compromissum, ora proibita). In qualche ora, dopo più di mille giorni di stallo, si decise di eleggere Tedaldo Visconti, che non c’entrava niente con i cardinali, non era vescovo e neanche sacerdote (aveva gli ordini minori) e se ne stava alla Crociata per i fatti suoi.
Giusto il tempo di salutare Marco Polo a San Giovanni d’Acri, passare per Gerusalemme, fare un bagno di folla a Napoli e il nuovo eletto arrivò a Viterbo per diventare sacerdote, vescovo e papa, tutto insieme. Sarebbe stato un buon papa. Tra le cose fatte, ci fu anche il riordino delle regole del conclave, che sono ancora la lontana base delle regole attuali.
Se il conclave del 1268-71 aveva elementi divertenti (col senno di poi), quello del 1378 fu sia tragico che comico. Fu il primo conclave romano dopo quasi settant’anni di papato avignonese. Questo allontanamento dei papi da Roma venne vissuto da molti come uno scandalo permanente. Allora si tentò un ritorno nella città di Pietro. Solo che il clima era molto teso. Molti volevano diventare papi, molti non volevano che si tornasse a Roma, i cardinali erano divisi in schieramenti netti, il popolo di Roma era in subbuglio e non avrebbe tollerato un papa non romano. E a quei tempi si andava molto per le spicce, il clima non era dei migliori.
Roberto di Ginevra fu tra i cardinali più in vista. Aveva un carattere particolare: c’era chi lo chiamava “il boia”. Del resto quando veniva incaricato dal papa precedente di riportare all’ordine alcune città riottose al suo potere, Roberto si distingueva per metodi di una violenza inaudita. Sceso in Italia con un esercito di dodicimila uomini ordinò stragi e massacri. Si diceva che a Cesena avesse causato cinquemila morti civili per rappresaglia.
Eppure, in quel conclave, neanche il cardinale Roberto di Ginevra, che di paure ne aveva poche, si sentiva tranquillo. Per non rischiare, si presentava, così pare, con una corazza militare sotto la veste da cardinale. Se si fosse messa male, era già pronto alla difesa. E non era l’unico a preoccuparsi: il cardinale Pedro de Luna prima di entrare in conclave fece testamento. Il cardinale Lagier si portò il confessore e se lo tenne stretto. E il confessore a sua volta probabilmente si era portato il suo.
Non aveva tutti i torti a temere. I romani erano istigati dalle famiglie nobili locali e cinsero quasi d’assedio il palazzo apostolico. Lo Spirito Santo questa volta scelse rapidamente, ma non abbastanza bene per i romani. Il nuovo papa era infatti l’arcivescovo di Bari, Bartolomeo da Prignano, Urbano VI. Ma i romani stavano per sfondare i portoni per assicurarsi che il papa fosse proprio un loro concittadino. Non sapevano che l’elezione era già avvenuta. I cardinali se la videro brutta: fecero finta di aver eletto un papa di Roma, il povero cardinale Tebaldeschi, il quale essendo anche avanti con gli anni non ci capì molto. Tebaldeschi si presentò vestito da papa e fu messo sul trono. I cardinali se la batterono lasciandolo con i romani, che caddero nell’inganno. Lui che non ci capiva più niente, quando la folla si allontanò avrebbe continuato a dire, con la ripetitività dei molto anziani, «Ego non sum papa, nec volo esse antipapa»… «Io non sono il papa. E non voglio essere antipapa».
L’antipapa però ci sarebbe stato, poco tempo dopo. Il gruppetto dei cardinali francesi avrebbe votato un altro papa, a Fondi, con la scusa che nel conclave precedente non c’erano le condizioni di sicurezza; e avrebbe votato proprio lui, il cardinale corazzato Roberto di Ginevra, Clemente VII. Cominciò il Grande scisma. Per i credenti del tempo una tragedia.
Per noi può sembrare niente, anche perché a posteriori definiamo papi e antipapi e ci sembra di vederci chiaro, ma proviamo a immaginare i fedeli del tempo. Certo, erano abbastanza smaliziati da sapere che con il papato si trattava soprattutto di potere, ma nel papa quei credenti vedevano una guida e la presenza di due o tre papi contemporaneamente li poteva gettare in una vera confusione, anzi nella disperazione: chi è il vero papa e chi è una marionetta del diavolo?
