Cosa c’è da fare dopo un’alluvione
Organizzare i tanti volontari accorsi per aiutare, spalare acqua e fango, svuotare case e cantine e pensare alle montagne di rifiuti
di Valerio Clari, foto e video di Valentina Lovato
Le istruzioni necessarie vengono comunicate in non più di qualche minuto, poi si aspetta una pala, una vanga, uno spazzolone e il gruppo parte. A Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, uno dei comuni della Romagna travolti dall’acqua e dal fango, il centro di raccolta dei volontari è di fronte al palasport. Nelle altre città, come Cesena, Forlì o Faenza, ci sono altri centri adibiti allo smistamento, ma la frequenza con cui i gruppi di volontari si presentano per dare una mano è la stessa.
Sabato è stato un giorno pieno di fango e di ammassi di cose, impilate fuori dalle case, trasformate in un unico blocco dello stesso colore marrone e diventate all’improvviso rifiuti. Dentro quei cumuli c’è di tutto: mobili antichi, libri inzuppati, lavatrici, carrozzine, intere cucine, armadi smembrati, merci che erano pronte per essere vendute.
Nei giorni scorsi le amministrazioni locali, i vigili del fuoco e la Protezione Civile si sono preoccupati di mettere in salvo persone e animali. Poi di ripristinare, per quanto possibile, energia elettrica, acqua potabile e linee telefoniche. Nella bassa Romagna quella fase non è ancora passata, mentre altrove ne è iniziata un’altra in cui ci si dedica a svuotare case, negozi e strade dall’acqua, dal fango e dalle cose diventate inservibili. Il fango e i rifiuti si stanno ammassando fuori dalle case e a un certo punto bisognerà toglierli anche da lì.
È un lavoro che richiede tante braccia, mezzi adatti e soprattutto una precisa organizzazione.
Luca Della Godenza è il sindaco di Castel Bolognese, comune da quasi 10.000 abitanti. A 34 anni è quasi al suo quarto anno di mandato: «Il 2 maggio, dopo la prima alluvione, avevamo circa 65 famiglie sfollate, che allora mi sembravano tantissime. In tre giorni, con 17-20 squadre al giorno e una novantina di persone, abbiamo liberato le case dal fango. Adesso è un altro campionato: quella di venti giorni fa, che allora sembrava un’alluvione che capita una volta ogni cento anni, in realtà è stata una prova generale». Della Godenza dice che quell’esperienza è servita almeno per arrivare più preparati a questa e capire più in fretta quello che bisogna fare durante un’emergenza.
Da quando è arrivata la prima allerta rossa della Protezione Civile si è seguito un rigido protocollo che prevede varie raccomandazioni, dalle comunicazioni da dare alla cittadinanza alla creazione di una catena di comando per gestire l’emergenza. Bisogna prendere decisioni difficili, come sfollare una parte degli abitanti anticipando il momento in cui è chiaro che sia necessario, perché farlo dopo sarebbe tardi. I sindaci devono fare tutto questo da soli.
Poi ci sono una serie di altre cose, più piccole ma comunque importanti, di cui occuparsi: per esempio contattare i responsabili delle fogne, gli addetti agli spurghi, coordinare gli interventi della Protezione Civile, far arrivare i mezzi per spostare le macchine. E poi distribuire radioline a chi si occupa delle operazioni, organizzare i ricoveri per gli sfollati, trovare e definire i luoghi in cui verranno conservati cibo, brandine e coperte, organizzare un servizio di farmacia.
Passata la fase dell’emergenza, in cui sono centrali vigili del fuoco, supporti dell’Esercito e Protezione Civile, arriva quella della pulizia e della messa in sicurezza, in cui si cerca di recuperare le abitazioni in modo da far rientrare a casa almeno una parte degli sfollati.
È il momento in cui i volontari diventano fondamentali. Riccardo Monte a Castel Bolognese si occupa del loro coordinamento: «Sono arrivati molti più volontari di quanti ce ne potessimo aspettare, con una grande risposta. E quindi vanno organizzati per lavorare in modo logico: vanno indirizzati, forse in futuro andranno anche dirottati verso altri centri».
Sono arrivate squadre di calcio, di basket, un gruppo di cento studenti da Bologna, molte persone dai comuni vicini meno colpiti dall’emergenza: qualcuno viene ad aiutare amici e conoscenti, e ha una destinazione precisa, altri si presentano ai punti di raccolta.
A Cesena prima è stato istituito un numero verde, poi su iniziativa di Fabio Zaffagnini, che in città aveva organizzato eventi in un clima assai diverso come il Rockin’1000, è nato un servizio di registrazione online, che si chiama “Volontari SOS” e a cui hanno aderito vari comuni della regione. Serve per gestire in modo organico ed efficiente i volontari, distribuendoli dove servono di più e nei luoghi più vicini alle città in cui vivono.
Arrivati sul posto i volontari vengono organizzati in squadre, si raccolgono le segnalazioni e si inviano sul posto le forze necessarie. Di solito si procede per zone, dando la priorità a quelle più colpite. All’interno di queste si interviene prima sulle abitazioni, poi sugli esercizi commerciali, infine nelle cantine e nei garage. Una volta ripulita una zona si può ampliare il raggio d’azione: a Castel Bolognese circa 2.500 delle 3.600 case dei quartieri residenziali hanno subito danni, l’acqua si è riversata con violenza per le strade, travolgendo tutto e arrivando fino a oltre un metro d’altezza.
Il lavoro dei volontari consiste per lo più nello spalare il fango e nel trasferire all’esterno le cose inutilizzabili, ma bisogna farlo con un certo metodo, che viene indicato nei “briefing” da un paio di minuti che precedono la partenza. Le raccomandazioni sono di non gettare il fango nei tombini, che rischia di ostruire le condutture, ma di raccoglierlo in montagnette, anche sul verde pubblico. I rifiuti vanno spostati fuori dalle abitazioni, per strada, e i mucchi non devono occupare più spazio di un’auto in sosta, per permettere ai mezzi dei vigili del fuoco di passare comunque. Possibilmente non vanno messi vicino a piante o muretti: i camion che li portano via hanno dei bracci metallici chiamati “ragni” con cui li sollevano, e non devono rischiare di portare via altri oggetti o strutture nelle vicinanze.
Ai volontari viene anche raccomandato di entrare nelle abitazioni solo dopo essersi presentati ai proprietari e di non avventurarsi in scantinati bui o potenzialmente insicuri. Alle cantine pensano soprattutto i vigili del fuoco, che utilizzano pompe idrovore, ma nei centri colpiti sono arrivate a dare una mano anche aziende che si occupano normalmente di spurghi, dotate di mezzi e di macchinari utili.
Queste operazioni eseguite in contemporanea dentro a centinaia di abitazioni causano difficoltà alla rete idrica, che subisce cali di pressione, e a quella elettrica: anche a giorni di distanza dall’alluvione possono mancare temporaneamente l’acqua corrente o l’energia elettrica.
Il volume di rifiuti prodotti è enorme, è come se si svuotassero nello stesso momento centinaia di cantine, e in più decine di abitazioni al pian terreno, perché nei piccoli centri le ville unifamiliari e le piccole case sono la maggioranza. Serviranno giorni per smaltirli tutti. Nel frattempo sono raccolti in punti temporanei formando piccole montagne.
Molte costruzioni, specie quelle meno recenti, dovranno poi passare una verifica strutturale, perché la forza dell’acqua o la prolungata umidità potrebbero averne compromesso la stabilità. C’è stato qualche crollo, anche a giorni di distanza dagli allagamenti.