Perché si parla della “ramanzina” degli ultras al Milan
Scene come quelle di sabato accadono spesso e riportano l’attenzione sui rapporti tra tifoserie organizzate e squadre
Sabato sera il Milan ha perso 2-0 a La Spezia nella quartultima giornata di campionato. È stata una sconfitta piuttosto significativa, perché è arrivata dopo quella subita nel derby contro l’Inter di mercoledì scorso e perché ha compromesso anche la qualificazione alla prossima edizione della Champions League. Il Milan insomma è in difficoltà nel periodo cruciale della stagione e rischia di terminarla a mani vuote: un notevole passo indietro considerando lo Scudetto vinto l’anno scorso.
Oltre al risultato, della partita di sabato si sta parlando anche per quello che è successo alla fine. La squadra e l’allenatore, Stefano Pioli, sono andati infatti sotto il settore riservato ai tifosi del Milan e lì sono rimasti per circa un minuto ad ascoltare a testa bassa cosa avevano da dire i capi del tifo organizzato, gli ultras.
Per Pioli è stato un discorso di incoraggiamento; per il presidente del Milan, Paolo Scaroni, «è stata una cosa positiva». La procura della Federcalcio sta però indagando per cercare di capire meglio cosa sia successo, dato che dal 2015 i confronti tra tifosi e squadre possono essere sanzionati se assumono toni minacciosi.
A parlare alla squadra è stata una persona in particolare, Francesco Lucci, capo della “curva sud” milanista in assenza del fratello Luca, ritenuto il vero capo della curva, nonché proprietario della “sede” del tifo organizzato milanista a Sesto San Giovanni e condannato nel 2022 a sette anni di carcere per traffico internazionale di droga. Anche Francesco Lucci ha una lunga serie di procedimenti a suo carico: nel 2018 fu arrestato con l’accusa di estorsione e in passato è stato condannato per reati legati al tifo organizzato, nonché oggetto di Daspo (il divieto di accedere alle manifestazioni sportive).
Non si sa ancora che cosa abbia detto di preciso Lucci ai giocatori, ma la curva aveva poi accompagnato la squadra al rientro negli spogliatoi cantando cori di incoraggiamento. E lo stesso è poi successo domenica al centro sportivo di Milanello, dove i componenti della curva si sono ritrovati per rinnovare il sostegno in vista del derby di ritorno contro l’Inter di martedì sera, sempre davanti a squadra e allenatore.
Fatti come questi, che si ripropongono spesso e un po’ ovunque, riportano l’attenzione sull’influenza delle curve nel calcio italiano. Nel caso del Milan, gli ultras si fanno chiamare esplicitamente “banditi”, il loro simbolo è una persona incappucciata a volto semicoperto, si vestono prevalentemente di nero e obbligano gli altri tifosi a fare lo stesso. I loro capi, come i fratelli Lucci, hanno precedenti penali e processi in corso, eppure tutto questo non impedisce loro di parlare alla squadra, di organizzare coreografie con il sostegno del club o di fare entrare allo stadio ed esporre previa autorizzazione simboli eloquenti, come il volto del tifoso incappucciato con cui si identificano.
Momento difficile per il #Milan 🔴
Il colloquio sotto la curva con i tifosi si chiude fra gli applausi 👏#SpeziaMilan #SerieATIM #DAZN pic.twitter.com/j4ykfzyksX— DAZN Italia (@DAZN_IT) May 13, 2023
Per le società, grandi o piccole che siano, la gestione del tifo organizzato rimane qualcosa di complicato e poco chiaro in cui ogni azione può avere delle ripercussioni, da una parte o dall’altra. Nel caso del Milan, ma anche dell’Inter, si tratta inoltre di organizzazioni estremamente numerose, radicate e con molti interessi. Le due tifoserie milanesi gestiscono da anni alcuni parcheggi attorno allo stadio Meazza a San Siro, e tramite percentuali o gestioni dirette guadagnano anche con i chioschi che vendono panini davanti agli ingressi.
Ma l’influenza che le curve esercitano sui club può passare anche dal semplice tifo. In caso di contrasti o mancate concessioni, per esempio sulla disponibilità di biglietti, gli ultras usano il tifo a loro piacimento, indirizzandolo contro qualcuno o scegliendo di “scioperare”, cioè di non sostenere più la squadra con cori e coreografie fin quando determinate situazioni non verranno risolte. È successo di recente a Napoli, dove il tifo organizzato aveva revocato il suo “sciopero” in un periodo decisivo della stagione soltanto dopo aver ottenuto dalla società alcune concessioni sul materiale da introdurre allo stadio (fumogeni e striscioni in particolare).
Tre anni fa le indagini della procura di Milano sulla gestione dei biglietti da parte dell’Inter avevano intercettato un capo della “curva nord” che minacciava al telefono un dirigente per non averlo avvisato dell’acquisto di un giocatore. I tifosi volevano infatti essere presenti all’arrivo del giocatore in aeroporto per dare il loro “benestare ufficiale” all’acquisto, come sono soliti fare tuttora. In quell’occasione al dirigente dell’Inter fu detto: «Adesso cambiamo tattica, adesso le cose ce le prendiamo per forza e poi vediamo cosa succede».
La persona intercettata era Vittorio Boiocchi, che lo scorso ottobre, poco prima di una partita dell’Inter, è stato assassinato a colpi di pistola sotto casa sua a Figino, un quartiere di Milano, da due persone in moto. Alla fine del primo tempo di quella partita, una volta arrivata la notizia della morte di Boiocchi, i gruppi ultras dell’Inter avevano peraltro deciso di abbandonare la curva in segno di lutto obbligando tutti coloro che si trovavano in quel settore a fare lo stesso. Molte persone che non volevano andarsene erano state fatte uscire con la forza, alcune anche con schiaffi e calci.
L’inchiesta iniziale su biglietti, nata a carico di quattro dirigenti dell’Inter sospettati di forme di collaborazione con gli ultras, fu però archiviata perché quei dirigenti, disse il pubblico ministero, erano vittime «del comportamento estorsivo dei capi tifosi, che li utilizzava esclusivamente per il raggiungimento di finalità di prestigio personale quando non di mero profitto privato».
Negli ultimi anni quasi tutte le grandi squadre sono finite sotto indagine per i loro rapporti con le curve. Nel 2019, per esempio, le indagini sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella curva della Juventus a Torino accertarono l’uso di cori discriminatori come strumento di ricatto nei confronti della società per questioni legate al bagarinaggio, cioè ai biglietti. La dirigenza della Juventus, dopo essere stata criticata e anche punita per i rapporti avuti in passato con alcuni di questi esponenti del tifo organizzato, scelse infine di denunciare le persone che la ricattavano e favorirne l’arresto. Anni prima una vicenda simile coinvolse anche il Milan di Silvio Berlusconi, poi costituitosi parte civile nel processo che condannò per associazione a delinquere otto tifosi.
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