I giorni in salita del Giro d’Italia
Quelli decisivi iniziano oggi, ma per altri motivi sono stati "in salita" anche quelli delle ultime due settimane
Dopo il suo secondo giorno di riposo, il Giro d’Italia inizia oggi la sua terza e ultima settimana, quella con le tappe di montagna. La prima è già questo pomeriggio, con arrivo sul Monte Bondone, sopra Trento, con oltre cinquemila metri di dislivello, e poi da giovedì a sabato ce ne saranno altre tre: una da Oderzo fino all’alta Val di Zoldo, in provincia di Belluno; una con arrivo ai 2.304 metri di altezza delle Tre Cime di Lavaredo, dopo aver superato quattro passi dolomitici; e una sabato, la cronometro sul Monte Lussari, una salita inedita per il Giro: ripida, su strada stretta e difficilissima.
Le prime due settimane del Giro, invece, sono state difficilissime per altri motivi: il brutto tempo, il covid, il ritiro del corridore più atteso, una tappa accorciata e una serie di polemiche su queste e altre faccende relative a come la corsa è stata gestita da RCS e approcciata dai corridori, in particolare quelli che puntano ad arrivare con la maglia rosa, simbolo del primato in classifica generale, al traguardo finale di Roma.
Nonostante altrove, specie nello sport, se ne parli ormai pochissimo, da alcune settimane il coronavirus è tornato a essere un fattore determinante nelle dinamiche del ciclismo professionistico. Già prima dell’inizio di questo Giro c’erano stati alcuni contagi tra corridori, e durante le prime 15 tappe molti altri hanno scelto di ritirarsi a causa del coronavirus: non è più obbligatorio farlo in caso di contagio, ma è per molti versi consigliabile, e piuttosto frequente, per preservare la salute dei corridori ed evitare affaticamenti e complicazioni, i cui strascichi potrebbero durare mesi.
Fin qui si sono ritirati 45 dei 176 corridori presenti alla partenza del Giro: quasi un corridore su dieci tra quelli iscritti ha lasciato la corsa dopo un contagio da coronavirus, la principale causa di ritiro. È stato anche e soprattutto il caso del grande favorito Remco Evenepoel: dopo aver vinto due tappe a cronometro, mentre aveva la maglia rosa. Prima di lui solo altri due avevano lasciato il Giro in maglia rosa prima della fine: Eddy Merckx e Marco Pantani.
Oltre a essere ancora una costante minaccia per tutti i corridori in gara, il coronavirus è stato al centro di molti dibattiti sul ritiro di Evenepoel e sul suo rendimento prima del ritiro. Evenepoel arrivava infatti da campione del mondo, da uomo-da-battere; in funzione del Giro aveva strutturato tutta questa stagione e dal punto di vista sportivo e mediatico la sua presenza era il principale motivo di interesse verso il Giro.
Un altro elemento esterno che ha dominato le prime tappe di questa edizione è stato il brutto tempo: a volte il freddo, altre la pioggia, altre ancora entrambe le cose. Succede spesso che il Giro, che si corre a maggio e attraversa in lungo e in largo l’Italia per poi arrivare sugli alti passi di Alpi e Appennini, debba a un certo punto fare i conti con freddo, pioggia e perfino neve, ma quest’anno la situazione è stata particolare: il gallese Geraint Thomas, che ha 36 anni e sta correndo la diciottesima corsa a tappe di tre settimane della sua carriera, ha detto che fin qui il Giro è stato «il peggiore per quanto riguarda il meteo».
Insieme con il coronavirus e altri acciacchi che hanno colpito molti corridori in questi giorni, il meteo è stato peraltro alla base dell’accorciamento di una tappa della seconda settimana. Nei piani la tappa, la più attesa della scorsa settimana, sarebbe dovuta essere così:
Poi, per problemi dovuti alla neve sul Colle del Gran San Bernardo, si è deciso di togliere una parte della prima salita, con un passaggio in galleria anziché sul passo. Infine, dopo diverse ore di ragionamenti e trattative tra corridori e organizzazione, è diventata così:
Anche in questo caso l’accorciamento è stato al centro di polemiche, critiche, accuse e difese rivolte sia alla corsa che ai corridori. In breve, con alle spalle diversi giorni problematici e alla vigilia di una tappa che certe previsioni davano come ancora fredda e piovosa, la sera prima della tappa i corridori hanno chiesto, tramite un voto a maggioranza fatto attraverso il sindacato internazionale, che l’organizzazione andasse loro incontro. E l’organizzazione lo ha fatto, seppur con un taglio del percorso diverso da quello che i corridori avevano richiesto. Tutta la vicenda è stata complicata da una comunicazione poco chiara e dal fatto che, come succede talvolta con le previsioni e le montagne, il giorno della tappa era migliore rispetto a quanto ipotizzato la sera prima.
