Com’è il nuovo videogioco di “The Legend of Zelda”

“Tears of the Kingdom” è l'ultimo capitolo della celebre saga di Nintendo, che ebbe un'enorme influenza su un intero settore

(Nintendo)
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Il 12 maggio è uscito The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, videogioco sviluppato e pubblicato da Nintendo per la console Switch. È l’ultimo capitolo della saga The Legend of Zelda, una delle proprietà intellettuali più importanti per Nintendo e in generale una delle serie più amate e influenti della storia dei videogiochi: per questo il gioco era molto atteso e una volta pubblicato non ha deluso le aspettative, ricevendo un plauso pressoché unanime dalla critica.

Tears of the Kingdom è un gioco d’avventura a mondo aperto: il giocatore può cioè muoversi liberamente nel mondo di gioco e scegliere cosa fare e quando farlo. Ci sono isole nel cielo da raggiungere, grotte da esplorare e mostri da sconfiggere, tutti elementi che hanno sempre fatto parte dei giochi di Zelda e che anzi la serie ha contribuito a rendere uno standard. Tears of the Kingdom è il seguito di Breath of the Wild, il precedente capitolo della serie pubblicato sempre su Switch, con cui condivide lo stile grafico e il mondo di gioco.

La sua produzione era iniziata nel 2017 come contenuto aggiuntivo dello stesso Breath of the Wild (nel mondo dei videogiochi le espansioni dei giochi già pubblicati si chiamano DLC, che sta per downloadable content), ma vista la grande quantità di nuovi elementi su cui il team di sviluppo stava lavorando Nintendo decise di trasformarlo in un gioco completo, in modo da poter sfruttare tutte le idee che avevano avuto.

Gli episodi della serie sono solitamente scollegati tra di loro, pur essendo ambientati nello stesso universo, chiamato Hyrule, e pur condividendo diversi elementi, come alcune popolazioni, personaggi o leggende. Nei videogiochi si interpreta un eroe chiamato Link, che deve solitamente aiutare la principessa Zelda a sconfiggere la minaccia rappresentata da Ganon, l’antagonista ricorrente che vorrebbe distruggere il mondo per plasmarne uno suo. Tears of the Kingdom non fa eccezione e ripropone di fatto lo stesso schema: nei momenti iniziali dell’avventura la principessa Zelda scopre che Ganon sta nuovamente minacciando Hyrule e chiede a Link di aiutarla a sconfiggerlo. Idealmente ognuno di questi personaggi rappresenta una parte di una reliquia chiamata “Triforza” (rispettivamente sono il coraggio, la saggezza e il potere), che una volta riunita permette di realizzare qualsiasi desiderio. La sua ricerca e il suo utilizzo sono lo spunto narrativo della maggioranza dei giochi della serie. Anche questo capitolo, come il precedente, sono stati sviluppati sotto la guida di Hidemaro Fujibayashi e Eiji Aonuma, che è la persona all’interno di Nintendo che si occupa della gestione dell’intera serie.

«Tears of the Kingdom è quello che succede quando un team di sviluppo si prende sei anni per dare vita a un seguito, e quando un budget di un progetto tripla-A viene investito quasi interamente nel gameplay» ha scritto Fabio Bortolotti nella sua recensione del gioco su IGN Italia, che si sofferma su alcune scelte fatte dal team di sviluppo che si sono poi rivelate vincenti. Nintendo Switch è uscita oltre 6 anni fa, ed è una console che ormai ha raggiunto la parte finale del suo ciclo di vita. Considerate quindi le limitazioni imposte dall’hardware della console, il team di sviluppo ha deciso di concentrare i suoi sforzi quasi esclusivamente sul gameplay (un termine che definisce sia il come si gioca, sia l’esperienza stessa che il giocatore ha con il videogioco), al fine di rendere l’esperienza di utilizzo il più definita e divertente possibile. Così facendo ha però rinunciato a migliorare il gioco dal punto di vista grafico, ed è per questo che Tears of the Kingdom è sostanzialmente identico, dal punto di vista visivo, a Breath of the Wild.

La trovata che ha reso Tears of the Kingdom speciale è la possibilità data al protagonista di poter combinare quasi tutti gli elementi di gioco tra loro, permettendo così di creare macchinari bizzarri o costruzioni improbabili che permettono di affrontare le sfide proposte dal gioco in maniera creativa e diversa per ogni giocatore. La recensione del Guardian definisce questo senso di libertà “inebriante”: «il regno di Hyrule è vasto e pieno di possibilità, ed essere in grado di muoversi tra cielo e terra è una sensazione che non smette mai di emozionare. Ma Tears of the Kingdom offre anche un livello di libertà fino ad ora inimmaginabile, anche quando si pensa a come approcciare le sfide proposte dal gioco. Il braccio magico di Link permette di prendere, muovere e combinare praticamente qualsiasi cosa all’interno del gioco. Attacca un seme luccicante allo scudo e questo abbaglierà i nemici che provano ad attaccarti, combina l’occhio di un mostro con una freccia e questa seguirà i nemici».

