Le vendite della birra Bud Light sono crollate per un boicottaggio della destra americana
È stato organizzato dopo una campagna pubblicitaria che ha coinvolto l'influencer trans Dylan Mulvaney
L’ultima settimana di aprile la multinazionale belga attiva nella produzione di bevande alcoliche e analcoliche Anheuser-Busch InBev ha registrato un drastico calo nelle vendite di Bud Light, una birra piuttosto leggera molto venduta negli Stati Uniti. Rispetto alla stessa settimana nel 2022, l’azienda ne ha venduto il 23 per cento in meno. Un altro marchio di birra della stessa azienda, Budweiser, ha venduto l’11 per cento di birre in meno. Altri marchi della stessa società hanno registrato perdite minori, ma comunque notevoli.
In tutti questi casi, non si è trattato di una casualità: i cali sono la conseguenza diretta di un boicottaggio incitato da varie figure della destra statunitense contro Bud Light, dopo che il marchio aveva collaborato con l’influencer trans Dylan Mulvaney per una propria pubblicità.
L’1 aprile Mulvaney, che ha ottenuto 1,8 milioni di follower su Instagram e 10,8 milioni su TikTok grazie a contenuti che seguono il suo percorso di transizione di genere, aveva pubblicato un video in cui beveva una Bud Light e augurava a tutti buona fortuna per la March Madness, la “Follia di Marzo”, cioè la fase finale del torneo di basket universitario americano della NCAA. Vestita come Holly Golightly del film Colazione da Tiffany, Mulvaney aveva mostrato anche che Bud Light le aveva regalato una versione unica, e non in vendita, di una lattina con sopra disegnata la sua faccia.
La pubblicità si inseriva all’interno di una campagna pubblicitaria più ampia con cui Bud Light sta cercando di attirare un nuovo segmento di mercato – donne, giovani e persone LGBTQ+ – dato che gli uomini, storicamente il bacino di consumatori più intensi di birra, cominciano secondo alcune analisi a preferire birre artigianali o bevande più alcoliche. Ma la campagna di marketing è stata accolta molto negativamente tra i conservatori statunitensi, che l’hanno interpretata come una presa di posizione troppo netta a favore delle persone transgender, attualmente tra i principali bersagli della propaganda della destra americana per quanto riguarda le cosiddette “guerre culturali”, ossia gli scontri ideologici e politici fortemente polarizzati che da anni interessano gli Stati Uniti, il mondo anglosassone e in misura minore l’intero Occidente e riguardano, tra le altre cose, i diritti delle cosiddette minoranze.
L’opinionista di estrema destra Ben Shapiro, molto attivo e seguito sui social, si era lamentato della collaborazione con Mulvaney dicendo che «la nostra cultura ora ha deciso che gli uomini sono donne e le donne sono uomini e dovete essere costretti a consumare prodotti che dicono questa cosa», mentre il musicista Kid Rock aveva pubblicato un video in cui sparava a delle casse di Bud Light. La deputata Repubblicana Marjorie Taylor Greene aveva invece pubblicato una foto con delle casse di Coors Light – la principale concorrente della Bud Light – scrivendo che «avrebbe voluto comprare il re delle birre, ma purtroppo ha deciso di cambiare genere e diventare la regina delle birre». E il cantante country Travis Tritt aveva annunciato che i prodotti a marchio Anheuser-Busch non saranno più venduti nel suo tour.
Alcune settimane dopo, a maggio, l’ex presidente Donald Trump ha commentato la notizia del calo delle vendite di Bud Light dicendo che «è ora di battere la sinistra radicale al proprio gioco. Il denaro parla, Anheuser-Busch ora lo sa». Inoltre l’azienda ha ricevuto delle minacce, tra cui una serie di mail che annunciavano che delle bombe erano state collocate in varie sue sedi.
Da parte propria, l’azienda il 14 aprile aveva rilasciato una dichiarazione dal tono piuttosto generico in cui il CEO Brendan Whitworth aveva detto di voler garantire che «ogni consumatore si senta orgoglioso della birra che produciamo». «Abbiamo migliaia di partner, milioni di fan e una storia orgogliosa a sostegno delle nostre comunità, dai militari ai paramedici, dagli appassionati di sport agli americani che lavorano sodo ovunque. Non abbiamo mai avuto intenzione di partecipare a una discussione che divide le persone. Il nostro lavoro è riunire le persone davanti a una birra».
