La Cina si è arrabbiata con i paesi del G7
Per un comunicato in cui avevano criticato le operazioni militari cinesi intorno a Taiwan: il governo cinese ha detto di essere stato «diffamato e attaccato»
Domenica a Hiroshima, in Giappone, si è conclusa una riunione di tre giorni dei paesi del G7, il gruppo informale di sette dei più importanti paesi democratici e industrializzati del mondo. Nella riunione, a cui ha partecipato anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, si è parlato soprattutto della guerra in corso in Ucraina e della possibilità di nuovi aiuti militari al paese per resistere all’occupazione russa.
Si è parlato anche di molti altri temi di politica internazionale, e soprattutto delle tensioni diplomatiche riguardanti Taiwan, isola che si governa in maniera indipendente da oltre settant’anni ma che la Cina considera parte del suo territorio. I paesi del G7 hanno pubblicato un comunicato molto duro nei confronti delle operazioni militari cinesi intorno a Taiwan, a cui la Cina ha risposto con altrettanta durezza tramite il suo ministero degli Esteri.
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Nei mesi scorsi c’erano state diverse esercitazioni militari cinesi intorno all’isola, in particolare dopo una visita della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen negli Stati Uniti (che di Taiwan sono uno stretto alleato).
Sabato i paesi del G7 hanno diffuso un comunicato in cui hanno criticato le operazioni militari, dicendo di essere «seriamente preoccupati per la situazione nel Mar cinese orientale e nel Mar cinese meridionale (dove si trovano le isole dell’arcipelago taiwanese, ndr)», di opporsi «fermamente a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione», e sostenendo che non esista alcuna base legale per le rivendicazioni cinesi. Nel comunicato si sottolineano anche le preoccupazioni dei paesi del G7 per le violazioni dei diritti umani in Cina, con espliciti riferimenti alla repressione delle minoranze del Tibet e della regione dello Xinjiang.
Il comunicato è stato sottoscritto anche dalla Francia, nonostante il suo governo nelle scorse settimane avesse espresso serie preoccupazioni per un eccessivo coinvolgimento dei paesi europei nelle contese tra Cina e Stati Uniti. A inizio aprile, dopo un viaggio diplomatico in Cina, il presidente francese Emmanuel Macron aveva parlato della necessità di ridurre la dipendenza dell’Unione Europea dagli Stati Uniti e di evitare di farsi trascinare in controversie con la Cina come quella su Taiwan.
La risposta della Cina al comunicato del G7 è arrivata poco dopo la pubblicazione del comunicato quando il ministero degli Esteri cinese, tramite un suo portavoce, ha accusato il G7 di «impedire la pace internazionale, minare la stabilità regionale e frenare lo sviluppo di altri paesi» e di aver usato la questione di Taiwan per «diffamare e attaccare la Cina e interferire sfacciatamente negli affari interni cinesi».
Il portavoce ha ribadito che il governo cinese considera Taiwan parte della Cina e che «risolvere la questione di Taiwan» spetta solo al governo cinese. Lunedì il ministero degli Esteri cinese ha anche convocato l’ambasciatore del Giappone a Pechino – in quanto paese ospitante del G7 ma anche in quanto principale alleato dell’Occidente in Asia – per riferire su quanto contenuto nel comunicato.
Ad aumentare la tensione tra paesi del G7 e Cina, domenica c’era stata anche la decisione del governo cinese di vietare agli «operatori delle infrastrutture informatiche chiave» del paese di comprare microchip realizzati da Micron Technology, la più grande azienda produttrice di semiconduttori degli Stati Uniti. L’autorità cinese per la sicurezza informatica ha spiegato che il divieto è stato deciso perché i prodotti di Micron «presentano rischi di sicurezza informatica relativamente gravi» e mettono a rischio la catena di approvvigionamento delle infrastrutture informatiche cinesi. Il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha risposto che le accuse cinesi non hanno «nessuna base».
La decisione cinese rientra in una più ampia “guerra commerciale” tra Cina e Stati Uniti, cominciata lo scorso autunno quando questi ultimi avevano deciso di imporre limiti molto stringenti alle aziende americane per esportare in Cina chip avanzati, con l’obiettivo dichiarato di frenare lo sviluppo della tecnologia militare cinese.