Cos’ha lasciato l’Idice dopo aver travolto questo ponte vicino a Bologna
L'alluvione ha distrutto gli argini e un'infrastruttura importante, e ora riportare tutto com'era prima sarà lungo e costoso
di Valerio Clari, foto e video di Valentina Lovato
Alle tre di notte di martedì 16 maggio è apparso chiaro che l’Idice, uno dei principali affluenti del fiume Reno, avrebbe presto rotto gli argini nel tratto fra Molinella e Budrio, comuni della provincia bolognese, ma poco distanti anche da Ferrara. Restava da capire quale sponda degli argini sabbiosi avrebbe ceduto per prima: se le acque avessero rotto quella sinistra si sarebbero riversate sulla frazione di San Martino in Argine, di 2.000 abitanti, a destra avrebbero invaso Selva Malvezzi, dove vivono circa 200 famiglie.
Entrambe fanno parte del comune di Molinella, 15.000 abitanti distribuiti su un territorio comunale ampissimo, da oltre 120 chilometri quadrati, a un’altitudine media di 8 metri sul livello del mare, la più bassa della provincia. Fino a un secolo fa qui era tutto terreno paludoso. Quella notte per capire cosa e dove sarebbe successo tecnici e amministratori locali, in collegamento con la Protezione civile, osservavano le misurazioni di portata e livelli, ma provavano anche a farsi un’idea guardando di persona la piena del fiume.
Per farlo, un buon punto di osservazione era il ponte della Motta, che univa le due sponde dell’Idice e che costituiva il principale collegamento verso Bologna. Il ponte era chiuso al traffico dalla sera prima, ma gli addetti ai lavori, sindaco compreso, lo usavano per guardare la situazione. E ci passavano i soccorritori che stavano lavorando alle evacuazioni. Qualche ora dopo, nella mattina di mercoledì, il ponte della Motta sarebbe crollato, travolto dalla forza dell’acqua, in un momento in cui non c’era sopra nessuno.
Il crollo del ponte fra Molinella e Budrio è uno dei singoli danni infrastrutturali più ingenti dell’alluvione di una settimana fa: i lavori per ricostruirlo saranno lunghi e molto dispendiosi. Ma inizieranno solo dopo la ricostruzione di un argine che è stato distrutto per un chilometro e mezzo. Prima ancora ci sarà da tappare una falla di un centinaio di metri, che ha portato l’inondazione di una vasta area. Anche a una settimana di distanza ci sono case con un metro e mezzo d’acqua, perché l’Idice ora ha deviato e passa lì vicino. La piena è passata, ma l’acqua in misura minore continua ad affluire.
L’Idice è tecnicamente un torrente, ossia un corso d’acqua che può cambiare notevolmente la propria portata: grandi piene e magre estreme. Dario Mantovani, sindaco di Molinella, viene da una famiglia che vive qui da generazioni: «Non è la prima piena che vedo, e tante ne hanno viste mio padre o mio nonno. Altre avevano rotto anche in punti peggiori, con l’acqua arrivata in centro in paese, ma nessuna era stata così dirompente, con così tanta acqua».
In condizioni normali l’Idice scorre fra due argini, sopraelevati di circa 15 metri sul livello della pianura: il suo letto naturale è largo una ventina di metri. La forza della piena ha allargato gli argini, erodendoli, fino a una larghezza di 80-100 metri, e le acque sono poi tracimate, salendo quindi di almeno 15 metri. È come se da una strada statale di montagna l’acqua avesse creato un’autostrada, per dare un’idea delle dimensioni. Quando è iniziata a tracimare, ossia a passare sopra l’argine sabbioso, era questione di tempo perché si arrivasse a una rottura: l’acqua erode, scava, abbassa il livello dell’argine, crea più spazio per il passaggio di un volume d’acqua sempre maggiore, più forte, più travolgente.
Per questo motivo dalla sera precedente, verificati i livelli, il Comune aveva dato l’ordine di evacuazione di entrambe le sponde: si era partiti da San Martino in Argine, la frazione più popolosa e sulla sinistra, poi l’Idice ha rotto a destra, verso Selva Malvezzi: le operazioni più immediate si sono spostate di là, in seguito anche con i gommoni della Protezione civile. Anche i circa 2.000 abitanti di San Martino in Argine hanno poi lasciato le loro case per quasi una settimana: sono rientrati ieri, domenica, perché prima gli argini non davano certezze.
