I dubbi sul futuro dell’ippica statunitense
Prima del Kentucky Derby, il suo evento più famoso e seguito, sono morti sette cavalli: ci sono problemi di doping, pochi spettatori e sempre meno soldi dalle scommesse
Il Kentucky Derby è la più nota corsa di cavalli degli Stati Uniti e una delle più prestigiose al mondo: da quasi 150 anni si svolge una volta l’anno, il primo sabato di maggio, nell’ippodromo di Churchill Downs a Louisville, in Kentucky. La gara, che si svolge su una lunghezza di poco superiore ai due chilometri, è ancora parecchio seguita dagli appassionati: quest’anno gli spettatori sono stati più di 150mila e in televisione il Kentucky Derby è stata seguita da circa 15 milioni di persone, cosa che lo ha reso l’evento sportivo televisivo più seguito di quest’anno dopo il Super Bowl di febbraio.
Più che per questo, e oltre i resoconti della vittoria del cavallo Mage e del fantino venezuelano Javier Castellano, del Kentucky Derby si è parlato però perché nei giorni e nelle ore prima della corsa erano morti sette cavalli, alcuni dei quali soppressi dopo gravi lesioni. Altri ancora sono stati fermati per questioni legate al doping, molto presente da tempo e già protagonista in alcune recenti edizioni del Kentucky Derby.
Il Kentucky Derby – considerato l’evento più rappresentativo dell’alta società del sud degli Stati Uniti, prevalentemente bianca – continua insomma a essere molto seguito dagli appassionati, ma i suoi problemi sono comuni a gran parte delle corse di cavalli, che da più parti sono raccontate come sempre più in crisi. «Si potrebbe pensare che l’ippica statunitense stia bene, ma non è così: la disciplina è in declino da decenni» ha scritto l’Economist. Sul New York Times il giornalista Joe Drape, che negli ultimi giorni è stato autore di molti articoli dedicati proprio al Kentucky Derby, ha scritto che l’ippica («il più antico sport negli Stati Uniti») «sta perdendo atleti, entrate e tifosi».
Dei sette cavalli morti quest’anno a Churchill Downs, cinque sono morti tra il 27 aprile e il 5 maggio e due il 6 maggio, poche ore prima della gara, che come al solito è durata circa due minuti. Alcuni cavalli sono collassati, probabilmente a causa del doping, altri si sono infortunati gravemente in allenamenti o gare preliminari: non sono ancora del tutto chiare le cause, visto che anche gli infortuni avuti in pista potrebbero avere come origine il doping, con cavalli con cavalli spinti ad andare così veloce da non riuscire più a gestire la loro corsa.
Il fatto che in certe gare i cavalli muoiano o vengano soppressi non è una novità, così come non lo è nemmeno il doping. Già nel 2021 se ne parlò molto proprio dopo il Kentucky Derby, in seguito alla squalifica di Medina Spirit, il cavallo vincitore. E mentre il Kentucky Derby (che nella sua storia non si è mai fermato, nemmeno per le guerre mondiali o la pandemia da coronavirus) continua a essere rilevante e seguito, molte altre corse minori hanno gli stessi problemi, ma molti meno soldi.
Negli Stati Uniti l’ippica ha anzitutto un problema di seguito: dal 2000 hanno chiuso oltre quaranta ippodromi e la maggior parte di quelli aperti ospita sempre meno gare, che si tengono davanti a sempre meno spettatori: «Tribune fatte per poter ospitare migliaia di persone ne ospitano poche decine» scrive l’Economist.
Le cause sono diverse: da una parte c’è una generale disaffezione per l’ippica, anche in conseguenza degli infortuni ai cavalli e delle notizie sul doping; dall’altra c’è il fatto che negli ultimi anni le scommesse (storicamente determinanti per l’interesse verso l’ippica) si sono allargate a sport e attività di ogni tipo, riducendo di conseguenza il giro d’affari riservato all’ippica, che un tempo, almeno in parte degli Stati Uniti, era l’unica attività su cui era consentito scommettere. Queste due cause hanno inoltre a che fare l’una con l’altra, perché i molti casi di doping hanno “allertato” anche gli scommettitori.
Si ritiene inoltre che il doping si sia diffuso proprio perché, pur in uno sport con un grande giro d’affari in gran parte dovuto alle scommesse, negli Stati Uniti i controlli sui cavalli sono stati a lungo scarsi e inefficaci. Come ha scritto il Wall Street Journal, per decenni c’è stato «un labirinto di regole diverse da uno stato all’altro» e «l’assenza di un’unica autorità nazionale ha reso difficile imporre delle riforme». Negli ultimi anni qualcosa si è mosso, grazie alla creazione dell’HISA (Horseracing Integrity and Safety Authority), un ente federale creato proprio per uniformare le regole, ma l’opinione diffusa è che la strada da fare sia ancora molta, anche perché ancora non esiste un’associazione che gestisca e regoli tutti gli eventi dell’ippica statunitense.
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