Ci siamo stancati delle parodie di Wes Anderson?
Video e finti trailer sui social mostrano quanto del suo stile cinematografico sia imitabile tecnicamente (molto) e quanto no
Asteroid City, diretto dal regista statunitense Wes Anderson e in uscita in Italia a settembre, è uno dei film in concorso al festival del cinema di Cannes e tra i più attesi del 2023. Lo è per la quantità notevole di attori famosi presenti nel cast, tra cui Scarlett Johansson, Tom Hanks, Margot Robbie, Bryan Cranston, Steve Carell e altri più assidui nei film di Anderson. Ma lo è soprattutto per la fama del regista e la stima di cui gode ormai da molti anni, che presumibilmente accrescono anche il desiderio e la disponibilità di attori e attrici a recitare nei suoi film, fosse anche per una parte di pochi minuti.
Anderson fa film di successo e che passano per i festival da 25 anni, ma è probabile che ad accrescere la sua popolarità più recente ed estenderla tra le persone più giovani abbia contribuito in qualche misura anche una diffusa tendenza a imitare il suo stile cinematografico per la produzione amatoriale di brevi clip, finti trailer e video condivisi sui social. Questa tendenza, che nelle settimane scorse è tornata attuale su TikTok ed è stata peraltro rinvigorita dall’utilizzo di software di intelligenza artificiale, ha evidentemente a che fare con la riconoscibilità dello stile di Anderson e con la parte di quello stile più facile da riprodurre tecnicamente: che è soltanto una parte, appunto, ma è comunque centrale nella sua estetica.
Le frequentissime parodie e imitazioni dello stile di Anderson, che su Internet circolano ormai da anni, da un lato hanno generato tra molte persone il tipo di assuefazione e indifferenza comune ad altri fenomeni dei social più o meno fugaci: assuefazione in alcuni casi estesa anche ai film stessi di Anderson, che alcuni trovano ormai troppo ripetitivi e autoreferenziali.
Dall’altro lato hanno fornito diverse occasioni di concentrare l’attenzione sull’estetica di quei film, portando alcuni a riflettere sul perché lo stile di Anderson risulti più semplice da imitare rispetto a quello di altri registi. A prescindere da quanto ciascuno di quei tentativi di imitazione sia poi effettivamente riuscito. Lo scarto tra l’“originale” e le copie, più o meno ampio a seconda dei casi, ha dato l’opportunità sia di comprendere i limiti tecnici e di ingegno presenti nelle imitazioni, sia di intuire l’assenza dei molti altri elementi che – a parte le inquadrature simmetriche, i movimenti di camera e i colori pastello – costituiscono lo stile di Anderson nel complesso.
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Ultimamente i “video alla Wes Anderson” hanno ottenuto molto successo su TikTok, dove è diventata una tendenza utilizzare il suo stile per girare brevi video in cui ciascun utente descrive la propria giornata o una qualche routine, recitando come se fosse in un film di Anderson. Oltre alla composizione simmetrica delle inquadrature, i filtri cromatici e altri tratti più o meno riconducibili allo stile di Anderson, i video hanno come musica di sottofondo una canzone del compositore francese Alexandre Desplat tratta dalla colonna sonora di The French Dispatch, il film di Anderson uscito nel 2021.
Dopo la recente pubblicazione di due finti trailer di film famosi girati alla Wes Anderson, elaborati da uno studio di produzione che utilizza software di intelligenza artificiale (e che quindi sono creati automaticamente da un programma grafico sulla base di alcune indicazioni degli sviluppatori), la questione dell’insofferenza di molti per le parodie si è sovrapposta a un altro dibattito in corso, più ampio e generico, relativo ai progressi dell’intelligenza artificiale e alle possibili ripercussioni anche per il cinema.
Entrambi i finti trailer riguardano famosissime saghe cinematografiche, Il Signore degli Anelli e Star Wars, e hanno ricevuto milioni di visualizzazioni. Utilizzano immagini generate artificialmente ma di attori e attrici reali, alcuni dei quali sono frequenti interpreti di film di Anderson: Bill Murray, Tilda Swinton, Jason Schwartzman e Owen Wilson, tra gli altri. Ma ce ne sono altri molto apprezzati anche dal pubblico più giovane, come per esempio Timothée Chalamet.
