Le accidentate iniziative nazionali per prevenire i rischi da alluvioni
“ItaliaSicura” nel 2019 fu sostituita da “ProteggItalia”, ma entrambe sono state poco efficaci per scarsa continuità e lentezze burocratiche
Ogni volta che in una zona d’Italia avviene un’alluvione o una frana scienziati ed esperti ripetono che non bisognerebbe solo intervenire in caso di emergenza, per soccorrere e limitare i danni, ma anche in maniera preventiva, per evitare problemi in caso di fenomeni meteorologici estremi. L’alluvione in Emilia-Romagna ha rianimato questo dibattito, che stavolta si è sviluppato anche attorno a questioni politiche relative a ItaliaSicura, una struttura amministrativa creata dal governo di Matteo Renzi nel 2014 per finanziare e realizzare opere di prevenzione, sostituita poi nel 2019 dal piano ProteggItalia del primo governo di Giuseppe Conte.
Si sa che il territorio italiano è vulnerabile agli effetti delle alluvioni, non solo perché si verificano periodicamente nel paese ed è facile ricordarselo, ma anche perché esistono studi molto dettagliati sui rischi specifici di ogni parte del paese in caso di disastri naturali di ogni genere, terremoti compresi. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), un ente di ricerca pubblico legato al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, analizza dove è maggiore la pericolosità per frane e alluvioni, dove le coste subiscono più erosione e quali e quanti sono i rischi per la popolazione, gli edifici, le imprese e i beni culturali in tutto il paese.
L’ultimo rapporto dell’ISPRA sul tema è del 2021 e dice che il 93,9 per cento dei comuni italiani (cioè 7.423) «è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera», che le persone esposte al rischio di frana sono 1,3 milioni e quelle esposte al rischio di alluvioni 6,8 milioni. Dice anche che le regioni con più abitanti a rischio per frane e alluvioni sono, in ordine, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.
ItaliaSicura era una “struttura di missione”, espressione tecnica con cui si intendono enti creati dal governo nazionale o dalle amministrazioni locali per raggiungere determinati obiettivi, in questo caso prevenire i danni da dissesto idrogeologico con una serie di interventi da realizzare in una decina d’anni. Era formata da 16 tecnici provenienti da ministeri, dal dipartimento della Protezione Civile, da Invitalia, l’agenzia del governo che si occupa della crescita economica del paese, e da due esperti esterni alle istituzioni: Erasmo D’Angelis, giornalista e politico del Partito Democratico con varie esperienze in ambiti di tutela e gestione dell’ambiente, e Mauro Grassi, economista esperto di disastri ambientali, a sua volta con alcune esperienze politiche.
In questi giorni sia D’Angelis che Grassi sono stati intervistati sulla vicenda di ItaliaSicura. Parlando a Omnibus, su La7, D’Angelis ha detto che ItaliaSicura «ha realizzato il primo piano di opere e interventi regione per regione»: 10.361 opere, che potrebbero essere attuate ancora oggi, alcune con progetti ben definiti, altre meno, «per un costo presunto» intorno ai 30 miliardi di euro. Queste opere e interventi prevedono tra le altre cose la costruzione di argini e vasche di laminazione, rifacimenti di canali, aperture di fiumi tombati (cioè che passano sotto case e strade) e consolidamento dei versanti a rischio frana in tutte le regioni. L’idea era di stanziare ogni anno circa 3 o 4 miliardi di euro, ha spiegato D’Angelis, e farlo con una struttura che potesse lavorare anche con governi diversi per dare continuità agli interventi.
ItaliaSicura coordinava il lavoro di tante istituzioni: i ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture, dell’Agricoltura, dei Beni culturali e dell’Economia, delle Regioni e vari enti locali. Gli 8,2 miliardi di euro stanziati in totale dal governo Renzi e poi da quello di Paolo Gentiloni e non usati del tutto vennero messi insieme usando fondi non spesi da diversi ministeri, scrive il Sole 24 Ore.
Nei quattro anni in cui è stata attiva si è occupata dell’apertura o della riapertura di 1.445 cantieri, ma solo una parte venne portata a termine e secondo un’analisi della Corte dei Conti relativa al 2016-2019 la gestione dei fondi presenti in quegli anni non funzionò bene: «Non sembra ancora essere compiutamente definita una vera e propria politica nazionale di contrasto al dissesto idrogeologico, di natura preventiva e non emergenziale, coerente anche con una politica urbanistica e paesaggistica, rispettosa dei vincoli ambientali, con interventi di breve, medio e lungo periodo». La Corte definì «in larga parte inefficace» l’intervento pubblico nazionale e criticò il fatto che da un governo all’altro si cambiassero i processi decisionali per portare avanti gli interventi.
I lavori di ItaliaSicura vennero interrotti nel 2019, quando il governo Conte riportò la gestione dei rischi di dissesto idrogeologico al solo ministero dell’Ambiente. Il governo ritenne che una struttura di missione rappresentasse un costo inutile. Ebbe un peso nella scelta anche il fatto che ItaliaSicura fosse un organismo legato a Renzi, che il Movimento 5 Stelle aveva contestato duramente nei precedenti anni all’opposizione. Formalmente ItaliaSicura fu sostituita nel 2019 dal piano ProteggItalia per cui fu previsto uno stanziamento di 14,3 miliardi fino al 2030.
Sempre secondo la Corte dei Conti però nemmeno ProteggItalia è stata una soluzione efficace e risolutiva. «Permane la lentezza nell’adozione sia dei processi decisionali che di quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali», ha concluso un rapporto della Corte nel 2021; non c’è stata quella «accelerazione dell’attuazione degli interventi» che sarebbe servita. Le ragioni sono tante e legate alla frammentazione dei processi decisionali, che coinvolgono ancora molti enti nazionali e locali.
Secondo il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ci sono 21 miliardi di euro stanziati per la messa in sicurezza del territorio dal 2019 al 2027 ma ancora non spesi.