C’è stato anche il pushball
Un gioco a squadre inventato a fine Ottocento, con due porte e una palla piuttosto grande, che a un certo punto sparì
C’è stato un momento, nei primi anni del Novecento, in cui tra Stati Uniti e Regno Unito si diffuse il pushball, uno sport con una palla gigantesca ideato a fine Ottocento da un inventore annoiato dal football americano e dalla difficoltà di seguirne le azioni. Era un periodo di grande fermento e propensione alla novità, anche nello sport, e nonostante le sue premesse bizzarre, quasi da videogioco, il pushball riuscì a farsi notare e soprattutto giocare, peraltro resistendo alcuni decenni in certe università e accademie militari. È uno sport di cui il mondo si è perlopiù dimenticato, forse perché era troppo pericoloso e sregolato o forse perché era troppo goffo e al limite del ridicolo. Anche se può darsi che questa percezione sia una conseguenza, più che una vera causa, del suo fallimento.
Il pushball – che in Italia sarebbe potuto diventare “palla-spinta” – prevedeva che due squadre si sfidassero per portare verso la porta avversaria una palla grande più dei giocatori, che resoconti relativamente moderni dello sport paragonano alla grande palla (in quel caso di pietra) che insegue Indiana Jones nel film I predatori dell’arca perduta.
A pensare a nome e regole del gioco fu Moses G. Crane, costruttore e venditore di telegrafi ma soprattutto inventore parecchio prolifico, che più che per il pushball è rimasto nella storia per i suoi sistemi antincendio. Nato nel 1835 a Newton, in Massachusetts, e laureato ad Harvard, Crane aveva tre figli giocatori di football, uno sport che nelle sue prime forme aveva iniziato a diffondersi già dagli anni Settanta dell’Ottocento.
Il football non piaceva a tutti – un articolo lo definì «incomprensibile, monotono e cruento» – e di certo non piaceva a Crane, che secondo alcuni resoconti disse: «Se solo le palle fossero più grandi, così grandi da non permettere a un giocatore di vedere chi sta dall’altra parte, ci sarebbe modo di rendere il tutto più interessante e divertente». Nella sua idea il gioco avrebbe anche dovuto richiedere grandi doti fisiche e tattiche: doveva essere uno sport faticoso da praticare ma piacevole e allegro da guardare.
Nel 1894 Crane spese 175 dollari (pari a circa 5mila euro di oggi) per realizzare il primo pallone da pushball: era fatto di gomma e di cuoio, per un peso di oltre 30 chili. Insieme con il figlio Edwin aveva intanto elaborato regole sul numero di giocatori e sulle dinamiche di ogni partita, che nei suoi piani si sarebbero dovute giocare su campi rettangolari grandi almeno quanto quelli da football americano.
La prima partita ufficiale di pushball fu nel 1895, a Newton, nell’intervallo di una partita universitaria di football: «È stato molto divertente vedere questa grande palla rotolare da un lato all’altro», venne scritto in un resoconto pubblicato poco dopo sul Boston Globe, nel quale si accennava anche al fatto che «di tanto in tanto un giocatore finisce sotto alla palla e in altre occasioni la palla finisce invece ben al di sopra delle teste dei giocatori».
Non ci sono molte tracce su come, quanto e dove il pushball fu giocato negli ultimi anni dell’Ottocento, ma si sa che riuscì a sopravvivere e arrivare perfino a New York, dove fu talvolta al centro di piccole cronache del New York Times, che ne lodò l’essenzialità («l’obiettivo è spingere la palla») e notò come fosse un gioco «per uomini forti e vigorosi ma al contempo anche un grande divertimento per gli spettatori».
Un articolo di inizio Novecento del National Magazine raccontò poi come nel pushball fosse senz’altro determinante avere una squadra più pesante e muscolare, ma come anche certe tattiche e accortezze potessero permettere di segnare punti e vincere.
Come ricordato dallo storico dello sport John Thorn, negli Stati Uniti – in genere molto localisti nel seguire sport diversi rispetto al resto del mondo – negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento ci fu una particolare «mania sportiva», un desiderio collettivo verso la sperimentazione di nuovi e talvolta strambi contesti di agonismo e competizione.
