Perché tutta l’economia ruota intorno al dollaro
I commerci, la finanza e le economie di molti paesi emergenti si basano sulla valuta statunitense: per motivi storici e politici, e con alcuni problemi
Il petrolio si compra in dollari, l’oro si compra in dollari, gran parte delle transazioni internazionali avviene in dollari; il debito di molti paesi è determinato in dollari e in molti paesi emergenti o in via di sviluppo talvolta anche per le piccole transazioni gli esercenti preferiscono accettare dollari invece che la valuta locale.
Il dollaro statunitense è la valuta riferimento del sistema internazionale dei pagamenti e la fiducia che il mondo ripone in questa moneta deriva principalmente dalla sua storia e dal fatto che gli Stati Uniti sono considerati una potenza economica che difficilmente un giorno non ci sarà più o che non sarà più affidabile. Nonostante questo, molti paesi ciclicamente tornano a riproporre l’idea di una “dedollarizzazione” dell’economia a favore delle monete locali, e quindi una riduzione dell’influenza del dollaro, sia per ragioni economiche che di influenza politica. Per esempio di recente il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, in visita di stato in Cina, ha detto: «Ogni notte mi chiedo perché mai tutti i paesi debbano basare i propri commerci sul dollaro».
La forza di una moneta deriva da tre principali caratteristiche: da quanto è riconosciuta come unità di misura per i prezzi, dalla facilità con cui viene accettata come mezzo di pagamento e dall’affidabilità come riserva di valore. Il dollaro rispetta tutte e tre le caratteristiche e questo, unito alla stabilità dell’economia americana, fa sì che tutto il mondo conosca il suo valore. Perciò quasi ovunque gli operatori sono disposti ad accettare il dollaro come moneta di scambio e se si ha una piccola scorta di dollari si è consapevoli che il suo valore non potrà cambiare molto nel tempo, e che quindi i risparmi sono al sicuro.
In più il dollaro è anche considerato un bene rifugio in tempi difficili e incerti, al pari dell’oro. Quando c’è incertezza sui mercati finanziari, per cercare di mettere i propri soldi al sicuro gli investitori tendono a fare scorta di dollari, consapevoli del fatto che si tratta della valuta più sicura al mondo perché è largamente improbabile che un’economia come quella degli Stati Uniti possa fallire.
In un articolo pubblicato dal sito del centro studi ISPI gli economisti Luca Fantacci e Lucio Gobbi hanno spiegato che è soprattutto come bene rifugio che il dollaro mantiene ancora il suo primato indiscusso. Nei decenni si è invece gradualmente indebolito come mezzo di pagamento, unità di conto e riserva di valore, tant’è che negli ambienti economici la questione della “dedollarizzazione” dell’economia e del ruolo della moneta statunitense torna periodicamente.
Dove nasce il primato del dollaro
La centralità del dollaro nell’economia mondiale ha una storia tutto sommato recente. Fino alla Prima guerra mondiale la valuta di riferimento era la sterlina, ma in generale tutte le monete ruotavano intorno all’oro, che era il vero protagonista dei sistemi monetari. Il sistema di allora si chiamava il gold standard: le banche centrali dovevano sempre assicurare la convertibilità delle banconote e delle monete in oro vero, che doveva essere tenuto come riserva in proporzione alla quantità di banconote e monete in circolazione. In termini pratici si poteva andare in banca e chiedere di scambiare le proprie banconote con oro e questo garantiva un certo livello di valore alle banconote e alle monete, che di per sé non sono fatte di materiale prezioso.
Con la Prima guerra mondiale, la ricostruzione e la crisi economica questo sistema con le sue rigidità diventò insostenibile: i governi avevano bisogno di denaro e non potevano emetterne di nuovo se non accumulando ulteriori riserve di oro. Una buona parte degli stati arrivò a sganciare le loro valuta dall’oro o a svalutare il rapporto di cambio tra riserve e banconote emesse. Fu così che si arrivò a un nuovo sistema monetario internazionale, il gold exchange standard: affiancava all’oro, troppo scarso, le valute estere ancora convertibili in oro, che potevano essere usate come strumento di riserva e per i pagamenti. In quel momento il dollaro divenne la valuta di riferimento mondiale: non solo era diffusissima perché gli Stati Uniti stavano largamente finanziando la ricostruzione, ma erano il paese con più riserve d’oro al mondo e quindi con più moneta emessa.
Alla fine della Seconda guerra mondiale il dollaro acquisì ancora più centralità nell’economia mondiale grazie agli accordi di Bretton Woods del 1944, con cui i principali paesi industrializzati ridisegnarono l’assetto economico, commerciale e monetario a livello internazionale con il fine di eliminare le conflittualità economiche e favorire la crescita e lo sviluppo.
