A Brescia la destra non ha più paura degli stranieri
Alle amministrative sta mostrando un inedito approccio moderato e inclusivo, ma non è chiaro quanto questa svolta sia autentica
di Isaia Invernizzi
Agli occhi delle persone che domenica e lunedì voteranno a Brescia Fabio Rolfi sembra più di centro che di destra. Da quando si è candidato a sindaco, lo scorso dicembre, ha fatto di tutto per presentarsi come un politico moderato, aperto, sobrio, che parla di inclusività. Un conservatore moderno. Nelle liste che lo sostengono ci sono diverse persone di origine straniera. Il 3 maggio ha incontrato i rappresentanti del centro culturale islamico di via Corsica. Anche l’iconografia riflette questa impostazione: Rolfi ha accantonato il verde tipico della Lega per il violetto e l’arancione, un abbinamento legato al cosiddetto civismo, e nella sua sede elettorale scorrazza una tenera mascotte esibita e accarezzata prima degli appuntamenti elettorali. È un coniglio, si chiama Vittoria.
Questa immagine nuova, rassicurante e curata, nasconde un passato caratterizzato da dichiarazioni molto forti contro i migranti, contro i sostegni economici alle famiglie straniere, contro la costruzione di luoghi di culto non cattolici. Per anni anche a Brescia, come nel resto della Lombardia, la destra e in particolare la Lega hanno organizzato campagne politiche apertamente ostili e intolleranti nei confronti delle persone di origine straniera.
Il cambiamento di Rolfi e dei suoi compagni di partito è stato improvviso, così veloce e radicale da sorprendere giornalisti e addetti ai lavori: Brescia, dicono, sembra il laboratorio della nuova destra lombarda, più moderata rispetto al passato. L’obiettivo è tornare a governare nelle grandi città oggi amministrate quasi esclusivamente dal centrosinistra. «Credo che la mia candidatura sia la vera novità di questa campagna elettorale e che diventerà un modello per il centrodestra anche in altre città», ha detto Rolfi al Corriere della Sera.
Brescia ha quasi 200mila abitanti: è una delle città più importanti al voto nelle prossime elezioni, in programma il 14 e il 15 maggio. Negli ultimi trent’anni è quasi sempre stata governata dal centrosinistra, a eccezione dei cinque anni tra il 2008 e il 2013: il sindaco era Adriano Paroli, Fabio Rolfi il suo vice.
Negli ultimi dieci anni è stata amministrata da Emilio Del Bono, esponente del Partito Democratico sostenuto da una coalizione larga, dalla sinistra al centro. Non più ricandidabile perché al secondo mandato, Del Bono è stato il più votato in Lombardia alle elezioni regionali dello scorso febbraio con 35.761 preferenze. Da quando è entrato in consiglio regionale, all’opposizione, il suo posto è stato preso da Laura Castelletti, sua vice dal 2013.
Castelletti è la candidata sindaca più logica e naturale che il centrosinistra potesse scegliere. Eletta per la prima volta in consiglio comunale nel 1991, venne rieletta nel 1998 e per dieci anni è stata presidente del Consiglio comunale. Gli altri due candidati sono Alessandro Lucà, sostenuto dal Movimento 5 Stelle e da Unione Popolare, e Alessandro Maccabelli della lista civica La Maddalena.
Negli ultimi due mandati Castelletti è stata assessora a cultura, creatività, innovazione e sport. In diverse interviste ha detto che Brescia è una città molto diversa da come la destra l’aveva lasciata, dieci anni fa: «Abbiamo dato grande attenzione all’ambiente e alla sostenibilità, investendo nella creazione di parchi urbani, un grande abbraccio verde della città. Abbiamo lavorato sulla mobilità pubblica: nei prossimi cinque anni la città avrà un tram elettrico che porterà le persone da ovest al centro. Se oltre a essere capitale della manifattura siamo diventati capitale della cultura è perché siamo riusciti a valorizzare il nostro patrimonio artistico».
Rolfi non sembra disconoscere i risultati dell’amministrazione di centrosinistra. Il suo slogan – “Brescia più di prima” – è molto simile a “Per Brescia, ancora di più” scelto da Del Bono cinque anni fa.
Quarantacinque anni, laureato in Economia, cresciuto nella Lega e sempre leghista senza mai cambiare partito, a 26 anni Rolfi era già presidente di circoscrizione, poi vicesindaco e negli ultimi dieci anni è stato prima consigliere regionale e infine assessore regionale all’agricoltura. È sostenuto da sei liste, di cui tre civiche.
Non si presenta come capo di una forza politica di rottura, anzi dalle sue parole sembra predicare continuità con chi ha governato finora. In un certo senso sembra che la destra bresciana stia provando a seguire l’esempio della destra nazionale al governo: Giorgia Meloni su alcuni temi si è allineata alle politiche dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, per esempio sul posizionamento internazionale atlantista, vicino alla NATO, oppure sul rigore fiscale, oltre al confermato sostegno all’Ucraina.