La rottura, oltre a inondare la pianura circostante, ha dato sfogo alle acque che premevano: è aumentata la loro velocità, sono aumentate le correnti, e il ponte della Motta, che era a monte del punto in cui hanno ceduto gli argini, non ha retto. Era stato costruito negli anni Cinquanta, per sostituirne uno bombardato durante la Seconda guerra mondiale. L’acqua si è portata via piloni e pezzi di strada, altri detriti sono ancora lì, sul letto allargato del torrente.
Il ponte rappresentava la principale via verso Bologna: ora per superare l’Idice bisogna fare un lungo giro di oltre 20 chilometri, su strade poco adatte a un traffico intenso. Teneva insieme frazioni delle stesso paese, alcuni abitanti in questi giorni hanno sottolineato anche un legame “affettivo” col ponte. Ma era soprattutto una struttura importante per l’economia della zona: a Molinella ci sono industrie di condizionatori, di elettromeccanica, di trince (macchine agricole), anche con centinaia di dipendenti: i camion per i rifornimenti dovranno passare per strade di campagna.
Il sindaco Mantovani dice: «La progettazione di un nuovo ponte dovrà avere tempi stretti, per l’importanza che ha per la zona. Ma prima bisogna garantire l’incolumità della popolazione, e quindi tappare la rottura e poi pensare agli argini, che probabilmente andranno rifatti, anche in altra sede rispetto all’attuale. Noi non possiamo avere paura per migliaia di persone a ogni goccia di pioggia». La situazione attuale non permette di affrontare con tranquillità la stagione autunnale: una nuova possibile piena, anche di dimensioni non così eccezionali, potrebbe provocare crolli degli argini scavati dall’acqua in questi giorni, costringendo le due frazioni, e forse non solo quelle, a nuove evacuazioni.
I lavori sono cominciati praticamente un giorno dopo la rottura dell’argine, e ora si concentrano sulla creazione di un argine provvisorio, detto “coronella”, per chiudere la falla lunga di un centinaio di metri. In attesa della sua costruzione l’acqua continua a fluire, seppur lentamente, verso Selva Malvezzi: da lì scola lentamente verso due canali artificiali, Sesto Alto e Sesto Basso, ma le case restano inondate. Serviranno almeno due settimane per ridurre la frattura, altre due per drenare l’acqua. Difficilmente i caseggiati che sono stati più colpiti, anche con un metro e mezzo d’acqua, torneranno subito abitabili: andranno verificati, gli impianti elettrici saranno probabilmente da rifare. Per questo il Comune, che inizialmente aveva collocato parte degli sfollati nel Palasport (altri erano andati da amici e parenti), sta cercando alloggi non utilizzati per ospitare le famiglie nel medio termine.
L’assessora Margherita Carlotti dice: «Di solito io mi occupo di cultura, cinema, teatro e iniziative. In emergenza tutti facciamo tutto. Ci siamo trasferiti nel centro operativo della Polizia locale e proviamo a rispondere a tutte le esigenze più immediate». Gli staff amministrativi di un comune di queste dimensioni sono di solito molto ridotti: il sindaco lavora a tempo pieno, gli assessori hanno sempre altri lavori. Da una settimana una quindicina di persone è stabilmente in quel centro, e l’emergenza non è finita. Domenica era stato trovato un alloggio per i prossimi mesi a una ventina di famiglie: molte sono case offerte gratuitamente da altri cittadini. Restano ancora poche situazioni da sistemare, almeno temporaneamente.
Intanto lungo gli argini dell’Idice enormi camion trasportano massi e terra, dopo aver costruito da zero una strada per arrivare al punto della rottura: due scavatrici li dispongono per costruire la “coronella”. Rifare gli argini lungo due chilometri sarà un’altra opera di dimensioni gigantesche. Dice il sindaco: «La stima è che serviranno milioni di metri cubi di terra, con costi di almeno una decina di milioni di euro solo per la terra».
Una valutazione dei danni definitiva non è ancora possibile, ma l’ordine di grandezza è quello delle decine di milioni di euro: argini e strade provinciali sono di competenza della Regione, a livello economico. Mantovani ha quarant’anni ed entrerà fra poco nell’ultimo anno del suo secondo mandato: «Sono stato sindaco nel post sisma, che ha colpito queste zone nel 2012, poi con la pandemia, poi durante la più grande caccia all’uomo mai vista in zona, per un mese, per quello che era conosciuto come Igor il russo. Poi la guerra in Ucraina, che tocca direttamente la numerosa comunità ucraina di qui: sono almeno duecento persone, diventate molte di più subito dopo l’invasione, per i ricongiungimenti. Adesso l’alluvione. Molinella supererà anche questa».