Durante e dopo la tappa accorciata c’è chi ha difeso la richiesta dei corridori, chi ne ha criticato i tempi ed i modi ma non le ragioni (preservare per quanto possibile sicurezza e salute di chi pedala) e chi ha criticato la richiesta stessa, giudicandola antitetica rispetto alla storia e alla specificità del ciclismo. Alessandro Fabretti, conduttore del Processo alla tappa, il programma post-corsa della Rai (comprensibilmente danneggiata da una tappa più corta e meno spettacolare) ha parlato di «sconfitta del ciclismo».
Tra chi ha criticato i corridori di oggi e la loro richiesta di far accorciare una tappa ci sono stati alcuni ex corridori di trenta o quarant’anni fa. A chi gliel’ha fatto notare, Thomas ha risposto, mentre indossava la maglia rosa: «Negli anni Ottanta e Novanta si facevano molte altre cose che ora non facciamo, e ne andiamo fieri».
Altre polemiche hanno riguardato la condizione delle strade del Giro e il fatto che alcuni corridori avessero sfruttato la possibilità, offerta da RCS, di lasciare in elicottero (e a pagamento) la tappa con arrivo a Campo Imperatore, per andare in albergo più velocemente dopo aver gareggiato. Una polemica più trasversale, iniziata a Campo Imperatore e proseguita fino alla tappa di domenica con arrivo a Bergamo, ha riguardato il fatto che ci sia stata poca sfida tra chi punta alla maglia rosa, i cosiddetti uomini di classifica: c’è chi ha parlato di «cicloturismo» (la media di corsa fin qui è stata superiore ai 40 chilometri orari).
In effetti, i momenti di confronto diretto, attacchi e difese, tattiche e controtattiche tra i primi in classifica sono stati pochi e non sono mai durati più di pochi minuti e pochi chilometri. Ed è oggettivo che, anche a causa di diverse attenuanti, fin qui ci sia stata una situazione poco avvincente di stallo e studio reciproco. Dietro all’attuale maglia rosa Bruno Armirail (che l’ha ottenuta grazie a una fuga e la perderà nelle prossime montagne) ci sono tre corridori separati da 22 secondi: oltre a Thomas, lo sloveno Primoz Roglic e il portoghese Joao Almeida. Una settimana fa, gli stessi tre corridori erano separati da 22 secondi, ognuno dei tre con lo stesso distacco dagli altri due.
I possibili motivi di questo stallo sono molti: di nuovo il coronavirus, altri acciacchi e di nuovo il brutto tempo, che limita certi azzardi e invita a maggiori cautele, e poi una terza settimana talmente dura da poter frenare preventivamente chi non si sente in adeguatamente in forma e dare invece motivo di attendere a chi si sente forte.
A questo si aggiunge che Thomas, Roglic e Almeida hanno in comune il fatto di non essere stati in genere grandi attaccanti né tantomeno scalatori veri e propri. Finora sono stati tutti e tre perlopiù attendisti, tutti probabilmente poco convinti di poter staccare i rivali principali e forse perfino timorosi di poter essere staccati, oltre che consapevoli che la difficilissima cronoscalata (una tappa a cronometro però in salita) del Monte Lussari potrebbe essere sufficiente per vincere o perdere il Giro. «Capisco si parli di spettacolo» ha detto Thomas «ma io voglio vincere e non solo attaccare per dare spettacolo e poi magari uscirne esausto così che un altro possa approfittarne».
Nel ciclismo si ragiona spesso su quanto a fare avvincente o selettivo una certa tappa sia il suo percorso o invece i suoi corridori. Da martedì a sabato, fatta eccezione per mercoledì, il percorso ci sarà, e resterà da vedere cosa i corridori vorranno o potranno farci (ogni attacco presuppone sempre la tutt’altro che scontata presenza di energie per tentarlo).
Oltre a Thomas, Roglic e Almeida (ognuno dei quali probabilmente metterebbe la firma per arrivare con questi distacchi reciproci al Monte Lussari) ci sono poi diversi altri corridori, tra cui l’italiano Damiano Caruso, sesto in classifica, che potrebbero sfruttare il fatto che quei tre si tengano d’occhio a vicenda per tentare di ribaltare il Giro.