Uno degli elementi più discussi di Breath of the Wild fu la durabilità delle armi: dopo un certo numero di utilizzi infatti queste si rompevano diventando di fatto inutili. Aonuma e il team di sviluppo hanno deciso così di inserire la nuova meccanica di costruzione degli oggetti anche per superare, in maniera elegante e senza sconfessare il precedente gioco, quella che di fatto era stata una delle pochissime critiche ricevute. «Ho amato ogni singolo minuto passato su Tears of the Kingdom», scrive Chris Carter su Destructoid, «ma quello che mi ha davvero convinto, quello che separa questo gioco dal predecessore, è il suo set di poteri. Mi è sembrato di avere sempre il controllo, di poter creare il mio personale percorso».

Nonostante la serie sia una delle più longeve e di successo della storia dei videogiochi, era da un po’ che un nuovo gioco non era così atteso. Il primo capitolo di Zelda uscì nel 1986 per il NES, la prima console casalinga di Nintendo. Lo svilupparono Shigeru Miyamoto, il creatore di Super Mario, e Takashi Tezuka, che formalizzarono proprio con il primo The Legend of Zelda un nuovo modo di concepire i giochi di avventura. La serie è sempre stata considerata influente perché negli anni ha contribuito a creare degli standard che sono poi stati recepiti e rielaborati dall’intera industria. Elementi che oggi diamo per scontati come l’impostazione a mondo aperto (un ambiente di gioco interconnesso non diviso in livelli ma in aree più o meno accessibili in base a determinate condizioni), l’esplorazione, gli enigmi ambientali e persino i “dungeon” (aree speciali ricche di mostri, sfide e ricompense) devono tantissimo, se non tutto, a Zelda. Insieme a Super Mario è stata la serie che più di tutti ha contribuito negli anni Ottanta e Novanta a imporre Nintendo sul mercato e nell’immaginario collettivo, e proprio dopo Super Mario è tuttora la proprietà intellettuale più importante per Nintendo.

Se ogni Zelda, a modo suo, ha contribuito ad aggiungere elementi al genere dei giochi d’avventura, fu Ocarina of Time, pubblicato nel 1998 per Nintendo 64, a far fare un grosso progresso alla serie e all’intera industria. Per la prima volta infatti un’avventura di questo genere fu interamente costruita in un ambiente tridimensionale (i precedenti erano tutti in due dimensioni), codificando un sistema di gioco che sarebbe successivamente diventato uno standard. Ancora oggi l’importanza di Ocarina of Time è riconosciuta da giocatori, appassionati e sviluppatori: Dan Houser, uno dei fondatori di Rockstar Games (lo sviluppatore di Grand Theft Auto), disse in un’intervista al New York Times che se qualcuno sviluppa un gioco in 3D e dice che non sta prendendo spunto o ispirazione da Ocarina of Time o Super Mario 64 (il primo gioco di Mario in tre dimensioni) sta sostanzialmente mentendo.

Dopo Ocarina of Time, nonostante molti dei giochi prodotti in seguito siano ancora considerati ottimi, la serie fu meno influente, e si limitò a interpretare il suo genere anziché cambiarlo come in passato. Questo almeno fino all’uscita di Breath of the Wild, che reinterpretò gli elementi chiave della serie (i dungeon da scoprire, le abilità da acquisire e l’esplorazione) in un contesto di totale libertà, tornando di fatto allo spirito dei primi Zelda della fine degli anni Ottanta. In Breath of the Wild infatti non c’è un preciso ordine in cui fare le cose, e volendo si può andare a sconfiggere il proprio antagonista anche subito, se si è abbastanza bravi per farlo.

Nei primi tre giorni di commercializzazione Tears of the Kingdom ha venduto oltre 10 milioni di copie, diventando il miglior esordio della serie e il secondo miglior lancio di un gioco Nintendo nel Regno Unito. Parte del suo successo è dovuta anche alla capacità di intercettare uno dei più rilevanti trend del settore degli ultimi anni, e cioè quello di creare dei giochi che possano diventare delle piattaforme nelle quali i giocatori passino del tempo a fare attività slegate dalla trama principale. Per esempio come quando in un gioco della serie Grand Theft Auto si gira semplicemente per la città senza avviare nessuna delle attività specifiche previste dalla storia.

In questo senso, le possibilità garantite del gameplay del nuovo Zelda sono persino superiori: secondo Bortolotti gli strumenti messi a disposizione del gioco diventeranno  «un’estensione del vostro pensiero, nonché un incredibile veicolo di libertà ludica. Ogni volta che mi è venuta un’idea, per quanto bislacca o azzardata, sono riuscito a realizzarla. Non mi sono mai venute in mente idee irrealizzabili perché la grammatica è chiara, limpida e lampante. La cosa più bella è che, ogni volta che ho trovato un nuovo elemento da aggiungere ai miei marchingegni, mi si è aperto un nuovo mondo di possibilità. In alcuni casi si riesce addirittura a “barare”, superando certe sfide con meno fatica del dovuto o rimediando ai propri errori con trabiccoli fantozziani». Nel mondo dei videogiochi sono pochissime le serie che vanno avanti per così tanto tempo che riescono ad essere rilevanti per il proprio pubblico, ma sono ancora meno quelle che come Zelda riescono ad avere la forza di imporre la propria visione al resto al mercato e al resto dell’industria.