Quello nato con Bretton Woods e diffuso in tutto il mondo occidentale (l’Italia entrò a farne parte negli anni Sessanta) era un sistema parzialmente legato all’oro, nel senso che il valore di tutte le monete dei paesi che ne facevano parte era vincolato al dollaro, il quale era a sua volta vincolato e convertibile in oro (ed era l’unica moneta a esserlo). In questo modo il dollaro, sostenuto dalla potenza economica, finanziaria e militare degli Stati Uniti, finì con il diventare una sorta di sostituto dell’oro stesso: il mezzo di scambio di maggiore affidabilità e quindi necessario agli scambi internazionali tra paesi con monete differenti.
Fin dagli anni Sessanta, però, il sistema che legava l’oro al dollaro aveva cessato di avere qualsiasi valore che non fosse simbolico. Come tutti i sistemi aurei precedenti, anche Bretton Woods si era trovato di fronte alla necessità di superare la ristrettezza nelle riserve auree mondiali. Bisognava scegliere: o accettare che nel mondo non ci fossero abbastanza dollari per rendere possibile il commercio internazionale, o accettare che non ci fosse abbastanza oro per rendere convertibili tutti i dollari in circolazione. Fu fatta la seconda scelta e a partire dagli anni Sessanta gli americani non avevano più abbastanza oro con cui coprire le emissioni di dollari.
All’inizio degli anni Settanta, sotto la spinta di pressioni interne e internazionali, il presidente statunitense Richard Nixon decise di ammettere che il sistema basato sull’oro non esisteva più. Quando nel 1971 annunciò la fine della convertibilità dei dollari in oro Nixon diede inizio a una nuova epoca di moneta nella quale ci troviamo ancora oggi: quella della cosiddetta moneta fiduciaria o fiat (che sia fatta, dal latino). Le banconote e le monete hanno valore in quanto ne è stato dichiarato il loro corso legale e non perché sono effettivamente convertibili in metalli preziosi.
Il dollaro oggi
Benché il dollaro non abbia più alcun legame con l’oro da oltre cinquant’anni resta ancora la valuta di riferimento a livello internazionale per gran parte della finanza e per buona parte degli scambi internazionali.
Sono perlopiù in dollari le riserve valutarie delle banche centrali, ossia quelle scorte di valuta estera che servono per dare credibilità agli istituti e al fatto che i paesi sono sempre in grado di far fronte ai debiti internazionali: secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, il 58 per cento delle riserve valutarie nel mondo è espresso in dollari, seguito da un 20 per cento espresso in euro e poi da altre monete che però hanno una rilevanza piuttosto contenuta.
Il dollaro è ancora usato nel 41 per cento delle transazioni internazionali che avvengono sul circuito SWIFT, ossia la piattaforma di scambio di dati telematici più diffusa al mondo, che mette in comunicazione istituti finanziari e bancari di paesi diversi e permette sostanzialmente di fare i pagamenti internazionali.
Inoltre il dollaro è la moneta sulla quale si regge il sistema economico di moltissimi paesi oltre gli Stati Uniti, come nel caso di molte economie emergenti e in via di sviluppo, molti paesi del Sud America (sia piccoli come Cuba che grandi come l’Argentina) e africani: questo avviene quando le economie di alcuni paesi sono particolarmente instabili e le monete volatili, cioè sempre a rischio di crolli. In questi casi, per decisione dei governi stessi o della popolazione che vuole usare valute stabili, accanto alla valuta locale viene adottato il dollaro, che a seconda delle circostanze può essere usato in mercati paralleli o assieme all’altra valuta.
Per alcuni paesi, soprattutto emergenti o in via di sviluppo, il dollaro rappresenta la prima moneta usata. Ma questo legame con il dollaro è da sempre un possibile ostacolo al loro sviluppo economico.
Semplificando molto, le valute sono lo specchio delle economie che rappresentano: economie forti hanno monete forti e stabili, come il dollaro per gli Stati Uniti o l’euro per l’Eurozona; economie deboli e instabili hanno monete deboli e altrettanto instabili, che possono perdere rapidamente valore. Per i paesi più deboli usare il dollaro è spesso una necessità, ma allo stesso tempo una condanna: si legano all’andamento di una moneta di un’economia forte, che non rispecchia in alcun modo la loro, e questo crea talvolta squilibri e distorsioni.
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I paesi emergenti o in via di sviluppo usano tantissimo il dollaro – o le valute forti in generale – e ne sono spesso totalmente dipendenti. Consumatori e aziende fanno molti pagamenti in dollari, anche per i piccoli acquisti quotidiani, perché spesso la valuta locale non è accettata. In più, gli stati detengono parte della loro ricchezza in dollari, consapevoli del fatto che è una moneta che non potrà mai perdere valore, a differenza di quelle locali, e proteggono così il proprio potere di acquisto. La valuta straniera serve poi per pagare le importazioni di beni dall’estero.
Anche gran parte degli strumenti di debito che si trovano sui mercati finanziari è in dollari, quasi il 70 per cento. Una buona parte è debito pubblico: non solo quello degli Stati Uniti, che ovviamente rappresenta la quota più alta, ma moltissimi paesi con valute deboli riescono a finanziarsi sui mercati internazionali solo in dollari, in modo che il creditore sia garantito da una valuta solida.
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