L’economia degli Stati Uniti dipende da questi negoziati
C'è il rischio di default se Biden e i Repubblicani non si metteranno d’accordo sul tetto del debito, attorno al quale è stata costruita una complessa battaglia politica
Negli Stati Uniti sono in corso da settimane i negoziati per aumentare il cosiddetto “tetto del debito”, cioè la quantità di soldi che lo stato può prendere in prestito sui mercati e che deve essere autorizzata periodicamente dal Congresso. Sono negoziati molto importanti perché se non sarà raggiunto un accordo nel giro di pochi giorni gli Stati Uniti rischiano di fare default sul proprio debito: rischiano, cioè, di non essere più in grado di ripagare i propri debiti, e questo potrebbe avere conseguenze molto gravi per l’economia americana e mondiale.
L’innalzamento del tetto del debito è una questione periodica della politica statunitense, che in condizioni normali non crea grosse criticità. Negli scorsi mesi, tuttavia, il Partito Repubblicano, che controlla la Camera, ha deciso di trasformare quella che sarebbe una normale funzione di controllo del Congresso in un’arma politica: in cambio dell’innalzamento del tetto del debito ha chiesto al presidente Joe Biden condizioni esose, come enormi tagli alla spesa sociale. Alcuni esponenti Repubblicani, compreso l’ex presidente Donald Trump, hanno fatto capire che sono pronti a mandare il paese in default se le loro condizioni non saranno accettate.
I negoziati sono ancora in corso e le possibilità di raggiungere un accordo sono discrete: il presidente Biden mercoledì ha annunciato che ridurrà la durata del suo viaggio in Asia (dove parteciperà al G7) proprio per partecipare ai negoziati. I giorni per accordarsi però sono pochi: secondo le stime del dipartimento del Tesoro gli Stati Uniti potrebbero raggiungere il tetto del debito entro l’inizio di giugno. Significa che il governo americano, se il tetto del debito non sarà innalzato a breve, terminerà i soldi per pagare i suoi dipendenti, l’esercito, i programmi di assistenza sanitaria, finanziare i lavori pubblici e rispettare i propri obblighi finanziari con gli investitori. Se questi obblighi non saranno rispettati, gli Stati Uniti andranno in default per la prima volta nella loro storia.
Non è la prima volta che gli Stati Uniti rischiano il default perché non si trova un accordo sul tetto del debito: era già avvenuto nel 2011, quando era presidente Barack Obama e, ancora una volta, il Partito Repubblicano controllava il Congresso. Anche allora ci furono negoziati a causa delle richieste dei Repubblicani, ma fu fatto un accordo all’ultimo e il default fu evitato.
Il tetto del debito
Come molti paesi del mondo, e praticamente tutti i paesi dell’Occidente, lo stato americano opera in deficit: significa che le entrate dello stato (principalmente le tasse) sono meno delle spese, e che quindi per finanziare la propria attività gli Stati Uniti hanno bisogno di indebitarsi, cioè di emettere titoli di stato che poi sono comprati e scambiati sui mercati internazionali. Questa pratica è comune e standard: anche l’Italia emette periodicamente titoli di stato per finanziare la propria attività, cioè per pagare gli stipendi pubblici, sostenere l’educazione, la sanità, l’esercito, le infrastrutture e così via.
A differenza dell’Italia, tuttavia, negli Stati Uniti la Costituzione dice che lo stato deve ricevere l’autorizzazione del Congresso per emettere debito. Fino al 1917 serviva un voto del Congresso per ogni singolo prestito. Dal 1917 si è deciso per una pratica più agile: fissare un tetto massimo di indebitamento e permettere al governo di muoversi come meglio crede all’interno di quel limite.
Ogni volta che, a causa dell’inflazione o di un aumento della spesa pubblica, il tetto del debito viene raggiunto è necessario che il Congresso approvi un suo innalzamento, altrimenti il paese rischia di trovarsi senza soldi da spendere anche per l’attività corrente.
Questa situazione è per certi versi contraddittoria, perché il Congresso americano approva già ogni singolo aumento della spesa pubblica tutte le volte che viene votato un taglio delle tasse o un piano infrastrutturale, per esempio. Ma poi deve tenere un voto separato sul tetto del debito per decidere se prendere in prestito o meno i soldi necessari per pagare proprio quelle spese che aveva già approvato in precedenza. Ezra Klein, un giornalista del New York Times, ha definito il tetto del debito «l’aspetto più stupido» della legislazione americana.