Rolfi dice che la giunta in carica ha avuto cura dell’ordinaria amministrazione, trascurando però i grandi progetti come il recupero delle aree dismesse e lasciando senza risposta i giovani che hanno scelto di andare a vivere altrove, per ragioni di studio o di lavoro. Propone di piantare 500mila nuovi alberi, di favorire la nascita di comunità energetiche e si dice favorevole alla pedonalizzazione del centro. Le differenze con il centrosinistra si notano soprattutto su problemi puntuali, come il futuro del centro commerciale Freccia Rossa, oggi abbandonato, dove Rolfi vorrebbe realizzare una sede del comune mentre il centrosinistra ha proposto di spostare alcuni ambulatori degli Spedali civili, l’ospedale della città.
La continuità con alcuni approcci e temi del centrosinistra è una grossa novità per la destra bresciana, soprattutto se si osservano le proposte fatte per ridurre le diseguaglianze. Rolfi ha promesso di dare un sostegno economico di mille euro ai nuovi nati: «Aiuteremo chi vuol fare figli, che siano italiani o stranieri, purché regolarmente soggiornanti e non turisti di passaggio».
In dieci anni, ha spiegato con un esempio concreto, il centrosinistra non ha nemmeno pensato di costruire una tettoia a protezione delle famiglie in coda davanti alla questura sotto l’acqua, la neve e il sole per ottenere il permesso di soggiorno. «Sono piccoli segni di attenzione alle persone, indipendentemente da dove provengono», ha detto. «Noi con concretezza vogliamo occuparci anche di questo. Molte comunità immigrate guardano più a noi che al centrosinistra e lo testimonia il fatto che ci sono diversi candidati stranieri nelle nostre liste».
Sono dieci le persone di origine straniera candidate nelle liste della coalizione di destra. Tra loro ci sono Sarbjeet Singh Multani, detto Kamal, di origine indiana, in lista con Fratelli d’Italia. E Munaf Choudry Abdul, di origine pakistana, che è nella lista civica Fabio Rolfi.
Akashdeep Singh, 23 anni, studente di giurisprudenza, era stato candidato alle regionali con il Terzo Polo e ora è passato a Forza Italia. «Nel centrodestra lo scenario è cambiato, così come l’elettorato», dice Singh. «I cittadini extracomunitari vogliono essere rappresentati e la politica ha ormai fatto un’apertura sensata verso il futuro. Lo dimostra l’impostazione dei grandi leader. Io credo che molti stranieri si riconoscano nel centro e nel centrodestra». Singh ha organizzato una campagna elettorale porta a porta. Ha sfruttato l’esperienza delle elezioni regionali di febbraio, quando ha ottenuto 1.628 preferenze in tutta la provincia. Tra le proposte più interessanti e inclusive di Rolfi, sostiene, c’è la creazione di un consigliere delegato all’immigrazione e di una consulta delle comunità immigrate per favorire l’integrazione.
Considerato il peso elettorale delle persone di origine straniera si intuisce perché la destra abbia cambiato impostazione. A Brescia i votanti maggiorenni di origine straniera, cioè nati all’estero ma con cittadinanza italiana, sono 11.569. Il 10,2% è di origine albanese, 8,9% pachistana, 5,8% moldava, 5,7% indiana e 4,9% marocchina.
A queste persone vanno aggiunte le seconde generazioni, figli di immigrati con cittadinanza italiana. In totale i potenziali elettori sono circa 12.500, l’8,5% del totale e il 17,8% dei 70mila che hanno votato alle ultime regionali. In un sondaggio commissionato dal Giornale di Brescia all’istituto Ipsos, la maggioranza degli intervistati ha detto che l’immigrazione è un bene per l’economia bresciana. “L’origine straniera diventa il tesoretto elettorale” era il titolo scelto dal giornale per dare conto dei risultati del sondaggio.
Secondo Iyas Ashkar, candidato nella lista civica di Laura Castelletti, la destra bresciana pare avere metabolizzato la necessità di considerare le persone immigrate cittadini di serie A, che meritano una rappresentanza seria. Ma in passato, dice Ashkar, le stesse persone che oggi parlano di integrazione, che vanno a visitare il centro islamico e che fanno foto con il copricapo sikh, hanno fatto tutto il possibile per diffamare gli immigrati, insultarli, impedire che arrivassero in Italia e ostacolare le vite di quelli che erano già qui: «Hanno sparso odio nelle città e nei quartieri, hanno diviso le persone in razze, religioni e colore della pelle, hanno guadagnato voti alimentando il razzismo, la diffidenza, mettendo gli italiani contro gli stranieri, i bianchi contro i neri, i cristiani contro i musulmani, in una logica divisiva e agghiacciante».
Non serve indagare a lungo per trovare le prove di quanto sostiene Ashkar. In rete si trovano decine di articoli e video con le dichiarazioni di Fabio Rolfi che auspicava l’elezione di un sindaco “sceriffo” e si opponeva in modo deciso alla costruzione di una moschea.
