Le accuse in Germania contro l’attore e regista Til Schweiger
Una delle più grandi star cinematografiche del paese è accusata di avere creato ambienti di lavoro tossici sui suoi set
In Germania l’attore, regista e produttore tedesco Til Schweiger, conosciuto tra l’altro per il ruolo del sergente Hugo Stiglitz in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, è al centro di una serie di accuse di abuso di potere che ha avviato un’ampia discussione sulla cultura tossica nell’industria del cinema. Schweiger ha 59 anni ed è una delle più grandi star cinematografiche e televisive della Germania. È molto influente, «può far iniziare una carriera o può farla finire», ha riassunto Der Spiegel raccontando anche che nel mondo del cinema è soprannominato «l’imperatore».
Schweiger non è stato accusato di molestie sessuali, ma nel paese molti giornali fanno comunque riferimento al suo caso citando il #MeToo, il movimento che dagli Stati Uniti si era diffuso in molti altri paesi del mondo in seguito alle accuse contro l’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein. In Germania al centro del discorso è finita un’idea larga di molestie e abusi che comprende il diritto a un ambiente sano, rispettoso e sicuro per attori e attrici, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo. Sulla questione è intervenuta anche la ministra della Cultura tedesca, Claudia Roth.
Alla fine di aprile Maike Backhaus e Alexandra Rojkov, giornaliste del settimanale tedesco Der Spiegel, avevano raccolto e pubblicato le testimonianze di più di cinquanta persone che lavorano nel cinema e che avevano raccontato i comportamenti inappropriati di Schweiger sul posto di lavoro: eccessi di rabbia, intimidazioni, aggressioni verbali, bullismo e ubriachezza molesta. Avevano spiegato come questa situazione fosse la norma e avevano descritto un generale clima di paura sui set di Schweiger.
La maggior parte delle testimonianze riguardava il set dell’ultimo film di Schweiger, Manta, Manta – Zwoter Teil, uscito nel 2023: è un film che lui ha diretto, in cui ha recitato e di cui è co-sceneggiatore. Alcune persone della troupe avevano raccontato che Schweiger arrivava spesso molto ubriaco e che aveva colpito in faccia un loro collega che aveva cercato di impedirgli di entrare sul set, proprio perché alterato dall’alcol e non in grado di lavorare. In molte e molti avevano poi spiegato che Schweiger trattava lavoratori e lavoratrici «come servi della gleba», che inveiva spesso contro di loro, che i limiti di orario di lavoro non venivano quasi mai rispettati e che si erano verificati anche degli incidenti causati dalla stanchezza. Molte persone, scrive Der Spiegel, erano state portate a «un punto di rottura psicologico e fisico» dalla loro esperienza di lavoro con Schweiger.
Durante le riprese di Manta, Manta – Zwoter Teil una giovane comparsa aveva infine detto di essere stata costretta da Schweiger a togliersi il reggiseno per una scena in cui il nudo non era previsto e per la quale lei non era stata preparata. Alcuni dei racconti su Schweiger risalgono anche a dieci anni fa: «Era come se le persone stessero aspettando di parlare da anni», scrivono Rojkov e Backhaus nell’articolo.
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, Claudia Roth, ministra della Cultura, ha deciso l’avvio di un’indagine approfondita e l’approvazione di un codice di condotta vincolante a cui le produzioni cinematografiche si dovranno attenere per non rischiare di perdere i sussidi statali dal prossimo anno. Ha detto poi che, a cinque anni dall’inizio del #MeToo, è finalmente arrivato per la Germania il momento di affrontare la questione: «L’industria creativa e culturale è chiaramente esposta agli abusi di potere, alle aggressioni sessuali e alla violazione delle leggi sul diritto del lavoro. […] Lo dico chiaramente. Anche i geni o i presunti geni non sono al di sopra della legge». La ministra ha poi aggiunto che i tempi in cui il patriarcato «consentiva abusi delle proprie posizioni di potere nel peggiore dei modi dovrebbero davvero essere finiti. Anche se è evidente che non tutti lo hanno capito».
Dopo l’articolo di Der Spiegel, altri lavoratori e altre lavoratrici dello spettacolo si sono fatte avanti e hanno sostenuto che l’atmosfera tossica non si limiti ai set di Schweiger, ma è molto diffusa.