La crescente fama del gioco è certificata dal fatto che nel 1903 la Spalding, azienda di articoli sportivi fondata 25 anni prima, pubblicò un manuale illustrato con la breve storia e le regole ufficiali del pushball. Secondo il manuale si giocava in squadre da 11 giocatori ciascuna (due dei quali nel ruolo di portieri) con porte a forma di “H”. Far passare la palla sotto la traversa valeva cinque punti, farla passare sopra ne valeva otto e portarla invece oltre la linea di campo avversaria, però fuori dai pali, ne valeva due. Spalding si mise anche a produrre palle da pushball dal peso di circa 20 chilogrammi (quindi un po’ più leggere rispetto a quella di Crane, morto alcuni anni prima) ma pare che in una partita, causa pioggia, una di quelle palle arrivò a pesare dieci volte tanto.
Sempre all’inizio del Novecento, da New York il gioco arrivò a Londra e da lì nel resto del Regno Unito. Seppur ispirato dal football americano, al tempo poco noto in Europa, il gioco aveva tra l’altro – seppur probabilmente all’insaputa di Crane – diversi punti di contatto con certe pratiche relative al cosiddetto mob football, il football delle masse o calcio medievale, in cui appunto ci si sfidava (e talvolta ancora ci si sfida, con squadre composte da centinaia di persone) per conquistare una palla, di solito più grande di una da calcio o da football ma più piccola di una da pushball, e portarla da qualche parte.
La prima partita britannica di pushball fu giocata nel 1902 davanti ad alcune migliaia di curiosi, con regole fin da subito riadattate da quelle statunitensi. I giornali locali notarono che, sebbene ingombrante, la palla fosse facile da spostare e imprevedibile nei suoi movimenti, in certi casi assai influenzati anche solo dal vento. Qualcuno scrisse che il pushball non era «appassionante quanto il calcio» ma che lasciava «molto spazio a tecnica e scienza». Altri ne furono delusi: «Non è attraente quanto il cricket, non è vario e sorprendente come il calcio e nemmeno volatile come il ping-pong», scrisse il Leeds Mercury, il cui giornalista aggiunse che andava bene «una volta ogni tanto» e concluse dicendo che «gli americani non hanno niente da insegnarci quando si parla di sport da esterno».
«Se la palla finisce contro uno dei giocatori, cosa che accade sovente, l’interessato avrà motivi per ricordarsene», fu un’osservazione; un’altra fu che «la palla rimbalza, ma ancora di più lo fanno i giocatori che vengono colpiti». Tra curiosità ed elogi ci fu inoltre chi evidenziò come i giocatori avessero tendenza a fare la fine dei birilli e che il gioco «lento e impacciato» lasciava «poco spazio alle abilità individuali e all’intelletto».
Negli Stati Uniti, intanto, il pushball si diffuse nei campus universitari, come attività goliardica, oltre che come allenamento propedeutico e complementare al football. Un altro luogo di diffusione del pushball furono le accademie militari, dove dopo la Prima guerra mondiale fu proposto come attività per i reduci che erano diventati ciechi. In questi contesti, tuttavia, molte regole e finezze tattiche si persero e le partite, spesso giocate da svariati giocatori per squadra, si avvicinarono molto a quelle del mob football.
Su certi campi e in certi contesti il pushball fu giocato per buona parte della prima metà del Novecento e in certe occasioni anche oltre, ma finì con l’essere abbandonato soprattutto per via della sua pericolosità: «Scelsi di smettere perché preferivo la mia vita al pushball» raccontò un ex praticante statunitense.
Prima di sparire il pushball ebbe comunque modo di evolversi in altre versioni: lo si giocò a cavallo, sul ghiaccio con i pattini e intorno agli anni Venti ci fu anche il pushball motorizzato, con le auto. Anche questa versione, quella più da videogioco di tutte, non ebbe però grande seguito e il pushball è rimasto quello che secondo Atlas Obscura «è forse è il più bizzarro sport dimenticato nella storia degli Stati Uniti».
Non si può sapere tuttavia se con una diversa evoluzione e soprattutto con maggiori attenzioni a evitare rischi o derive del gioco, il pushball sarebbe potuto sopravvivere e magari, con il passare del tempo, crescere come sport di nicchia, con regole non granché originali ma con una palla come non se ne vedono in nessun altro sport.
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