Il podcast Breccast ha raccolto molti interventi di Rolfi in una puntata intitolata “Così parlò il moderato”. Tra le diverse interviste proposte ce n’è anche una in cui l’allora assessore regionale parlava di «estirpazione etnica» in riferimento all’arrivo dei migranti dal Mediterraneo. Brescia era pronta ad accoglierne 40. «La nostra posizione è di totale chiusura: neanche un posto in più», diceva Rolfi. «Bisognerebbe tornare alle politiche di contenimento, di respingimento alla frontiera libica. Bisognerebbe avere una politica di intervento serio politico anche in Libia per evitare questo esodo biblico, andare lì per affondare le navi nei porti come si faceva tempo fa in Albania affinché non ci siano migrazioni di massa che rischiano di compromettere la nostra tenuta. Qua è in corso un processo di estirpazione etnica».
È una frase che ricorda molto il recente e contestato intervento del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che durante il congresso della Confederazione italiana sindacati autonomi lavoratori (CISAL) ha parlato di «sostituzione etnica» in riferimento alla bassa natalità italiana. La teoria della sostituzione etnica, per cui ci sarebbe un grande complotto contro la popolazione bianca e a favore dei migranti stranieri, è diventata uno strumento retorico efficace per i politici di estrema destra di molte società perché, in estrema sintesi, fa leva sul timore della classe bianca e medio-bassa di perdere i propri privilegi nei confronti dei migranti stranieri che arrivano in Occidente.
– Leggi anche: Cos’è la “sostituzione etnica”
Raisa Labaran, vicepresidente del centro culturale islamico e candidata nella lista civica Laura Castelletti, dice che la destra si è interessata all’improvviso alle persone di origine straniera perché semplicemente si è resa conto che possono essere «l’ago della bilancia» delle prossime elezioni. Con il loro voto possono decidere chi governerà i prossimi cinque anni.
Nelle politiche di inclusione, però, Labaran sottolinea una differenza sostanziale: la destra propone di istituire una consulta delle comunità immigrate, mentre nel programma del centrosinistra non ci sono riferimenti alle persone di origine straniera. È un’impostazione che Labaran sostiene con forza da anni. «Dobbiamo smettere di pensare agli immigrati come ospiti o cittadini speciali che hanno bisogno di politiche speciali: sono cittadini italiani», spiega. «Sicuramente hanno un’esperienza diversa, magari con un processo migratorio alle spalle, ma sono cittadini e basta. Io sono nata a Brescia, ho un accento bresciano e voglio occuparmi di urbanistica, di sociale, di dialogo interreligioso e tante altre questioni che interessano tutti».
Oltre al voto delle persone straniere, Rolfi ha cercato di fare concorrenza al centrosinistra anche sul cosiddetto voto cattolico in una città in cui l’associazionismo cattolico è molto radicato e influente. Ha detto che i cattolici sanno quello che devono fare: «Sanno che l’idea di una donna presa in affitto per partorire ha poco a che vedere con i valori cattolici e con il buon senso».
Anche su questo fronte Rolfi ha ricevuto alcune contestazioni. In un intervento pubblicato sul Giornale di Brescia, il presidente della Cooperativa cattolico democratica di Cultura, Filippo Perrini, si è chiesto se la fede dichiarata da un politico sia una ragione sufficiente per sceglierlo. E si è dato una risposta, con un implicito riferimento all’ex presidente lombardo Roberto Formigoni: «Proprio nella nostra Regione – e al massimo livello – non molti anni fa abbiamo dolorosamente assistito ad una palese contraddizione tra la fede professata e i comportamenti praticati a fini di interesse personale». Citando Papa Benedetto XVI, ha anche scritto che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma è un incontro, una storia di amore, un avvenimento. «Evitiamo quindi di immiserirlo, brandendolo come arma in una campagna elettorale locale come quella per l’amministrazione di Brescia», ha concluso Perrini.
La percezione è che questi siano tutti tentativi estremi di recuperare lo svantaggio emerso dai sondaggi alla fine di aprile. Non è un caso, fanno notare diversi addetti ai lavori, che nelle ultime settimane Rolfi abbia cambiato di nuovo approccio, tornando a dichiarazioni un po’ più aggressive rispetto all’inizio della campagna elettorale. Anche lo slogan è cambiato, da “Brescia più di prima” a “È la volta buona”.
Nelle ultime due settimane quasi tutti i ministri sono arrivati a Brescia per sostenere la coalizione, un segnale piuttosto chiaro: la destra vuole vincere a Brescia per dimostrare di potersela giocare anche nelle grandi città della Lombardia dopo anni di sconfitte. Sarebbe un segnale in vista delle amministrative del prossimo anno, quando si voterà a Bergamo, Pavia e Cremona. Le premesse sembrano favorire Castelletti, ma questo nuovo corso moderato della destra rende tutto molto più incerto.