Cosa ci sarà al posto del reddito di cittadinanza
Due strumenti, uno per chi può lavorare e uno per chi non può: circa un terzo degli attuali percettori perderà il sussidio, ma per gli altri non cambierà molto
Il primo maggio il governo di Giorgia Meloni ha approvato un decreto-legge che, tra le altre cose, contiene anche una consistente riforma del reddito di cittadinanza, di cui si conoscono ora i dettagli grazie alla pubblicazione del testo in Gazzetta Ufficiale e alla relazione tecnica. Il reddito di cittadinanza sarà sostituito da due nuovi strumenti: diventerà “assegno di inclusione” per tutte le famiglie con un minore, una persona con disabilità o con più di 60 anni, e nella sostanza cambierà poco per questi percettori; diventerà “supporto per la formazione e lavoro” se a richiederlo sarà un nucleo familiare con una persona in grado di lavorare, e in questo caso il sussidio sarà molto meno consistente e i vincoli molto più stringenti.
L’attuale maggioranza di governo è sempre stata molto critica nei confronti del reddito di cittadinanza, il più importante strumento di sostegno al reddito in Italia che fu introdotto dal governo sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle nel 2019 e che è ancora in vigore: i partiti della maggioranza di governo hanno sempre sostenuto che il reddito di cittadinanza non abbia incentivato i percettori che potevano lavorare a farlo davvero e che sia diventato un diretto concorrente dei lavori meno retribuiti.
L’assegno di inclusione sarà introdotto dal primo gennaio dell’anno prossimo e potrà essere richiesto dai nuclei familiari considerati più fragili dal governo, ossia quelli che hanno in famiglia almeno un minore, una persona con disabilità o con più di 60 anni. Dovranno dimostrare di avere un ISEE entro i 9.360 euro, un reddito familiare in caso di single inferiore ai 6 mila euro e un patrimonio mobiliare (come per esempio il denaro nel conto corrente) inferiore ai 6 mila euro, proprio come nelle regole dell’attuale reddito di cittadinanza. Anche l’importo massimo dell’assegno è uguale: 500 euro per una persona single, a cui si possono aggiungere fino a 280 euro per l’affitto. L’importo e i limiti cambiano a seconda della composizione della famiglia.
Le nuove regole hanno aggiunto un ulteriore vincolo, che impone ai richiedenti di non avere immobili di proprietà oltre un certo valore, ma questi limiti non si applicano all’abitazione principale.
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Dalla lettura del decreto non è chiarissimo il limite temporale, ma per come è scritto – in attesa di regolamenti e circolari esplicative – sembra che sarà erogato per un massimo di 18 mesi, ma potrà essere rinnovato per periodi successivi di 12 mesi: prima di ogni rinnovo ci sarà un mese di sospensione.
L’assegno di inclusione è sostanzialmente uguale al reddito di cittadinanza e per certi versi più generoso: il governo ha abbassato da 10 a 5 anni il tempo minimo di residenza in Italia necessario per poterlo richiedere e quindi potenzialmente ha aumentato la platea dei possibili percettori tra gli stranieri. Secondo le stime del governo, sono 733mila le famiglie che potenzialmente potranno beneficiare della misura.
Cambia tutto invece per i nuclei familiari con persone considerate adatte al lavoro, ossia comprese tra i 18 e i 59 anni e senza avere a carico minori o persone disabili. Per loro è stato pensato uno strumento apposito e con maggiori limiti dell’assegno di inclusione: si chiama Supporto per la formazione e lavoro e sostituirà l’attuale reddito di cittadinanza già dal primo settembre di quest’anno. Non è un vero e proprio sussidio, ma una sorta di indennità che verrà riconosciuta a chi parteciperà a corsi di formazione o ad altri progetti di politiche attive per il lavoro.
Garantirà un assegno mensile di 350 euro per tutta la durata dei corsi o di altri progetti di inserimento al lavoro, per un massimo di 12 mesi e senza possibilità di rinnovo. Non solo l’assegno sarà più basso, ma anche le condizioni di accesso saranno più stringenti di quelle dell’assegno di inclusione: l’ISEE non dovrà essere superiore ai 6 mila euro. Anche in questo caso, però, è stata ampliata la platea dei possibili percettori stranieri, perché il requisito della residenza è stato abbassato da 10 a 5 anni.
