Servirebbe più sangue
Nel 2022 c'è stato un calo delle donazioni: è un problema soprattutto per la raccolta di plasma che serve a produrre farmaci salvavita
In Italia gli effetti della pandemia da coronavirus hanno interrotto la crescita dei donatori di sangue che era ripresa dopo un calo avvenuto all’inizio degli anni Duemila. Secondo Vincenzo De Angelis, il direttore del Centro nazionale sangue, un ente del ministero della Salute che coordina le attività legate alle donazioni, tra il 2019 e il 2021 c’è stato un calo del 2 per cento dei donatori, una parte consistente della diminuzione del 5 per cento segnalata negli ultimi dieci anni. «I dati del 2022 confermano il trend negativo», ha detto De Angelis anticipando la relazione annuale che verrà diffusa nelle prossime settimane.
Oltre alle donazioni di sangue sono calate anche le donazioni di plasma, la parte liquida del sangue necessaria alla produzione di farmaci salvavita. Nel 2022 ne sono stati raccolti 842.949 chili, circa 20mila in meno rispetto al 2021, quando ne erano stati raccolti 862.401.
Ogni giorno in Italia circa 1.800 persone sono sottoposte a una trasfusione di sangue. I reparti ospedalieri che ne hanno più bisogno sono le sale operatorie e le oncologie dove i pazienti vengono sottoposti a terapie oncoematologiche, cioè legate ai tumori del sangue, come le leucemie. Il sangue utilizzato proviene da centinaia di migliaia di persone che ogni tre o sei mesi lo donano volontariamente nei centri di raccolta gestiti dalle associazioni. L’AVIS è la più nota, ma ci sono anche la FIDAS (Federazione italiana associazioni donatori di sangue) oltre ai centri trasfusionali dei singoli ospedali.
Il procedimento di selezione dei donatori è piuttosto rigido. Bisogna avere tra i 18 e i 65 anni e non si deve pesare meno di 50 chili (i donatori abituali possono continuare fino a 70 anni previa valutazione medica); tranne alcune eccezioni, la pressione massima non deve essere superiore a 180 e la minima non superiore a 100. Poi ci sono molti altri motivi di esclusione, che vengono verificati durante un colloquio con il medico prima della donazione di sangue: tra questi ci sono comportamenti sessuali a rischio ma anche viaggi in alcune zone del mondo, convivenza con soggetti portatori di epatite B o C, assunzione di alcuni tipi di farmaci, cambiamenti repentini di peso e così via.
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Prima di ogni donazione, inoltre, le persone che vogliono donare il sangue fanno un colloquio e una visita con un medico, e poi vengono sottoposte ad alcuni esami di routine per controllare che non ci siano parametri fuori posto. Se viene rilevato qualcosa di anomalo, che potrebbe mettere a rischio il donante o il ricevente, la donazione viene sospesa fino a che il problema non è risolto.
Nel 2020 il calo della raccolta di sangue era stato compensato da un utilizzo minore della norma dovuto al rinvio di molte operazioni chirurgiche per via dell’epidemia. Nel 2021 e nel 2022, invece, la domanda di sangue è aumentata molto perché le strutture sanitarie sono tornate a lavorare a pieno regime anche per recuperare gli interventi rimandati.
Lo scorso anno il calo delle donazioni è stato causato dall’impatto della variante omicron del coronavirus, che ha contagiato milioni di persone. Una persona contagiata, anche in una forma lieve, non può donare il sangue: le diverse ondate hanno così costretto a casa centinaia di migliaia di donatori, oltre a medici e infermieri. Per quanto riguarda il plasma, di cui ci sono dati più aggiornati, la diminuzione più significativa delle donazioni è stata segnalata a gennaio (-10 per cento), aprile (-13 per cento) e luglio (-6,7 per cento), in corrispondenza dei picchi dei contagi.
Un’altra causa che spiega il calo delle donazioni di sangue e plasma è la mancanza di medici. Oscar Bianchi, presidente dell’AVIS della Lombardia, regione che contribuisce per il 20 per cento al totale delle donazioni italiane, ha detto che la mancanza di medici sta causando un continuo “stop and go” alle donazioni. «Questa diminuzione delle donazioni è la diretta conseguenza di una mancata programmazione e pianificazione». Nel 2022 in Lombardia c’è stato un calo dell’1,2 per cento delle donazioni: sono passate da 472.022 del 2021 alle 466.346 dello scorso anno.
Un’altra conseguenza della carenza di medici invece è l’aumento del tempo per il riconoscimento dell’idoneità dei donatori. Vanda Pradal, presidente dell’AVIS del Veneto, ha spiegato che le lunghe procedure disincentivano l’ingresso di nuovi donatori: «I tempi per l’idoneità sempre più spesso superano il mese – si arriva anche a 40 giorni – e ciò demotiva i potenziali donatori che non di rado finiscono per non presentarsi più agli appuntamenti successivi».
Negli ultimi anni, soprattutto durante gli ultimi tre, in tutta Italia la popolazione dei donatori è invecchiata a causa del mancato ricambio generazionale. Secondo gli ultimi dati disponibili aggiornati al 2021, l’unica fascia demografica cresciuta è stata tra i 55 e i 65 anni, mentre quella tra i 18 e i 35 anni è in calo, così come quella tra i 35 e i 45 anni.
Il calo delle donazioni è considerato un rischio per l’autosufficienza nella raccolta del sangue. Da sempre l’Italia non ha necessità di importare sangue perché ha un numero di donatori sufficiente a coprire il fabbisogno. È più grave la situazione relativa al plasma, perché l’Italia non è autosufficiente: ne servirebbe molto di più. Secondo De Angelis, gli 842mila chili raccolti nel 2022 sono un valore «palesemente sottodimensionato» rispetto a quanto sarebbe necessario per garantire un’indipendenza sul mercato di due categorie di farmaci tra i più richiesti, cioè le immunoglobuline polivalenti e l’albumina. Per arrivare all’autosufficienza bisognerebbe raccoglierne almeno 250mila in più ogni anno.
Per soddisfare il fabbisogno di medicinali prodotti a partire dal plasma, l’Italia è costretta a rivolgersi al mercato estero: lo importa principalmente dagli Stati Uniti, dove il calo della raccolta avvenuto nel 2020 ha causato un aumento del prezzo. Secondo le stime del Centro nazionale sangue, nel 2023 la parte di immunoglobuline polivalenti e albumina non prodotta in Italia potrebbe costare circa 200 milioni di euro. «I costi potrebbero non essere l’unico problema, un giorno potremmo trovarci di fronte a difficoltà nel reperimento dei farmaci stessi», ha detto De Angelis.