I finti trailer sono stati generalmente apprezzati per la capacità di cogliere alcuni tratti noti dello stile di Anderson, probabilmente i più semplici da individuare e riprodurre. Ma alcuni osservatori ne hanno ricavato anche sensazioni di spaesamento simili a quelle suscitate in molte persone dalla visione di immagini generate da piattaforme basate sull’intelligenza artificiale come Midjourney. Nel caso dei finti trailer di film alla Wes Anderson sono sensazioni in parte indotte dai gesti meccanici e dalle espressioni “robotiche” dei personaggi, che però sono in una certa misura simili a espressioni umane effettivamente molto presenti nei film di Anderson. Ed è probabile che questa caratteristica contribuisca insieme ad altre a rendere i film di Anderson più facilmente riproducibili di altri. Fino a un certo punto, però.
Il sito A.V. Club ha scritto che basta osservare l’«inquietante, vuota immobilità di ogni fotogramma per capire che né Anderson né alcuna creatura a sangue caldo ha messo mano alla creazione di queste immagini». E ha citato un’espressione utilizzata anche da altri per commentare questi video: uncanny valley, la teoria della robotica secondo cui superata una certa soglia di somiglianza con la figura umana l’eccessivo realismo nei robot antropomorfi può produrre sensazioni di disagio e turbamento.
L’ipotesi che le parodie, anche quelle tecnicamente più apprezzabili, possano anche solo lontanamente essere confuse con veri film di Anderson è stata perlopiù esclusa da appassionati ed esperti di cinema. Ed è stata derisa dall’attore statunitense Jared Gilman, conosciuto per il suo ruolo di ragazzino protagonista nel film di Anderson del 2012 Moonrise Kingdom, che ha definito una «cagata» tutto il genere di parodie dei film di Wes Anderson generate dall’intelligenza artificiale. «Spero che non ne guardi mai nessuno», ha poi scherzato parlando di Anderson.
https://t.co/J8sVntsZYt pic.twitter.com/QbN7BFmyXR
— Jared Gilman (@realJaredGilman) May 10, 2023
La familiarità di molte persone con l’estetica e lo stile cinematografico di Anderson è una condizione che ha certamente favorito il successo e la diffusione di questa forma di manierismo sui social, ma allo stesso tempo ha reso più semplice notare i limiti di quelle parodie. A proposito del finto trailer del film Il Signore degli Anelli il critico del Guardian Stuart Heritage ha fatto notare che, oltre al fatto che i personaggi sembrano più dei cartoni animati che degli esseri umani, «i colori sono tutti sbagliati». E ha scritto che il trailer è «pieno del genere di orrende panoramiche e zoom che Anderson ha accuratamente evitato per tutta la sua carriera». In breve: sono finti trailer di film rifatti alla Wes Anderson, ma rifatti male, secondo Heritage, che estende questa valutazione anche alle parodie su TikTok.
Resta il fatto che c’è comunque qualcosa nello stile di Anderson che lo rende evidentemente attraente per i tiktoker e i creatori di contenuti per i social più di quanto lo siano altri registi, come ha scritto sul sito The Conversation Tom Hemingway, docente inglese di cinema alla University of Warwick. E questa tendenza si spiega comunque molto facilmente, secondo lui: perché se si sceglie di imitare lo stile di un regista, banalmente, non c’è niente di meglio di uno il cui lavoro sia immediatamente riconoscibile.
«I film di Anderson sembrano diversi da quasi tutto ciò che viene pubblicato oggi», ha scritto, elencando alcuni dei tratti tipici di quei film: le inquadrature spesso statiche, i personaggi e gli oggetti posizionati al centro, le simmetrie nelle inquadrature e la scelta di colori molto definiti e tavolozze molto omogenee. Ci sono poi movimenti di camera molti riconoscibili, che da un punto periferico della scena convergono rapidamente verso il centro, e altre scelte di montaggio, fotografia e scenografia che denotano una cura dei particolari minuziosissima e difficile da bilanciare nel modo in cui ci riesce Anderson: difficile per qualsiasi essere umano, prima che per qualsiasi intelligenza artificiale. I video di TikTok alla Wes Anderson «potrebbero non interagire completamente con le complessità tonali dei suoi film, ma sono in grado di imitare facilmente quello stile visivo a un livello base», ha scritto Hemingway.
