Le banche italiane stanno guadagnando parecchio dall’aumento dei tassi d’interesse
I mutui sono diventati molto più cari, mentre i tassi di interesse sui conti correnti sono cresciuti pochissimo
Nel 2022 le due più grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno guadagnato oltre il 30 per cento in più rispetto all’anno precedente, rispettivamente il 31 e il 33 per cento. E anche molte altre banche italiane hanno guadagnato di più rispetto al 2021. I motivi sono principalmente legati all’aumento dei tassi di interesse di riferimento, che le banche centrali di tutto il mondo stanno aumentando per tenere sotto controllo l’inflazione, ossia l’aumento generale del livello dei prezzi, che ovunque sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese.
Le banche italiane stanno scaricando sui clienti questo rialzo: sono aumentati notevolmente i tassi sui mutui e sui prestiti alle imprese, ma non sono aumentati nella stessa misura i tassi riconosciuti alle somme depositate dai clienti sui conti correnti. Tant’è che si inizia a sentir parlare delle prime proposte di tassazione sugli extra profitti delle banche, simile a quanto previsto per le aziende energetiche che avevano molto guadagnato dai rincari dell’energia.
Da luglio dello scorso anno la BCE ha aumentato il tasso di interesse che chiede alle banche commerciali (cioè le banche come Unicredit o BNL) per fornire loro liquidità – da zero al 3,5 per cento – e ha alzato anche quello sui depositi – da meno 0,5 a più 3 per cento –, ossia il rendimento che la BCE garantisce alle banche che depositano fondi presso le sue casse. In questo modo incentiva le banche a tenere fermi i loro soldi nelle casse della BCE, privandone il sistema economico, e disincentiva i clienti finali da prendere soldi a prestito perché i finanziamenti sono più cari.
Secondo i dati dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) il costo medio dei prestiti fatti dalle banche in Italia è effettivamente molto cresciuto: i tassi di interesse sui mutui per le famiglie sono più che raddoppiati, dall’1,66 di un anno fa al 4 per cento di marzo; anche i tassi dei prestiti alle imprese sono molto cresciuti, dall’1,23 al 3,9 per cento.
I tassi di interesse corrisposti ai conti correnti dei clienti però non sono aumentati della stessa misura: sempre secondo i dati dell’ABI gli interessi pagati sui soldi depositati sono saliti dallo 0,02 per cento di un anno fa allo 0,26 di marzo scorso.
Questo significa che le banche italiane hanno scaricato il costo dell’aumento dei tassi di interesse sui clienti: a fronte di un aumento dei tassi di interesse di riferimento, hanno aumentato quelli dei mutui (ossia quelli che le banche stesse percepiscono) di 2,34 punti e quelli sui conti correnti (che le banche devono pagare) di solo 0,24 punti percentuali. Aumentando i tassi in loro favore di quasi dieci volte in più rispetto ai tassi che invece che dovrebbero corrispondere ai clienti, le banche ci stanno quindi guadagnando notevolmente.
Bisogna tuttavia ricordare che le banche venivano da un periodo di scarsissima redditività, dove per anni i tassi sui prestiti sono stati vicini a zero e quelli sui depositi addirittura negativi: in quel caso le banche hanno tenuto i tassi di interesse sui prestiti piuttosto bassi e in linea con la politica monetaria, ma non hanno mai portato i tassi sui conti correnti dei clienti in negativo, assorbendo quindi la differenza.
La situazione attuale comunque ha portato la Banca d’Italia a inviare alle banche una comunicazione in cui le invita a rivedere le condizioni contrattuali più in favore dei clienti e a non aumentare gli oneri a loro carico, visto che la redditività sta già migliorando. A livello politico, inoltre, si sta discutendo di una tassa sugli extra profitti delle banche, che ricalchi quanto è stato introdotto per quelli delle aziende energetiche lo scorso anno: è un’idea di Enrico Zanetti, consulente del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e a sua volta ex viceministro dell’Economia durante il governo di Matteo Renzi, per provare a incentivare gli istituti ad aumentare i tassi di interesse da corrispondere ai clienti.
In questo modo i correntisti sarebbero anche più invogliati a tenere fermi i loro soldi sui conti correnti, invece che spenderli o investirli, e in questo modo le banche trasmetterebbero meglio l’obiettivo di politica monetaria di far rallentare l’economia per fermare l’aumento dei prezzi.
Le banche italiane possono comunque permettersi di applicare condizioni maggiormente a loro favore perché il sistema italiano è un sistema cosiddetto “banco-centrico”, in cui le imprese si finanziano soprattutto con i prestiti bancari e meno quotandosi in borsa o con altri strumenti finanziari. Significa che quando un’azienda ha bisogno di liquidità, in Italia le banche sono praticamente l’unica opzione, e quindi le aziende sono costrette ad accettare anche tassi alti.
L’aumento dei tassi di interesse ha vari effetti sul sistema finanziario, che cambiano a seconda del modello di business più diffuso tra le banche: dove gli istituti finanziari sono più specializzati in attività speculative e di investimento il rialzo dei tassi è spesso un problema, come negli Stati Uniti, dove alcune banche negli scorsi mesi sono addirittura fallite; dove invece le banche sono specializzate nella tradizionale attività di credito, come prestiti a famiglie e imprese, queste stanno guadagnando parecchio. Come nel caso di quelle italiane.
I tassi di interesse sono lo strumento principale a disposizione delle banche centrali per l’indirizzo della politica monetaria, ossia quell’insieme di decisioni che orientano l’andamento della moneta, dei mercati finanziari e soprattutto dell’inflazione. Sostanzialmente sono i tassi a cui le banche centrali prestano alle altre banche e rappresentano quindi il costo del denaro. Quando le banche centrali decidono di aumentare i tassi di interesse il loro obiettivo è di “raffreddare” un’economia che sta crescendo troppo, e che in gergo viene definita “surriscaldata”. È un’economia in cui le persone vogliono consumare più di quanto il sistema riesca a produrre: la domanda supera l’offerta, con un rapido aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione.
Semplificando molto, con tassi più alti fare investimenti e consumi diventa meno conveniente: per esempio, diventa più costoso chiedere un mutuo per comprare una casa, un prestito per comprare un’auto, o un finanziamento per aprire una nuova impresa. Il risultato è che spesso consumatori e imprenditori rimandano gli investimenti, provocando così un rallentamento dell’economia e dunque una diminuzione dell’inflazione: si compra meno, si investe meno, e i prezzi smettono di crescere.
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Allo stesso tempo, però, l’aumento dei tassi di interesse indebolisce anche gli investimenti nei portafogli delle banche, soprattutto quelli in titoli di stato: all’aumentare dei tassi di interesse il valore dei titoli diminuisce. Ma finora nel complesso le banche italiane sembrano avere colto più gli aspetti positivi dell’aumento dei tassi, come ha detto anche Andrea Enria, il presidente del consiglio di sorveglianza della BCE.
Questo effetto negativo del rialzo dei tassi non è stato compensato da un aumento della redditività per esempio negli Stati Uniti, in cui le banche hanno un ruolo più marginale nel credito agli operatori perché hanno funzioni più speculative o di investment banking: semplificando molto, corrispondono a servizi finanziari per le aziende che per esempio vogliono quotarsi in borsa, o che cercano investitori o sponsor finanziari nelle operazioni di fusione e acquisizione. Il rialzo dei tassi di interesse ha contribuito al fallimento di Silicon Valley Bank, Signature Bank e First Republic Bank, e in generale ha mostrato le vulnerabilità di molte banche statunitensi.