Il governo stima che il supporto per la formazione e lavoro potrà raggiungere fino a 436mila famiglie, ossia quelle che attualmente ricevono il reddito di cittadinanza ma composte solo da persone che possono lavorare, ossia tra i 18 e i 59 anni, come da definizione del governo. Complessivamente, dice la relazione, la misura coinvolgerebbe 615 mila persone: sono circa un terzo dei beneficiari del reddito di cittadinanza a regime e a settembre perderanno il diritto di continuare a riceverlo per poter iniziare a beneficiare del nuovo strumento. Ma è evidente che è una stima molto ottimista: per ricevere il sussidio è necessario trovare corsi di formazione e progetti di avviamento al lavoro, che spesso hanno una durata breve e che potranno garantire l’assegno per meno di 12 mesi.
Il governo ha anche previsto un insieme di incentivi per chi assumerà percettori del supporto per la formazione e il lavoro o dell’assegno di inclusione: a seconda del contratto offerto, il datore di lavoro non pagherà i contributi per un tempo massimo di un anno.
Complessivamente i due strumenti costeranno nel 2024 poco più di 7 miliardi di euro all’anno, che poi scenderanno perché si prevede che ridurranno nel tempo i beneficiari del Supporto per la formazione e il lavoro, che nel frattempo esauriranno i mesi a disposizione per percepire l’assegno.
La riforma ha risolto uno dei punti più controversi del reddito di cittadinanza, ossia il fatto che fosse vincolato alla partecipazione delle persone che lo ricevevano a un percorso di inserimento nel lavoro. Al momento dell’introduzione della norma, il potenziamento delle politiche attive del lavoro fu fatto di fretta e in maniera raffazzonata e portò a noti problemi sia dentro all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) sia nella gestione dei cosiddetti navigator, cioè le persone che avrebbero dovuto trovare lavoro a chi ottiene il reddito. A rendere tutto più complicato c’era il fatto che i beneficiari del reddito di cittadinanza sono spesso persone poco istruite e senza formazione professionale, talvolta anche ai margini della società, che è difficile collocare senza prima un percorso di reinserimento sociale.
L’assegno di inclusione al contrario garantisce un sostegno al reddito a prescindere dalla ricerca del lavoro, proprio perché il motivo per cui si percepisce è esclusivamente la condizione di povertà.
Secondo molti esperti, la riforma ha però creato nuove distorsioni e iniquità. Cristiano Gori, uno dei più importanti esperti italiani di lotta alla povertà, ha spiegato in un articolo sul sito lavoce.info che il problema principale è la definizione che il governo dà dei cosiddetti “occupabili”, ossia delle persone in grado di lavorare e per questo escluse dall’assegno di inclusione. Secondo il governo, l’unico requisito per poter lavorare è quello anagrafico e familiare: se si hanno tra i 18 e i 59 anni e non si hanno a carico minori o persone disabili si è automaticamente considerati occupabili, a prescindere dalla storia lavorativa, dal livello di istruzione e dall’appetibilità sul mercato del lavoro.
Il nuovo strumento per questa categoria di persone, il Supporto per la formazione e il lavoro, viene presentato come un intervento temporaneo e finalizzato a trovare lavoro, rivolto a chi ha maggiore probabilità di riuscirvi, ma con questi presupposti – secondo Gori – è irreale aspettarsi grandi risultati in termini occupazionali da parte di persone che non sono state individuate in base alla loro oggettiva probabilità di trovare un lavoro, ma semplicemente in base a criteri anagrafici e di composizione del nucleo familiare.
Secondo l’analisi di Gori, le nuove regole creano infine un equivoco e un’iniquità di fondo: si è meritevoli di un aiuto per uscire dalla povertà solo se si hanno a carico minori, persone disabili o se si hanno più di 60 anni.
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