Il grande aumento delle esportazioni italiane in Cina è dovuto al Paxlovid
Dopo giorni di ipotesi, Pfizer ha confermato che il governo cinese ha ordinato milioni di confezioni del farmaco prodotte in Italia
Il grande aumento delle esportazioni in Cina rilevato da inizio anno, e del quale si era parlato molto nelle ultime settimane in cerca di elementi per comprenderne le cause, è stato determinato in buona parte dall’alta domanda per il Paxlovid, il farmaco prodotto da Pfizer per trattare i casi di COVID-19 e ridurre i rischi di sintomi gravi. La circostanza è stata confermata dall’azienda farmaceutica al Post (era stata anticipata dal Corriere) e spiega buona parte dell’aumento del 62 per cento delle esportazioni a febbraio rispetto allo stesso periodo del 2022, e il raddoppio rispetto a dicembre dello scorso anno.
Negli ultimi giorni erano circolate numerose ipotesi sulle cause dell’aumento, soprattutto in seguito ad alcune analisi che avevano rilevato come gli incrementi più significativi delle esportazioni verso la Cina si fossero verificati nel settore farmaceutico. L’interpretazione data da analisti e alcuni giornali era che il fenomeno fosse collegato all’acquisto massiccio di farmaci il cui principio attivo è l’UDCA (acido ursodesossicolico), di solito impiegato per trattare problemi alla cistifellea, ma che secondo alcuni sarebbe stato impiegato per ipotetiche proprietà curative nei casi di COVID-19.
ICE Pharma, un’azienda farmaceutica con sede a Reggio Emilia, uno dei principali produttori al mondo di UDCA, aveva però segnalato un livello normale di vendite del proprio prodotto, senza aumenti tali da giustificare la grande crescita delle esportazioni verso la Cina. La società produce comunque il principio attivo, che viene poi impiegato da altre aziende che lo vendono con i loro marchi. Anche queste ultime avevano confermato di non avere avuto un aumento delle vendite in Cina di quella portata.
Le ipotesi sull’UDCA formulate da alcuni analisti ed economisti erano finite su vari giornali, con conclusioni alquanto categoriche seppure in mancanza di conferme e di elementi più solidi. A distanza di qualche giorno, una spiegazione più plausibile è stata fornita da Pfizer: l’aumento rilevato è stato causato in buona parte dalla vendita del Paxlovid, che per il mercato internazionale viene prodotto soprattutto negli stabilimenti di Ascoli (Italia) e Friburgo (Germania).
– Ascolta anche: La puntata di “Ci vuole una scienza” sul Paxlovid
Lo scorso dicembre Pfizer aveva ricevuto un ordine molto rilevante dal governo cinese, che aveva da poco iniziato ad abbandonare le rigide limitazioni della cosiddetta strategia “zero COVID”. Anche a causa della minore efficacia dei vaccini contro il coronavirus impiegati in Cina, il paese si era orientato verso l’importazioni di grandi quantità del farmaco messo in vendita specificamente contro la malattia.
La società aveva deciso di intensificare la produzione ad Ascoli, il cui stabilimento era stato scelto come unico sito produttivo per la Cina, grazie alla maggiore flessibilità offerta dall’impianto per avviare rapidamente produzioni su larga scala del farmaco. Pfizer aveva inoltre lavorato per ottenere dalla Cina le certificazioni necessarie per l’impianto in modo da autorizzare le importazioni e aveva assunto circa 200 nuovi addetti, tra operatori, biologi e ingegneri per gestire la linea di produzione e fare i controlli di qualità e sicurezza.
Considerate le dimensioni del mercato della Cina l’ordine è stato molto cospicuo: circa 5 milioni di confezioni, ha spiegato Pfizer. Ciò ha permesso di ridurre il prezzo di ogni confezione, fino a pochi mesi fa molto alto per il paese. Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, il volume di affari legato alle esportazioni verso la Cina è di conseguenza aumentato sensibilmente, in particolare nel settore farmaceutico: da poco meno di 100 milioni di euro di novembre agli 1,8 miliardi di euro di febbraio. Ascoli è inoltre diventata una delle prime province per l’esportazione di farmaci in Europa, acquisendo contratti e conoscenze che potranno essere impiegati in futuro anche per altri tipi di forniture.