Il caso dei tre artisti africani della Biennale di Venezia a cui è stato negato il visto
La curatrice ha accusato l'ambasciatrice italiana di voler compiacere il governo, ma lei ha detto di aver solo rispettato le leggi
Tra il 20 maggio e il 26 novembre 2023 si terrà a Venezia la diciottesima edizione della Mostra internazionale di architettura, nota anche come Biennale Architettura. Quest’anno la curatrice della mostra è la docente di architettura e autrice scozzese-ghanese Lesley Lokko, fondatrice dell’African Futures Institute, una scuola di specializzazione con sede nella capitale del Ghana, Accra. Sotto la sua supervisione la mostra centrale della Biennale quest’anno si concentrerà sull’architettura africana e sulla sua influenza nel resto del mondo. Metà degli architetti invitati a contribuire alla mostra principale è di origine africana.
Pur dicendosi molto soddisfatta del risultato, negli ultimi giorni Lokko ha raccontato in un’intervista al giornale specializzato Building Design di avere avuto problemi con l’ambasciata italiana in Ghana, guidata da Daniela d’Orlandi, che a suo dire avrebbe negato il visto a tre collaboratori che hanno lavorato con lei alla realizzazione di quest’edizione della Biennale.
«Ho messo insieme (e raccolto fondi) affinché quattro team lavorassero alla Biennale, ad Accra, Dublino, Johannesburg e Londra. Ogni squadra è stata centrale per la mostra», ha detto Lokko. «Il fotografo del mio staff, un giovane e talentuoso ghanese, ha contribuito con fotografie sia alla mostra che al catalogo, in tutte le sue sezioni. Ma gli è stato negato il visto dal governo italiano, e in particolare dall’ambasciatrice italiana in Ghana, che mi ha accusato di aver tentato di portare in Europa “giovani uomini non essenziali”». Il visto serviva loro per arrivare in Italia in vista dei vernissage che si terranno a Venezia prima dell’apertura della Biennale, giovedì 18 maggio.
Lokko ha spiegato che la direzione della Biennale ha fatto tutto il possibile per aiutare, ma invano, e ha definito l’ambasciatrice italiana in Ghana «un’ambiziosa diplomatica in carriera che vuole fare bella figura con il governo di destra in carica». Lokko ha detto anche che continuerà ad evidenziare «l’assurdità e l’ipocrisia di una mostra sull’Africa a cui è negato l’accesso agli africani che hanno contribuito a costruirla» durante la conferenza stampa di apertura della Biennale.
I tre uomini che non hanno ottenuto il visto «sono tutti giovani ghanesi istruiti e con un buon lavoro, che lavorano per l’African Futures Institute. Tutte le loro spese sono coperte e hanno con loro un regolare invito da parte della Biennale», ha precisato Lokko.
Rispondendo alle accuse, d’Orlandi ha detto di essersi limitata ad applicare le leggi che regolano l’entrata di persone straniere nell’area Schengen, di cui l’Italia fa parte insieme ad altri 26 paesi europei. D’Orlandi ha spiegato al Post che «la nostra ambasciata non risparmia sforzi per facilitare la partecipazione di artisti ghanesi a importanti mostre d’arte o eventi in programma in Italia. Solo per fare qualche esempio: all’edizione di quest’anno della Biennale sono presenti altri 7 ghanesi, tra cui l’importante artista Ibrahim Mahama; i visti sono stati concessi anche ai partecipanti ghanesi all’edizione 2022 della Biennale e alla Triennale di Milano nel giugno del 2022».
E ha aggiunto: «credo che sarebbe limitante soffermarsi solo su alcuni dinieghi di visto, che derivano dall’applicazione di una normativa che l’Italia e gli altri paesi Schengen sono tenuti a osservare».
Secondo l’ambasciatrice i tre collaboratori di Lokko non erano infatti in possesso dei requisiti necessari per poter entrare legalmente in Italia. Non ha specificato quali fossero, spiegando di non poterlo fare per motivi di privacy. «Pur comprendendo le loro ragioni, la normativa Schengen impone di valutare non la finalità del viaggio o l’affidabilità degli invitanti, ma il possesso dei requisiti previsti da parte di ciascun richiedente, e che, qualora questi non siano soddisfatti, la Sede è purtroppo impossibilitata al rilascio del visto». Tre altri collaboratori di Lokko che hanno richiesto un visto alla stessa ambasciata, ad Accra, l’hanno ottenuto.
Un portavoce della Biennale di Venezia intervistato da Building Design si è detto dispiaciuto di quanto accaduto, dato che poter presenziare all’apertura sarebbe stato «un momento importante, che conclude un lavoro a cui si sono dedicati con grande passione per vari mesi» i giovani ghanesi.
Lo scambio tra Lokko e d’Orlandi ha portato l’attenzione su un tema in discussione da tempo e cioè l’oggettiva difficoltà per i cittadini africani di fare viaggi verso l’Europa legalmente. Le norme che regolano gli ingressi in Italia, così come in molti altri paesi europei, da molti paesi dell’Africa sono infatti state irrigidite negli ultimi anni per impedire che persone arrivate con un visto turistico o temporaneo rimanessero nel paese: il risultato è che per chi arriva dall’Africa è spesso impossibile venire in Italia anche per periodi limitati di tempo. Nel 2019, per esempio, l’ambasciata italiana ad Accra informava che, su 1275 richieste di studenti provenienti da Togo e Ghana che chiedevano di poter venire in Italia a proseguire gli studi universitari, il 95 per cento era stato negato.
«I requisiti per avere un visto sono quasi impossibili da sostenere per la maggior parte degli aspiranti migranti. Al viaggiatore che vuole entrare in Italia è richiesto, ai fini del rilascio del visto, un’assicurazione medica di 30.000 euro valida per i paesi Schengen per il rimborso delle spese mediche, l’assistenza e il rimpatrio in caso di morte o malattia», ha scritto di recente sul Corriere della Sera il giornalista Jacopo Storni, parlando delle difficoltà nell’ottenimento del visto da parte di chi vorrebbe trasferirsi, e non soltanto andare per un periodo limitato, in un paese Schengen. «E poi c’è la parte ancora più difficile. Serve la prova della disponibilità di mezzi sufficienti per sostenere le spese di soggiorno. Le prove richieste possono essere, ad esempio, gli estratti bancari dei sei mesi precedenti. E soprattutto, si richiede una documentazione giustificativa della propria condizione socioprofessionale. Si richiede, di fatto, che l’aspirante migrante sia benestante. Ed ecco perché, nella maggior parte dei casi, i visti non vengono concessi».