C’è un altro grande conclave contestato – ce ne sono vari, in realtà – ed è quello che ha eletto Benedetto Caetani, cioè Bonifacio VIII. Non ne fu contestato lo svolgimento formale (come alcuni hanno fatto temerariamente per il conclave del 2013), ma proprio la sua legittimità. In verità, furono due cardinali, Giacomo e Pietro Colonna, a non riconoscere Bonifacio VIII come papa. E perché? Perché secondo loro il papa precedente, il famoso Celestino V, Pietro da Morrone, non poteva dimettersi dalle sue funzioni.
Sì, perché il più famoso antecedente delle dimissioni di Ratzinger è proprio quello di Celestino V. Fu eletto da un conclave lungo quasi due anni – tra sospensioni, epidemie, riconvocazioni, conflitti vari. Pietro da Morrone non era né cardinale né vescovo. Era un eremita famoso e in odore di santità che se ne stava nei suoi monti tra Abruzzo e Molise. Non sapeva nulla di governo della Chiesa e aveva più di ottant’anni, due caratteristiche che ai cardinali non dispiacevano (anche Jacques Duèse, Giovanni XXII, qualche decennio dopo, sarebbe stato scelto dal conclave perché anziano – aveva settantadue anni – e malfermo di salute: ma, appena eletto, Duèse si rimise in forma e campò, da papa battagliero e temibile, fino a novant’anni). Quando gli riferirono dell’elezione, a quanto pare, Pietro da Morrone cercò di darsela a gambe. Il re di Napoli lo convinse e Pietro ci provò, stabilendo proprio a Napoli la corte pontificia.
Dopo qualche settimana capì di essere del tutto inadatto al ruolo. Secondo alcune fantasiose malelingue di qualche decennio successive ai fatti, Benedetto Caetani, che forse era il cardinale più preparato, avrebbe fatto costruire dei tubi nelle pareti dell’alloggio di Celestino per fare arrivare di notte al povero papa voci ultraterrene sussurranti “Dimettiti, dimettiti…”. Impossibile da credere, però è molto probabile che Celestino abbia chiesto a Caetani se fosse lecito per un papa dimettersi, ottenendo una risposta positiva.
Del resto Caetani era un giurista importante, titolato a dare una risposta. Sta di fatto che Caetani diventò papa dopo Celestino e, per non correre il rischio che il suo predecessore venisse strumentalizzato, lo imprigionò (e forse ammazzò). Per i Colonna il punto era che Celestino non poteva dimettersi. E se non poteva dimettersi, il conclave che aveva eletto Caetani non poteva riunirsi: la sede era vacante.
Sui papi se ne possono dire quante se ne vogliono. Di alcuni dei primissimi secoli non sappiamo praticamente niente. Chi fu il misterioso Lino, il primo successore di Pietro (ma poi successore in che senso)? E che dire del terzo e del quinto papa, Cleto e Anacleto? Il Liber pontificalis li nomina come se fossero due, ma pare che fosse sempre lo stesso (dal 1947 la Chiesa cattolica ha eliminato Anacleto). E se Cleto fosse stato due volte papa (e il nome Anacleto stesse per la ripetizione di Cleto, “di nuovo Cleto”?), con in mezzo l’altro misterioso papa Clemente? Non sappiamo.
Pietro Barbo, invece, che era notoriamente un bell’uomo, fu eletto nel 1464 e si impuntò per prendere il nome di papa Formosus, cioè bello. I cardinali sudarono sette camicie per convincerlo a cambiare nome. E, tra gli argomenti usati, gli ricordarono che un papa Formosus c’era già stato, sì, ma era stato riesumato dopo la morte, rivestito da papa e processato in un raggelante sinodo, il “sinodo del cadavere”. L’argomentò convinse il papa piacione, che oggi infatti conosciamo come Paolo II.
Misteri e cose strane ne troviamo tante, ma scordiamoci almeno l’improbabile elezione della papessa Giovanna. E scordiamoci che dopo di lei – e per evitare donne al potere – venisse imposta al papa eletto, seduto su un trono speciale, la prova “tangibile” della sua mascolinità. Secondo questa fake news un malcapitato diacono avrebbe dovuto palpeggiare il pontefice e dichiarare ad alta voce «Testiculos habet! Deo gratias!». La leggenda, a quanto pare, fu messa in circolazione, o rilanciata, da fonti protestanti, che certo non avevano simpatie per gli anticristi di Roma.