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Quanto ciascuna parodia sia più o meno riuscita dipende poi chiaramente anche dalle ambizioni e dalle risorse impiegate per realizzarle. Una delle più apprezzate ed esplicite fu il trailer di un finto film horror diretto da Wes Anderson, trasmesso nel 2013 durante il famoso programma comico televisivo Saturday Night Live (SNL) e interpretato da Edward Norton nella parte di Owen Wilson, Noel Wells in quella di Gwyneth Paltrow e Kate McKinnon in quella di Tilda Swinton (Wilson, Paltrow, Swinton e Norton sono tra quelli che hanno recitato più spesso nei film di Anderson). Oltre agli stereotipi sulle inquadrature e sui colori, metteva insieme una serie di altri elementi relativi alla scenografia, ai costumi, alla sceneggiatura e alla musica, con una cura e un’attenzione che secondo il sito Collider fecero di quel trailer «una delle cose più ammirevoli mai realizzate dal SNL».
La riconoscibilità dei film di Anderson è data anche dal fatto che, più di altri registi famosi, è rimasto coerente rispetto alla stessa estetica cinematografica per tutta la sua carriera. Qualunque sia l’insieme complesso e articolato di tratti stilistici del suo modo di girare i film, è qualcosa di ricorrente e che genera ogni volta che esce un nuovo film lo stesso tipo di attesa impaziente tra i suoi estimatori. Ed è anche qualcosa che inevitabilmente, soprattutto negli ultimi anni, ha generato una certa assuefazione alla “forma” – oggetto di parodie, appunto – e una maggiore concentrazione di attenzioni verso tutto quello che rimane della narrazione, tolte le “cose alla Wes Anderson”.
Una delle obiezioni più condivise tra i critici di Anderson è che lui stesso sia rimasto “incastrato” in una sorta di parodia di sé stesso, e che i suoi film più recenti siano meno memorabili non perché brutti ma perché privi dell’originalità che avevano i primi. Contestando questa opinione, il giornalista del Guardian Gwilym Mumford si è però chiesto perché Anderson dovrebbe cambiare il suo stile, ammesso che sia quello il suo limite: «Non dovrebbe invece essere celebrato per aver trovato una modalità originale di narrazione, e aver lavorato film dopo film per perfezionarla?». Al netto di ciò, è stata opinione di gran parte della critica che gli ultimi film di Anderson, per quanto formalmente apprezzabili, non avessero l’inventiva e la profondità di trame, personaggi e dialoghi che avevano quelli della prima parte della sua produzione, più o meno fino a Grand Budapest Hotel del 2014.
Tolte le cose alla Wes Anderson, inoltre, resta comunque molto altro. Seppure mostrata attraverso una forma stilistica rimasta sempre molto coerente, c’è stata comunque un’evoluzione anche nei film di Anderson: i più recenti hanno assunto tonalità più cupe e trattato temi più pesanti, tra cui la «minaccia strisciante dell’autoritarismo», ha scritto Mumford. E in generale Anderson ha affrontato argomenti di vario genere: drammi storici, film di viaggio, commedie di formazione, saghe familiari.
Secondo il critico Heritage c’è infine un’altra parte spesso trascurata del cinema di Anderson e rispetto alla quale le parodie nemmeno ci provano, a misurarsi con l’originale: i dialoghi. E cita il punto del trailer di Asteroid City in cui il personaggio interpretato da Jason Schwartzman dice a quello interpretato da Scarlett Johansson: «Non mi piace il modo in cui ci guardava l’alieno, come se fossimo spacciati». E lei risponde: «Forse lo siamo». Quantomeno su questo aspetto, conclude Heritage, «non puoi parodiare Wes Anderson, perché lui sta già parodiando sé stesso».