Il comunicato però è stato ampiamente criticato. Da destra perché ha rivendicato, seppur tiepidamente, la campagna pubblicitaria; da sinistra perché non ha difeso esplicitamente la comunità trans e anzi ha detto di non voler entrare in discorsi politici; dagli esperti di marketing perché per l’appunto è arrivato con grande ritardo, e nel tentativo di non scontentare nessuno ha peggiorato la situazione. Il Wall Street Journal ha definito l’intera vicenda «un caso da manuale su come non gestire una polemica che riguarda le guerre culturali».
Il fatto che l’attuale boicottaggio di Bud Light e, di riflesso, di vari altri prodotti dell’azienda abbia comunque raggiunto notevoli risultati, intaccando effettivamente le vendite, è piuttosto inusuale. Negli ultimi anni la destra statunitense aveva annunciato il boicottaggio di molti altri marchi popolari, dalle caramelle M&M’s alle patatine Frito Lay, senza avere grosso impatto. Anche i boicottaggi promossi da sinistra ottengono raramente grossi risultati: un esempio recente è quello molto discusso contro il videogioco di Harry Potter Hogwarts Legacy, animato dalle diffuse ostilità e accuse di transfobia verso l’autrice J.K. Rowling, che però è stato uno dei titoli più venduti del 2023.
È troppo presto per dire se l’inflessione nel numero di vendite di Bud Light e Budweiser continuerà o se il boicottaggio diminuirà in intensità finché i suoi effetti scompariranno. All’interno dell’azienda ci sono però state delle conseguenze: Anheuser-Busch ha rimosso dai propri incarichi due delle persone che avevano lavorato alla collaborazione con Mulvaney, il capo del dipartimento marketing di Bud Light Alissa Heinerscheid (la prima donna a ricoprire l’incarico nella storia dell’azienda) e il suo diretto superiore, Daniel Blake. A marzo, Heinerscheid aveva raccontato che le era stato dato un compito molto chiaro: «Mi hanno detto “questo marchio è in declino da molto tempo, e se non attiriamo dei consumatori giovani non avrà un futuro”».
«[Le grandi aziende produttrici di birra] sono particolarmente difficili da far crescere ulteriormente: le vendite di Bud Light sono in calo da anni. Ha da tempo superato il proprio picco, e non sarà ancora a lungo la birra più venduta del paese» ha detto a Vox Dave Infante, giornalista specializzato nel settore delle bevande alcoliche. «[Collaborando con Mulvaney] stavano cercando un modo di allineare i propri valori con quelli di un segmento di consumatori da cui sperano di ottenere una qualche lealtà».
In un articolo sulla polemica, la giornalista Emily Stewart ha fatto anche notare che Anheuser-Busch era stata molto criticata dalle associazioni LGBTQ+ in passato: l’azienda dona infatti regolarmente alle campagne di politici Repubblicani che hanno forti posizioni omofobe e transfobiche, in un contesto in cui oltre 25 stati negli ultimi due anni stanno cercando di introdurre leggi mirate a limitare fortemente le libertà delle persone trans. Per esempio, nel 2021 uno dei bar gay più famosi del mondo, lo Stonewall Inn di New York, aveva smesso di vendere birre Anheuser-Busch per protesta.
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Da un punto di vista globale, il boicottaggio non mette in effettiva difficoltà la società: Anheuser-Busch possiede decine di marchi, tra cui Stella Artois, Hoegaarden e Corona. L’azienda vale oltre 100 miliardi di euro, e il prezzo delle sue azioni è leggermente diminuito in concomitanza con il dibattito, ma ci si aspetta che torni a salire. «È una società molto diversificata e globalizzata, al di là del mercato statunitense e di questo singolo marchio: boicottarla in modo sistematico e prolungato per spingerli a ritirare il proprio sostegno alle persone trans o qualsiasi cosa si pensi che la collaborazione con Mulvaney significhi richiederebbe un’enorme quantità di coordinamento e disciplina che, francamente, la destra non ha mostrato di possedere», dice Infante. «Ci saranno delle oscillazioni, ma se l’azienda dovesse fare marcia indietro non sarebbe perché ha perso dei soldi, ma perché non ci crede abbastanza».