Il tennistavolo oltre la Cina
Fin qui c'è stato un dominio schiacciante e quasi senza paragoni, tanto da diventare un problema, ma forse qualcosa si sta muovendo
Ci sono paesi molto associati a certi sport, ma il cui presunto dominio in quegli sport perde un po’ di solidità di fronte ai fatti: il Brasile non vince i Mondiali maschili di calcio da più di vent’anni, e quelli femminili non li ha mai vinti; la Nuova Zelanda ha vinto solo tre dei nove Mondiali maschili di rugby a cui ha partecipato; e sono anni che nello sci alpino la nazionale austriaca non se la passa molto bene. Non è così nel tennistavolo: che sia un singolo o un doppio, maschile, femminile o misto, vince quasi sempre la Cina.
I Mondiali di tennistavolo iniziano sabato in Sudafrica e con ogni probabilità saranno come di consueto dominati da atleti cinesi. Qualcosa però si sta muovendo anche altrove, e oltre all’intero movimento del tennistavolo a beneficiarne potrebbe essere anzitutto la Cina.
Il tennistavolo non fu inventato in Cina ma in Europa, probabilmente nel Regno Unito di fine Ottocento, come versione più semplice, ricreativa e da salotto, della pallacorda o del “tennis da prato”, di cui all’inizio ebbe lo stesso sistema di calcolo dei punti. Pare che il gioco nacque come svago da praticare sui tavoli a fine pasto, con libri o scatole di sigari come reti e con tappi di sughero riadattati a palline. È tuttavia uno di quei casi in cui risulta difficile avere certezze su chi e quando fu il primo a far rimbalzare palline su un tavolo con una rete in mezzo. Il nome onomatopeico ping pong si diffuse presto, già da prima che nel 1901 diventasse marchio registrato di un produttore di racchette.
Una federazione internazionale del tennistavolo esiste dal 1926, anno dei primi Mondiali, e già negli anni Trenta ci si accorse di come e quanto il gioco piacesse in Cina. Continuò a piacere anche nei decenni successivi, quando a differenza di altre attività (tra cui gli scacchi) non fu vietato. Divenne anzi talmente centrale da avere un ruolo determinante all’interno della “diplomazia del ping pong”.
Il tennistavolo è disciplina olimpica dal 1988 e da allora la Cina ha vinto 32 medaglie d’oro su 37 assegnate, e più del doppio delle medaglie complessive. Nel singolo femminile l’oro olimpico è sempre stato vinto da un’atleta cinese, quasi sempre dopo una finale contro un’altra atleta cinese; nel singolo maschile l’ultimo oro non cinese risale ad Atene 2004.
La Cina domina nel tennistavolo perché su una passione diffusa e radicata ha innestato un sistema che funziona benissimo. Ci sono sia la quantità (si stima che i praticanti siano almeno 80 milioni) che la volontà e la capacità di trovare e allenare i giocatori e le giocatrici più promettenti. Come al solito in questi casi il talento tende inoltre a generare talento: ex giocatori vincenti diventano allenatori di nuovi giocatori, che già a livello locale affrontano una concorrenza altissima, il tutto in un sistema iperselettivo anche se per certi versi problematico come è quello cinese: un sistema grazie a cui negli ultimi anni la Cina è arrivata a vincere medaglie olimpiche (anche invernali) in sport in cui non aveva pressoché storia, conoscenze e infrastrutture.
La Cina vinceva quasi sempre già prima che il tennistavolo diventasse olimpico, ma l’arrivo alle Olimpiadi diede una spinta considerevole: il tennistavolo costa poco e si può praticare quasi ovunque, eppure è in grado di portare alla Cina, ogni quattro anni, quattro o cinque medaglie d’oro pressoché certe.
Anche ai Mondiali stravince: l’ultimo oro non cinese nel singolo maschile fu vent’anni fa, l’ultimo nel singolo femminile trent’anni fa. Nel doppio maschile la Cina ha vinto 13 degli ultimi 15 ori, nel doppio femminile 21 degli ultimi 22. Per mantenere questi standard, ai Mondiali sudafricani di Durban, che iniziano sabato e finiranno il 28 maggio, la Cina punta a vincere ognuna delle cinque competizioni (singolo e doppio maschile e femminile, e doppio misto) in cui si affronteranno circa 600 atleti da tutti i continenti.
Per la ITTF, la Federazione internazionale di tennistavolo, il dominio cinese è un valore, ma anche un problema. Molte federazioni vorrebbero avere un mercato grande e profittevole come quello cinese, che anzitutto porta parecchi soldi (la Federazione ha rinnovato da poco il suo accordo commerciale con la Agricultural Bank of China). Nessuno sport vorrebbe però decenni di dominio da parte di un unico paese: «È ancora uno dei più grandi problemi che dobbiamo affrontare», ha detto il presidente dell’ITTF Steve Dainton, che è australiano ma parla un cinese fluente.
Serve che la Cina porti altrove parte delle sue esperienze e competenze – «è tempo che condividano quello che sanno» ha detto Dainton – e serve che lo faccia perché uno sport in cui vince un solo paese fatica a farsi giocare e guardare altrove. Nel lungo termine rischia inoltre di farsi troppo locale, poco rilevante e sempre meno olimpico. Il tennistavolo deve inoltre fare i conti con l’ascesa parallela e paragonabile di pickleball e padel, due sport per molti versi a metà tra il tennis e il tennistavolo.
Fuori dalla Cina, comunque, qualcosa su cui lavorare e qualcuno su cui sperare c’è. Gli svedesi Kristian Karlsson e Mattias Falck arrivano ai Mondiali di Durban da campioni in carica nel doppio maschile (una disciplina un po’ trascurata perché non olimpica) e ai Mondiali del 2021 il nemmeno ventenne Truls Möregårdh, che al momento è settimo nella classifica mondiale, arrivò in finale nel singolo. Ci si aspetta molto anche dal giapponese Tomokazu Harimoto, stabilmente tra i migliori dieci al mondo: figlio di genitori cinesi emigrati in Giappone, gioca ad alti livelli da quando ha 14 anni e gli è già successo di battere i giocatori cinesi più competitivi
Un altro atleta che sta avendo ottimi risultati e sembra avere ancora margini è il brasiliano Hugo Calderano, attualmente sesto nella classifica mondiale ma che nei mesi passati era arrivato a essere terzo dopo aver vinto due importanti tornei. «Penso che possa essere parte del cambiamento che cerchiamo» ha detto Dainton, anche perché Calderano è un personaggio interessante: parla sette lingue, compreso il cinese, e il suo record di velocità nel risolvere il cubo di Rubik è di 5,61 secondi, un paio di secondi sopra al record mondiale.
Nato a Rio de Janeiro e cresciuto in Francia, Calderano vive nel sud della Germania, dove a Ochsenhausen, piccola e paciosa città di novemila abitanti, c’è un importante centro dedicato al tennistavolo. Di lui si dice che sia un giocatore d’attacco, parecchio abile nel variare i colpi in base ai momenti e all’avversario. «È il migliore al mondo» ha detto di lui il giocatore francese Simon Gauzy, «e ha un gioco super aggressivo che, quando funziona, è incontenibile». Il suo allenatore, Jean-René Mounier, ne ha elogiato le doti fisiche e mentali e la grande dedizione; ha inoltre detto che alla base dei loro allenamenti non c’è «l’idea di copiare e incollare quello che fanno i cinesi ma lavorare sulle sue peculiarità per sviluppare uno stile di gioco unico e il più esplosivo possibile».
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