La Francia dovrebbe uscire dalla Quinta Repubblica?
Se lo stanno chiedendo in molti pensando che il presidenzialismo attuale abbia portato a una crisi della democrazia
L’approvazione della riforma delle pensioni voluta dal presidente francese Emmanuel Macron, ottenuta in mezzo a scioperi e proteste tramite un articolo costituzionale che ha evitato il voto del parlamento, ha contribuito a creare in Francia una crisi sociale difficilmente superabile nel breve periodo. E ha aperto anche quella che secondo alcuni commentatori e politici sarebbe una «crisi della democrazia», che potrebbe mettere fine alla Quinta Repubblica e avviare un nuovo processo costituente che porti al superamento dell’attuale modello semipresidenziale. Nelle ultime settimane, infatti, «Abbasso la Quinta Repubblica» è stato uno degli slogan più usati dai milioni di manifestanti che hanno partecipato alle proteste.
La Quinta Repubblica francese, che compirà 65 anni tra qualche mese, è contestata soprattutto per i grandi poteri che permette al presidente di esercitare: rispetto alla precedente, rafforzò infatti l’esecutivo a favore del presidente e sostituì il sistema parlamentare con uno semipresidenziale.
Iniziò alla fine degli anni Cinquanta con l’approvazione della settima Costituzione repubblicana della Francia, quella in vigore ancora oggi, sebbene da allora sia stata rivista 24 volte. Nacque nel contesto della guerra di Algeria, colonia francese dal 1830. Nel 1954 il movimento indipendentista algerino decise di passare alla lotta armata, e la repressione francese fu violentissima: talmente brutale che a livello internazionale cominciò ad essere messa in discussione la stessa presenza della Francia nel paese.
Alla fine degli anni Cinquanta il ritorno alla politica del generale Charles de Gaulle diede una svolta alla guerra. Ritenuto inizialmente il garante dell’Algeria francese e fortemente voluto dai cosiddetti pieds-noirs, i francesi d’Algeria contrari all’indipendenza, de Gaulle cominciò gradualmente a rivedere le proprie posizioni e a riconoscere il movimento indipendentista come un valido interlocutore. Questo cambio di posizione venne vissuto dai coloni e da una parte degli ambienti militari come un tradimento. Quando nel 1961 la Francia avviò dei negoziati col governo provvisorio algerino, un gruppo di generali francesi contrari ai progetti di indipendenza tentò di organizzare un colpo di stato, fermato da un appello di de Gaulle.
Sfruttando questo contesto di grande instabilità politica, che tra l’altro la Quarta Repubblica con i suoi frequenti cambi di governo aveva favorito, Charles de Gaulle venne messo a capo di un governo di transizione incaricato di scrivere una nuova Costituzione che venne approvata a grande maggioranza in un referendum nel settembre del 1958. La nuova Costituzione sostituiva il sistema parlamentare con un più forte e centralizzato sistema semipresidenziale e prevedeva inizialmente che il presidente venisse eletto da un collegio composto da politici eletti. Nel 1962 de Gaulle propose l’elezione diretta del presidente e anche questa modifica venne approvata tramite referendum.
Il presidente della Francia ha dunque oggi un potere di indirizzo politico, specialmente in politica estera. È a capo della diplomazia e delle forze armate, presiede il Consiglio Superiore della Difesa e il Consiglio Superiore della Magistratura, e condivide il potere esecutivo con il primo ministro, che lui stesso nomina sulla base del risultato elettorale (difficilmente, dunque, presidente e primo ministro sono in disaccordo). Ha il potere esclusivo di organizzare un referendum su proposta del governo o delle camere, di sciogliere il parlamento, di nominare tre membri e il presidente del Consiglio costituzionale, che stabilisce la legittimità delle nuove leggi e, prima di promulgarle, può chiederne il controllo al Consiglio costituzionale.
In condivisione con il primo ministro, il presidente nomina o revoca i ministri del governo, promulga o pone temporaneamente il veto alle leggi, negozia e ratifica i trattati internazionali e, in caso di emergenza nazionale, può assumere pieni poteri e legiferare per decreto.
La Costituzione che diede inizio alla Quinta Repubblica contiene poi una serie di strumenti che consentono di limitare il dibattito parlamentare e di approvare una legge senza passare dal voto del parlamento: è il famoso articolo 49.3 utilizzato per la riforma delle pensioni. Questi strumenti sono stati utilizzati da tutti i presidenti della Quinta Repubblica. L’articolo 49.3, in particolare, è stato applicato un centinaio di volte dal 1958, ma raramente negli ultimi due decenni, quando le maggioranze parlamentari erano più solide, e quasi mai per una riforma importante e al centro di un dibattito pubblico tanto complicato come quello delle pensioni.
