In Sudan è stata violata l’ennesima tregua
A più di un mese dall'inizio della guerra civile tutti i tentativi di fermare le violenze tra esercito e paramilitari continuano a fallire
Lunedì sera è cominciata una nuova tregua di sette giorni in Sudan, lo stato dell’Africa nord-orientale dove da ormai più di un mese l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF) stanno combattendo per il controllo del paese. La tregua era stata decisa per permettere l’arrivo di aiuti alla popolazione civile, ma come è successo con tutti i precedenti tentativi di fermare i combattimenti è stata subito violata. Nel frattempo la crisi umanitaria in corso nel paese sta peggiorando.
Gli scontri sono cominciati a metà aprile tra l’esercito regolare del Sudan e il potente gruppo RSF, che di fatto è un esercito parallelo che conta tra i 70 e i 100mila membri: l’esercito è comandato dal presidente del paese, il generale Abdel Fattah al Burhan, mentre i paramilitari dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti, che è anche il vicepresidente.
La nuova tregua era stata negoziata da Stati Uniti e Arabia Saudita dopo diversi colloqui nella città saudita di Gedda ed era cominciata alle 21:45 di lunedì (la stessa ora in Italia). Nel giro di poche ore tuttavia c’erano stati bombardamenti sulla capitale sudanese Khartum ed erano stati sparati colpi di artiglieria in altre zone dell’area.
Nel fine settimana c’erano stati scontri armati a Zalenjei e a Nyala, una delle città più grandi del paese, nella regione occidentale del Darfur. Poco prima che la tregua di lunedì entrasse in vigore, l’esercito aveva bombardato di nuovo i paramilitari sempre a Khartum.
Finora tutti i tentativi di tregua introdotti per permettere l’evacuazione dei civili o l’arrivo degli aiuti umanitari sono stati violati in maniera sistematica da una parte o dall’altra.
Lo scorso 12 maggio l’esercito e le Rapid Support Forces avevano fatto un accordo per la protezione della popolazione civile, impegnandosi a creare “corridoi umanitari” per agevolare i soccorsi e permettere a chi voleva di lasciare le zone dove si stavano svolgendo gli scontri armati. Secondo un rapporto dell’ONU tuttavia da allora sono stati compiuti almeno 11 attacchi contro gli edifici utilizzati dalle associazioni umanitarie e quattro contro strutture sanitarie a Khartum, tra cui un ospedale. Sempre stando alle informazioni ottenute dall’ONU, tutti gli alloggi allestiti per accogliere le persone sfollate nella regione del Darfur occidentale sarebbero stati distrutti.
Si stima che i civili uccisi finora nel conflitto siano più di ottocento e che i feriti siano oltre 5mila. Le persone che hanno lasciato il Sudan sono almeno un milione, e si ritiene che al momento alcuni milioni di sudanesi (su una popolazione totale di circa 48 milioni) abbiano accesso limitato ad acqua, elettricità e medicinali. In queste settimane la popolazione locale ha anche accusato i soldati delle RSF di aver ripetutamente saccheggiato le case, oltre agli uffici pubblici e alle organizzazioni internazionali: il sindacato dei giornalisti sudanesi ha denunciato che in vari casi sono stati derubati o feriti anche reporter e operatori video.
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