Del resto, come si può pensare a un papa donna? Ancora oggi questo è impossibile, perché è impossibile nella Chiesa cattolica (e in quelle orientali) ordinare una donna sacerdote. Giovanni Paolo II ha ribadito che l’ordinazione sacerdotale per le donne non è un’opzione a disposizione della Chiesa. Un vescovo che ordinasse una donna sarebbe automaticamente scomunicato e l’ordinazione sarebbe comunque non valida. Non è solo una questione disciplinare – che in quanto tale è a disposizione del papa –, ma teologica. Il divieto affonderebbe le sue radici in alcuni passi di san Paolo, ma anche nel fatto che Cristo era un maschio, e il sacerdote lo rappresenta, così come i suoi apostoli. Si potrebbe obiettare che gli apostoli tradizionalmente rappresentano sì i sacerdoti, ma soprattutto i vescovi, e che di certo Gesù ebbe anche, nel gruppo largo dei suoi seguaci, delle discepole (così come Paolo) e che la chiamata al sacerdozio è rappresentata anche dal gruppo ampio dei discepoli (e questo generò nel medioevo un’ampia gamma di posizioni e polemiche).
Però attenzione: una donna non può attualmente essere vescovo o papa, ma potrebbe già diventare cardinale. «Perché non ci sono qui tra di noi cardinali donne?», esclama in conclave Guido Baldini, protagonista del mio romanzo. La domanda non è né peregrina, né surreale. A più riprese si è parlato in anni recenti, anche sotto il pontificato del conservatore Ratzinger, della possibilità di dare il cardinalato a una o più donne. Il cardinalato, infatti, non è un sacramento come l’ordinazione e con alcune modifiche, che il papa può operare, potrebbe essere attribuito a non sacerdoti (è successo molte volte), e a donne. Riusciremo a vedere almeno questa possibilità realizzata? Io credo di sì e avrebbe effetti rivoluzionari.
Potremmo andare avanti a lungo, tra leggende, avvenimenti storici, regole, codicilli, leggi e leggine. Quello che ho sempre trovato interessante e addirittura meraviglioso è che la selva apparentemente polverosa e statica (ma in realtà in continuo cambiamento) dei regolamenti sembra fatta per proteggere la possibilità dello straordinario, l’apertura verso l’inatteso e l’eccezionale.
Certo, è del tutto improbabile, ma non impossibile, che un non sacerdote e un non vescovo (e, diciamocelo, anche un non cardinale) sia oggi votato come papa (come racconto nel romanzo), ma forse il conclave è davvero il contesto giusto per pensare al destino di ciascuno, all’inatteso nella vita di chiunque. A tutti tremano le gambe una volta nella vita perché l’eccezionale ci tocca, ci interpella, ci interroga.
E nel leggere alcuni di questi documenti papali – che si rincorrono nei secoli con modifiche, integrazioni, con l’espressione di timori su possibili brogli, accordi sotto banco, sulla simonia, sulla caccia al potere dei cardinali elettori – ho trovato anche commovente un particolare articolo della costituzione apostolica di Giovanni Paolo II. In forme leggermente diverse lo troviamo anche in documenti precedenti, ma in quella costituzione apostolica è espresso con particolare affetto:
«Art. 86. Prego, poi, colui che sarà eletto di non sottrarsi all’ufficio, cui è chiamato, per il timore del suo peso, ma di sottomettersi umilmente al disegno della volontà divina. Dio infatti, nell’imporgli l’onere, lo sostiene con la sua mano, affinché egli non sia ìmpari a portarlo; nel conferirgli il gravoso incarico, gli dà anche l’aiuto per compierlo e, nel donargli la dignità, gli concede la forza affinché non venga meno sotto il peso dell’ufficio».
Qui il papa è il legislatore della Chiesa universale, eppure in questo codicillo parla direttamente al suo successore, come dire “da Pietro a Pietro”.
Lo prega, letteralmente (in latino è “rogo”), di non sottrarsi a quello che lo Spirito Santo ha deciso per lui. Sa già che al suo successore tremeranno le gambe, sa già che piangerà nella Stanza delle lacrime, sa già che si sentirà schiacciato dalla responsabilità. Voi come vi sentireste? Anzi come vi siete sentiti quando vi siete trovati di fronte al vostro destino? Pietro lo sa e lo vuole incoraggiare. Ecco come irrompe lo straordinario nella vita di ognuno. Ed è per questo che ho voluto raccontare La vera storia dell’elezione di papa Francesco, quando nel 2013 fu eletto papa Guido Baldini.