Altri analisti ed economisti sono meno critici e ritengono che questo doppio controllo da parte del Congresso sia utile a mantenere il debito pubblico americano sotto controllo, e che i negoziati sul tetto del debito siano un’occasione per le forze politiche di discutere su come ottimizzare la spesa pubblica.
Il negoziato
I negoziati sul tetto del debito ci sono sempre stati, e il partito all’opposizione ha spesso usato il tetto come strumento per ottenere concessioni dal governo in carica. Ma nell’ultimo decennio, in concomitanza con una forte polarizzazione della politica americana, in due occasioni il Partito Repubblicano ha deciso di usare il proprio controllo del Congresso per fare del tetto del debito un’arma politica devastante: è successo nel 2011 e sta succedendo adesso. In cambio del loro assenso all’aumento del tetto del debito, oggi i Repubblicani chiedono tagli della spesa pubblica per circa 5.000 miliardi di dollari, una cifra enorme che rischierebbe di compromettere i piani sociali e infrastrutturali.
Per mesi l’amministrazione di Joe Biden aveva rifiutato ogni negoziato, dicendo che il tetto del debito doveva essere innalzato senza condizioni. Poi, man mano che si avvicinava la scadenza, Biden si è trovato costretto a negoziare con Kevin McCarthy, lo speaker Repubblicano della Camera. Fare un accordo sarà complicato, anche perché McCarthy è uno speaker molto debole e in balia della corrente più radicale del partito, che vuole approfittare del tetto del debito per danneggiare pesantemente l’amministrazione Biden. È probabile che in caso di compromesso Biden sarà costretto a concedere un grosso taglio alla spesa sociale.
L’alternativa, però, sarebbe peggiore. Se gli Stati Uniti non riuscissero ad alzare il tetto del debito lo stato americano non sarebbe più in grado di pagare gli stipendi pubblici e tutte le altre spese. Non riuscirebbe nemmeno a rispettare i propri impegni con i debitori, e questo significherebbe che gli Stati Uniti farebbero default sul proprio debito.
Quando uno stato emette debito sotto forma di titoli di stato o di altre obbligazioni, periodicamente deve pagare ai creditori gli interessi su questi titoli. Se non è in grado di pagare, lo stato è automaticamente in default. Questo sarebbe molto grave per qualunque stato perché un paese in default, cioè un paese che non paga i propri debiti, è un paese di cui gli investitori internazionali non si fidano più, e che fa molta più fatica a finanziarsi nuovamente sui mercati o è costretto a farlo a interessi molto alti.
Questo problema è ancora più grave per gli Stati Uniti, che sono considerati l’economia più stabile del mondo, da cui dipende gran parte della stabilità complessiva dell’economia globale: i titoli di stato americani sono considerati uno dei prodotti finanziari più sicuri del mondo, e sono probabilmente il prodotto finanziario più diffuso in assoluto. Se gli Stati Uniti facessero default, e se il prodotto finanziario più diffuso del mondo si dovesse rivelare non più così sicuro, molti analisti temono che si potrebbero creare grosse e rischiose situazioni di incertezza sui mercati finanziari, con conseguenze potenzialmente catastrofiche.
Secondo uno studio dell’agenzia di rating Moody’s, in caso di un default di breve durata l’economia americana perderebbe circa due milioni di posti di lavoro ed entrerebbe per un breve periodo in recessione. In caso di un default prolungato di qualche mese i posti di lavoro persi sarebbero sette milioni, il PIL statunitense crollerebbe del 4 per cento entro il 2024 e i mercati finanziari perderebbero circa un quinto del loro valore. Altri studi stimano che l’eventuale recessione dell’economia americana contribuirebbe a una recessione complessiva dell’economia globale, con conseguenze gravi un po’ in tutto il mondo.
Inoltre in caso di default i titoli di stato statunitensi non sarebbero più percepiti come privi di rischio, e questo provocherebbe conseguenze sul lungo periodo, che renderebbero più complicato per gli Stati Uniti finanziarsi sui mercati e che danneggerebbero l’immagine del paese come economia più stabile e affidabile del mondo.