C’è un problema nella nuova indagine sulla sparatoria di cascina Spiotta
La procura di Torino accusa l'ex brigatista Lauro Azzolini, prosciolto per la vicenda decenni fa: con una sentenza che però non si trova più
I pubblici ministeri della procura di Torino, Emilio Gatti e Ciro Santoriello, e Diana De Martino, della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, ritengono di aver trovato dopo 48 anni il nome del brigatista rosso che il 5 giugno del 1978 partecipò alla sparatoria alla cascina Spiotta, sulle colline in provincia di Alessandria. Sarebbe Lauro Azzolini, che a settembre compirà 80 anni e che per quei fatti era già stato prosciolto anni fa. Ora la procura di Torino chiede che quella sentenza di proscioglimento venga annullata. Il problema è che quella sentenza materialmente non si trova più, probabilmente distrutta durante un’alluvione nel 1994.
Il 5 giugno 1975 un gruppo di carabinieri giunse alla cascina durante la ricerca del nascondiglio dove i brigatisti rossi tenevano sequestrato l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, rapito il giorno prima. A bordo di una Fiat 127 quattro carabinieri della stazione di Acqui Terme, tre in divisa e uno in borghese, quella mattina iniziarono a ispezionare alcune cascine in una zona a circa 30 chilometri da dove era avvenuto il sequestro. Arrivarono a cascina Spiotta alle 11:30, i brigatisti presenti erano in quel momento due. Vallarino Gancia era in effetti tenuto prigioniero all’interno della cascina. Nella sparatoria che seguì morirono un appuntato dei carabinieri, Giovanni D’Alfonso, e una militante delle Brigate Rosse, Margherita Cagol, conosciuta con il nome di battaglia di “Mara”, moglie di Renato Curcio. Cagol e Curcio erano tra i fondatori dell’organizzazione.
Nel corso della sparatoria un tenente dei carabinieri, Umberto Rocca, perse un braccio e un occhio in seguito al lancio di una bomba a mano, e un altro carabiniere, il maresciallo Rosario Cattafi, fu ferito leggermente. L’altro brigatista presente riuscì a fuggire. Il suo nome è rimasto sconosciuto per tutti questi anni nonostante nel tempo siano state fatte diverse ipotesi.
L’indagine è stata riaperta in seguito a un esposto presentato alla procura di Torino da parte di Bruno D’Alfonso, figlio del carabiniere ucciso e anche lui carabiniere. In base alle indagini condotte dalla procura il brigatista fuggito dal luogo della sparatoria è Lauro Azzolini, membro storico delle Brigate Rosse. Arrestato il 1° ottobre del 1978, Azzolini è stato condannato a quattro ergastoli e attualmente è detenuto in regime di semilibertà.
Il suo nome è stato adesso iscritto nel registro degli indagati in base a undici impronte digitali, individuate dal Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri su un memoriale che le Brigate Rosse chiesero al loro militante sopravvissuto alla sparatoria. In quel memoriale il brigatista rosso fuggito raccontò i momenti della sparatoria e la sua ricostruzione coincideva con quella ufficiale dei carabinieri fino al momento della sua fuga. Mara Cagol, secondo quanto raccontò il brigatista in quel memoriale, era gravemente ferita e tentò di fuggire a bordo di un’auto, mentre l’altro terrorista prese l’altra auto che c’era alla cascina Spiotta, ma le due auto si tamponarono perché Cagol non riusciva a guidare in seguito alle ferite.
A quel punto i due brigatisti scesero dalle macchine, Cagol era disarmata, una pistola e un mitra erano rimasti in auto. Alzarono le mani mentre l’appuntato Barberis li controllava da un punto più in alto di una stradina in discesa. Il brigatista, sempre secondo ciò che lui stesso raccontò e che i suoi compagni trascrissero, lanciò una bomba a mano che l’appuntato riuscì a evitare. A quel punto l’uomo si lanciò nella boscaglia e l’ultima immagine che vide, nascondendosi dietro un rialzo del terreno, fu Cagol a terra con le braccia alzate. Poi l’uomo riprese a correre. Dopo pochi minuti sentì raffiche di mitra e due colpi di pistola. Secondo le Brigate Rosse quel giorno Mara Cagol venne uccisa dopo che si era già arresa.
Lauro Azzolini era già stato sospettato di essere presente alla cascina Spiotta e fu prosciolto dal giudice con una sentenza emessa il 3 novembre del 1987. I pubblici ministeri che hanno riaperto le indagini chiedono ora che quella sentenza venga revocata in base alle nuove prove raccolte.
La sentenza però non si trova e le ricerche fatte al tribunale di Alessandria, dove avvenne il proscioglimento, sono state inutili. Secondo il cancelliere del tribunale non è possibile «individuare quanto richiesto attesa la risalenza temporale dei fatti nonché le condizioni dell’archivio del tribunale, a suo tempo danneggiato da eventi alluvionali». Il cancelliere si riferisce a un’alluvione del 1994 che distrusse gran parte del materiale presente negli archivi del tribunale.
La procura di Torino ritiene l’assenza materiale della sentenza del tutto irrilevante. Davide Steccanella, legale di Azzolini, dice invece: «Non potendosi conoscere quali sarebbero state le fonti di prova acquisite in un procedimento conclusosi con provvedimento oggi irrevocabile, risulta impossibile ogni valutazione comparativa con quelle nuove indicate dal richiedente». Inoltre secondo l’avvocato il fatto che su quel documento ci siano le impronte di Azzolini proverebbe solo il fatto che lui quel documento lo abbia toccato, e non che abbia partecipato alla sparatoria di cascina Spiotta.
A decidere su come proseguirà la vicenda processuale sarà la giudice delle indagini preliminari Anna Mascolo, che si pronuncerà entro cinque giorni.