Due detenuti sono morti in un carcere siciliano per uno sciopero della fame
Ad Augusta, in provincia di Siracusa: protestavano da 41 e 60 giorni contro la propria detenzione
Nel carcere di Augusta, in provincia di Siracusa, due persone sono morte a causa delle conseguenze di uno sciopero della fame che stavano conducendo da 41 e 60 giorni. I decessi risalgono alla notte tra il 25 e il 26 aprile e al 9 maggio, ma stanno venendo discussi solo adesso a seguito di alcuni appelli da parte di politici sia locali che nazionali, oltre che di una protesta del SIPPE, un sindacato di polizia penitenziaria, che come altri lamenta mancanza di personale e sostiene di non avere le risorse per gestire situazioni complesse e problematiche come quella dei due detenuti in questione.
Il primo detenuto era un uomo di 45 anni originario di Gela, vicino a Caltanissetta: si chiamava Liborio Davide Zerba, sosteneva di essere detenuto per errore e protestava contro la propria condanna, che sarebbe dovuta terminare nel 2029. Il secondo detenuto era un cittadino russo, Victor Pereshchako, che dal 2018 chiedeva di essere estradato in Russia e di scontare lì la propria pena.
Sia Zerba che Pereshchako sono morti poco dopo essere stati portati in ospedale a causa delle conseguenze del proprio sciopero della fame: uno di loro, non è chiaro chi dei due, aveva anche sospeso una terapia a cui si stava sottoponendo, sempre per protesta. Sulla morte dei due detenuti ha avviato un’indagine la procura di Siracusa.
– Leggi anche: Per i detenuti lo sciopero della fame è l’unica protesta non violenta possibile
Sul caso è intervenuto il senatore del Partito Democratico Antonio Nicita, che già in passato si era occupato del carcere di Augusta, denunciandone una serie di problemi come la carenza di personale penitenziario e le cattive condizioni della struttura: giovedì Nicita ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla morte dei due detenuti.
È intervenuto anche Mauro Palma, attuale Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, un organismo indipendente che tutela le condizioni dei detenuti. Palma ha denunciato la mancata adozione di strumenti per prevenire i due decessi, sostenendo che un’adeguata comunicazione tra il carcere locale e l’amministrazione regionale o nazionale avrebbe potuto evitare il prolungarsi degli scioperi e le sue conseguenze.
In un articolo pubblicato venerdì su La Stampa, Palma ha anche spiegato che gli scioperi della fame – l’unica forma di protesta non violenta possibile per i detenuti – sono frequenti in carcere, anche se non sempre proseguono a lungo e non sempre portano a conseguenze di questo tipo. Secondo Palma, quando i detenuti interrompono gli scioperi molto spesso lo fanno non perché vengono soddisfatte le loro richieste, ma perché sono stati ascoltati e c’è stato un confronto tra loro e il personale del carcere relativamente alle questioni per cui protestano. Palma ha aggiunto che, nei casi in cui il singolo carcere non riesca a gestire le proteste di un detenuto, è importante che il caso trovi un qualche spazio altrove, per esempio nel dibattito pubblico.
A questo proposito Palma ha contestato il fatto che lo sciopero dei due detenuti – un caso poco eclatante successo in un carcere periferico – sia stato praticamente ignorato, a fronte delle enormi attenzioni riservate invece al caso di Alfredo Cospito, il detenuto anarchico che ha condotto per oltre cinque mesi uno sciopero della fame contro il 41-bis, il rigidissimo regime detentivo a cui è sottoposto.
Al caso dei due detenuti si sono appellati anche i sindacati di polizia penitenziaria, sostenendo di non poter gestire proteste di questo tipo con le risorse attuali e di non avere abbastanza personale. Le proteste hanno riguardato sia il SIPPE che altri sindacati, e il personale anche di altre carceri, oltre a quello di Augusta.
– Leggi anche: Cosa succede al corpo di una persona che fa lo sciopero della fame