Fin dal suo primo mandato Emmanuel Macron ha faticato a scrollarsi di dosso l’immagine di uomo privilegiato più vicino all’élite borghese che ai problemi quotidiani della gente comune. Le sue ultime decisioni sulla riforma delle pensioni, approvata con una “forzatura costituzionale”, hanno alimentato il dibattito su di lui e più in generale sui poteri del presidente, e hanno fatto parlare diversi commentatori di «crisi della democrazia». L’idea del superamento della Quinta Repubblica è comunque presente da tempo nelle discussioni politiche pubbliche francesi.
La sinistra di Jean-Luc Mélenchon e il suo partito, La France Insoumise, portano avanti da anni l’idea di una Sesta Repubblica. Dicono che il potere concentrato e solitario dei presidenti francesi della Quinta Repubblica ha contribuito ad aggravare le divisioni nel paese e ad aumentare la sfiducia popolare nei confronti della democrazia.
Le stesse critiche sono state fatte da Mélanie Vogel, senatrice eletta dai francesi residenti all’estero e a capo del partito dei Verdi in Europa. In un editoriale pubblicato su Le Monde a fine aprile, Vogel scriveva che «nel momento in cui la crisi sociale e la crisi democratica sono una cosa sola» un cambiamento è diventato «l’unico modo credibile per mettervi fine». La Quinta Repubblica, diceva ancora Vogel, ha prodotto «la verticalità del potere, un assurdo centralismo, (..) l’assenza di dialogo, il disprezzo per le parti sociali, il culto del leader e la sopraffazione del parlamento». E questo, concludeva, «ha indebolito la fiducia nella politica, nei partiti, nelle istituzioni»: proponeva dunque la costruzione di una Repubblica «pienamente parlamentare, pienamente rappresentativa, che porti finalmente la Francia nel tempo della democrazia moderna».
Patrick Martin-Genier, docente a Science Po e autore di un libro intitolato Vers une VIe République ou comment refonder la démocratie française (Verso una Sesta Repubblica o come rifondare la democrazia francese), sostiene a sua volta che l’assenza di controlli e di contrappesi al potere del presidente sia diventata «sempre più evidente e sempre meno accettabile», e che la Quinta Repubblica sia «del tutto superata rispetto alle democrazie europee e occidentali», non riformabile se non in modo radicale e più facilmente da superare.
Raphaël Porteilla, docente di Scienze politiche all’Université de Bourgogne, ha parlato di «iper-presidenzialismo» alla francese, che mantiene «ai margini» del processo politico le persone e che in mancanza di una seria opposizione può arrivare all’autoritarismo: «I cittadini si limitano al ruolo di spettatori e, sempre di più, di non votanti». L’affluenza alle urne al secondo turno delle presidenziali del 2022, che ha riportato Macron alla presidenza della Francia per un secondo mandato, è stata la più bassa dal 1969.
Sono preoccupazioni di cui si parla anche per la possibilità che le prossime presidenziali siano vinte da Marine Le Pen, leader dell’estrema destra. Secondo Le Monde è condivisa l’idea, anche tra chi è vicino a Macron, che il «risentimento sociale» creato dalla riforma delle pensioni durerà mesi e forse anni, e che potrebbe favorire politicamente l’estrema destra.
Non tutti però sono d’accordo sulla necessità di superare la Quinta Repubblica e c’è anche chi ritiene che il sistema attuale vada mantenuto.
Alcuni commentatori o studiosi, come ad esempio David Bellamy, professore di storia contemporanea all’Université de Picardie-Jules Verne, pensano che la Quinta Repubblica abbia dimostrato nel tempo «la sua grande flessibilità e adattabilità a ogni sorta di situazione politica: decolonizzazione, guerre, disordini civili, dimissioni o scomparsa di presidenti, coabitazioni (tra il presidente di un partito e una maggioranza opposta, ndr), parlamenti di diverse convinzioni, piccole e grandi maggioranze, referendum vinti e persi, armonia tra le due Camere o, al contrario, conflitto tra loro». Non andrebbe dunque superata, soprattutto in un momento di così grande incertezza politica, perché questo potrebbe essere pericoloso e portare a nuove incertezze ancora.