L’attrice tedesca Nora Tschirner, che ha recitato a fianco di Schweiger, senza fare riferimento direttamente a lui ha confermato che le condizioni di lavoro dell’industria cinematografica descritte nell’inchiesta sono da decenni «un segreto di Pulcinella», che viene costantemente ignorato. Lei stessa ha detto di aver presentato delle rimostranze alla società di produzione tedesca Constantin Film, che è anche quella di Manta, Manta – Zwoter Teil, che non erano state però prese in considerazione. L’attrice Caroline Peters ha a sua volta detto che «nessuno ha bisogno di essere sgridato sul posto di lavoro per poter lavorare bene. Sono contenta che se ne parli pubblicamente».
Dopo la pubblicazione dell’articolo, Schweiger ha negato le accuse e uno dei suoi avvocati ha invece accusato lo Spiegel di aver preso dei pettegolezzi che circolavano da anni e di averli presentati erroneamente come dei fatti.
La Constantin Film ha invece cambiato più volte la propria posizione sul caso e la propria versione dei fatti. In una prima dichiarazione la società di produzione ha affermato che le accuse contro Schweiger erano «estremamente incomplete, distorte, e in alcuni casi semplicemente sbagliate». Dopodiché il capo della società Martin Moszkowicz, in un’intervista con il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha detto che era stata avviata un’indagine interna, ha ammesso che durante le riprese di Manta, Manta – Zwoter Teil c’erano stati degli «incidenti molto spiacevoli» e ha confermato l’aggressione fisica al loro dipendente che aveva cercato di allontanare Schweiger dal set perché pesantemente ubriaco.
Tuttavia Martin Moszkowicz si è lamentato del fatto che nessuno dei dipendenti e delle dipendenti che avevano parlato con lo Spiegel si fossero rivolti direttamente all’azienda mettendo tra l’altro in discussione la loro spiegazione di timori di eventuali ritorsioni. Moszkowicz ha anche negato che l’attrice Nora Tschirner avesse denunciato internamente le cattive condizioni lavorative. In una successiva intervista Moszkowicz ha invece ammesso che Tschirner aveva ragione, ha chiesto scusa a tutte le persone coinvolte e ha preso le distanze da Schweiger.
Nel dibattito è intervenuta anche l’Associazione federale dei registi (BVR) spiegando che il grande potere che hanno le maggiori società di produzione non favorisce l’emergere dei problemi legati alle condizioni di lavoro. Ha poi accusato la Constantin Film di aver insabbiato e coperto gli incidenti avvenuti durante le riprese di Manta, Manta – Zwoter Teil, così come i comportamenti molesti di Til Schweiger: e di averli anzi promossi all’interno di «un sistema tossico».
Prima di questo caso, in Germania, si era parlato di #MeToo nel 2018 per una vicenda che aveva coinvolto il regista Dieter Wedel, morto lo scorso anno, che era stato accusato di stupro e molestie da parte di alcune attrici. Se ne era occupato il settimanale Die Zeit in una lunga inchiesta che era stata subito ripresa dalla stampa di tutto il paese (tanto che Wedel era stato soprannominato l’Harvey Weinstein tedesco) e che poi era stata altrettanto velocemente abbandonata.
Sul caso legato a Schweiger è intervenuta Eva Hubert, direttrice di Themis, un centro indipendente istituito nel 2018 e finanziato dal governo tedesco che offre consulenza e sostegno alle persone che lavorano nel mondo dello spettacolo e che hanno subito abusi sessuali. Hubert ha detto che le accuse contro Schweiger hanno innescato «con ritardo» una discussione necessaria: «Come diciamo da tempo la vicenda ha mostrato che l’industria cinematografica è molto lontana dall’essere libera da molestie e violenze». Con la sua fondazione Themis ha fornito circa 2 mila consulenze.
Ferda Ataman, delegata del governo tedesco per la lotta alla discriminazione, ha a sua volta detto che l’industria culturale tedesca è «ancora all’età della pietra» e che i deboli diritti dei lavoratori e delle lavoratrici sono al centro del problema: «Solo chi è dipendente ha il diritto di difendersi e, se necessario, di perseguire i propri datori di lavoro. I liberi professionisti e coloro che hanno un lavoro autonomo o precario non hanno una gamba su cui reggersi». Molti lavoratori e lavoratrici dell’industria cinematografica, ha spiegato ancora, temono di «finire su una lista nera» e di non riuscire a trovare altro lavoro: «Abbiamo bisogno di una valida protezione contro la discriminazione, che al momento non c’è».