Le province italiane con la natalità più alta
Quella nazionale è in calo, ma non in maniera uniforme: ci sono ragioni diverse, tra cui più aiuti e servizi per le famiglie
In un periodo in cui si parla moltissimo di natalità e calo delle nascite, sabato il Sole 24 Ore ha pubblicato alcuni dati dell’ISTAT sulle province con un tasso di fecondità superiore alla media nazionale, attualmente pari a 1,25 figli per donna e previsto in ulteriore calo. Sono 37, in base a dati che risalgono al 2021: 14 di loro, fra l’altro, hanno registrato un aumento rispetto a prima della pandemia.
I dati dicono che nel 2021 provincia italiana col tasso di fecondità più alto è stata Bolzano, con una media di 1,72 figli per donna (nel 2022 è scesa a 1,65): quella di Bolzano è stata anche l’unica provincia con un tasso in crescita rispetto al 2010, quando la sua media era stata di 1,62 figli per donna. Bolzano è anche una delle province in cui il tasso di fecondità è aumentato rispetto al 2019, l’anno precedente all’inizio della pandemia, quando risultava pari a 1,71 figli per donna.
Al secondo posto, dopo Bolzano, c’è Ragusa, in Sicilia, con 1,45 figli per donna, un dato identico al tasso di fecondità del 2010 e in crescita rispetto a quello del 2019 (1,37). Al terzo posto c’è Trento, con 1,42 figli per donna, un dato in calo rispetto al 2010 (1,65) e uguale a quello del 2019.
Tra le altre città col tasso di fecondità superiore alla media nazionale ce ne sono diverse dell’Emilia-Romagna (Modena, Reggio Emilia, Parma, Ravenna e Forlì), della Lombardia (Sondrio, Mantova, Lodi, Monza-Brianza, Cremona, Bergamo, Varese e Brescia) del Veneto (Vicenza, Treviso, Verona, Venezia e Padova), della Sicilia (Palermo, Catania, Siracusa, Trapani e Agrigento), oltre a Cuneo e Novara in Piemonte, Pordenone e Gorizia in Friuli Venezia Giulia, Napoli e Caserta in Campania, e poi Arezzo, Crotone, Barletta, Pescara e Latina.
I dati dell’ISTAT sono significativi perché segnalano una controtendenza rispetto al generale e progressivo calo della natalità dell’ultimo decennio in Italia, un argomento ciclicamente discusso in Italia e non solo. Di calo della natalità si è parlato anche negli ultimi giorni soprattutto a partire da alcuni interventi agli “Stati Generali della Natalità”, un evento pubblico alla sua seconda edizione a cui hanno partecipato anche Papa Francesco e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
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I dati delle 37 province col tasso di fecondità più alto sono comunque molto al di sotto del cosiddetto livello di sostituzione, ossia 2,1: è il tasso che, tenuto conto della mortalità in giovane età, assicura a una popolazione la possibilità di riprodursi mantenendo costante la propria struttura, e che permetterebbe di interrompere il calo demografico.
Francesca Luppi, demografa dell’Università Cattolica di Milano, ha detto al Sole 24 Ore che un obiettivo realistico per mantenere un equilibrio generazionale sostenibile sarebbe raggiungere un tasso di 1,5 figli per donna.
Le province accomunate da una natalità superiore alla media sono molto diverse tra loro e non sono esemplificative, come ha spiegato Luppi, di una qualche “ricetta” per contrastare il calo demografico: anzi, leggere questi dati nel proprio contesto fa capire come il tasso di fecondità dipenda da una varietà di ragioni diverse, in parte legate a tradizioni culturali e in parte all’adozione di specifiche politiche che incoraggiano la parità di genere e la conciliazione tra vita familiare e lavorativa.
Luppi ha spiegato che alcune delle province col tasso di fecondità più alto sono semplicemente più ricche e benestanti di altre, e possono quindi “permettersi” di fare più figli: il dato fa riferimento soprattutto a province della Lombardia, da cui però è esclusa Milano, che infatti non compare tra le 37 province in questione, e dove l’alto costo della vita non sembra attrattivo per le famiglie con figli.
Ci sono poi una serie di province – tra cui Bolzano, la prima d’Italia, ma anche Trento e alcune province venete – in cui l’alto tasso di natalità è stato permesso da politiche familiari e strumenti che hanno semplificato la gestione dei figli.
Luppi ha citato soprattutto il caso del Trentino-Alto Adige, in cui sono stati stanziati fondi pubblici per creare forme di sostegno economico per le famiglie più bisognose, per esempio contributi provinciali assegnati in base all’Isee e servizi per l’infanzia a costi più contenuti. Luppi ha citato anche la configurazione urbanistica – con molti spazi dedicati ai bambini, piste ciclabili e pedonali per andare a scuola, aree gioco – e il modello sociale. In Alto Adige c’è per esempio un fitto tessuto di associazioni che si occupano di welfare familiare e che propongono servizi per la gestione dei figli: Luppi ha citato le tagesmütter o i tagesväter, «mamme/papà di giorno», cioè assistenti domiciliari formati per assistere i bambini e riuniti in cooperative sostenute dalla provincia.
Ci sono poi una serie di province del Sud, dove culturalmente e tradizionalmente si è più abituati a fare più figli, ma in cui però la famiglia è spesso ancora molto ancorata a un modello tradizionale: in questi casi l’alta natalità non è affatto dovuta a politiche favorevoli alla conciliazione tra famiglia e lavoro. Catania, una delle 37 province col tasso di fecondità superiore alla media italiana, è uno degli ultimi capoluoghi di provincia per posti all’asilo. In contesti di questo tipo la responsabilità della cura familiare rischia quindi di ricadere interamente sulle spalle delle donne.
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