I successi della Cina negli scacchi
Negli ultimi anni sono stati molti e di recente è arrivato il più importante di tutti, anche se nel paese altri giochi simili continuano a essere più diffusi
Il 30 aprile il cinese Ding Liren ha battuto il russo Ian Nepomniachtchi diventando il nuovo campione mondiale di scacchi, e il primo cinese a ottenere il titolo. Ed è cinese anche la campionessa mondiale di scacchi, Ju Wenjun, che nei Mondiali femminili di luglio difenderà il titolo contro la connazionale Lei Tingjie. La Cina è ormai il terzo paese al mondo, dietro Russia e Stati Uniti, per qualità dei suoi migliori scacchisti; e dopo che negli ultimi trent’anni il paese ha vinto di tutto, anche a livello giovanile, il governo ha già annunciato nuovi piani per sostenere questi risultati.
I successi della Cina negli scacchi hanno a che fare con la volontà di primeggiare, non solo per finalità sportive, in un’attività sempre più popolare oltre che spesso associata, nella sua storia, a dinamiche politiche. Questi successi sono però frutto di sforzi relativamente recenti, visto che negli anni della Rivoluzione culturale – il grande movimento di rivolta ed epurazione – la Cina arrivò perfino a vietare gli scacchi. Peraltro in Cina gli scacchi sono ancora meno diffusi rispetto al weiqi (il gioco da tavolo di strategia anche noto come “go”, inventato in Cina più di 2.500 anni fa) e soprattutto rispetto allo xiangqi, un antico gioco della stessa famiglia degli scacchi, talvolta chiamato “scacchi cinesi”.
Proprio per la diffusione dello xiangqi – che rappresenta lo scontro tra due eserciti e nel quale i pezzi si muovono su linee anziché su caselle – in Cina gli scacchi restarono sempre in secondo piano. Nonostante qualche testimonianza sul fatto che qualcosa di molto simile agli scacchi moderni già si giocasse nell’Ottocento, la loro diffusione come pratica competitiva codificata si verificò solo nella seconda metà del Novecento. Una federazione scacchistica fu creata nel 1962 (in Italia, per esempio, esiste da oltre un secolo) e fu peraltro istituita all’interno della federazione dello xiangqi.
Non durò però molto, visto che nel 1966 iniziò la Rivoluzione culturale, che si proponeva di preservare l’ideologia rivoluzionaria ed eliminare ogni elemento borghese, capitalista e occidentale dai vari ambiti della società, compresi gli scacchi. In quegli anni di messa al bando le persone potevano essere multate o arrestate se trovate a giocarci, ed era perfino vietato possedere scacchiere o manuali.
Dalla seconda metà degli anni Settanta — soprattutto dopo la morte di Mao nel 1976 — gli scacchi iniziarono tuttavia a essere riscoperti, pur restando minoritari rispetto allo xiangqi: la federazione cinese entrò a far parte della FIDE, la federazione internazionale, e nel 1986 divenne autonoma da quella dello xiangqi.
Intanto la Cina stava lavorando per affermarsi a livello mondiale: anzitutto in campo femminile, dove valutò che per via della minore concorrenza fosse più facile emergere in tempi relativamente rapidi. Non sbagliò: già a fine anni Ottanta arrivarono titoli continentali (in un continente con molti paesi di grande tradizione) e nel 1991 la cinese Xie Jun divenne campionessa mondiale. Prima di Xie i Mondiali erano stati vinti solo da scacchiste russe e georgiane.
Sempre negli anni Novanta, mentre Xie continuava a riconfermarsi campionessa, si affermarono in Cina i primi Gran maestri (il più importante riconoscimento per uno scacchista, al momento assegnato a circa duemila persone in tutto il mondo).
Negli ultimi decenni, mentre continuava a dominare in ambito femminile, la Cina è cresciuta inoltre a livello giovanile, dove negli ultimi anni ha vinto Mondiali in ogni categoria di età, dall’under 8 all’under 20, e soprattutto a livello di movimento, come provato dalle vittorie, nel 2014 e nel 2018, alle Olimpiadi maschili degli scacchi, in cui si gareggia a squadre.
In Cina, dove la federazione di scacchi dice di avere ormai «circa cinque milioni di iscritti», e dove gli scacchi sono raccontati come in crescita, seppur ancora meno diffusi rispetto allo xiangqi, la vittoria di Ding sarà usata per accelerare la diffusione del gioco, su cui il governo sembra voglia continuare a puntare: già alcuni mesi fa aveva annunciato un piano decennale per aumentare la diffusione generale del gioco e soprattutto per crescere una nuova generazione di scacchisti di alto livello. Già ora, comunque, tra i cento migliori scacchisti al mondo otto sono cinesi.
I Mondiali di scacchi sono stati molto raccontati dai media cinesi e commentati sulla piattaforma Weibo, e ci si aspetta che la vittoria di Ding – un tipo molto riservato e misurato nei modi – sarà sfruttata anche per fini politici.
Non tutto, però, sta funzionando al meglio per quanto riguarda la Cina e gli scacchi. Anzitutto, come ha raccontato su El País Leontxo García, giornalista specializzato in scacchi, ci sono ragioni per credere che gli scacchi, un tempo visti come una via di emancipazione attraverso lo studio, possano finire con l’essere percepiti come una pratica che richiede troppo impegno (da sostituire a quello nello studio di discipline scientifiche) e in cui la crescente competitività rende ancora più difficile emergere.
La diffusione degli scacchi è inoltre rallentata dalle difficoltà di accesso, dalla Cina, a piattaforme dedicate, come il popolarissimo Chess.com, ed è stata complicata dalla pandemia, che per molto tempo ha di fatto isolato gli scacchisti cinesi dal resto del mondo. Nel caso di Ding, per far sì che potesse arrivare al Torneo dei candidati (il torneo a otto partecipanti grazie al quale si accede ai Mondiali) dopo un ripescaggio successivo alla squalifica di uno scacchista russo favorevole all’invasione dell’Ucraina, la federazione cinese ha dovuto organizzarsi per fargli giocare all’ultimo quasi una partita al giorno, così da permettergli di rispettare i requisiti necessari.
Ai Mondiali, dopo che le partite in formato classico, lunghe anche diverse ore, erano finite in parità, Ding ha vinto dopo il quarto spareggio giocato in modalità “rapid”, più veloce e avvincente da seguire. Ha vinto quando restavano pochi secondi di gioco e dopo aver fatto un notevole azzardo durante una partita che molti avevano previsto sarebbe finita in parità, così come le tre precedenti.
I recenti Mondiali sono stati avvincenti e con meno pareggi rispetto alle precedenti edizioni, anche se segnati dall’assenza del campione norvegese Magnus Carlsen, vincitore delle quattro precedenti edizioni. Carlsen non si è ripresentato perché non attratto dal formato dei Mondiali e non granché stimolato né dalla sfida né dai rivali, e proprio il fatto che Carlsen sia considerato il migliore al mondo, a prescindere da chi abbia vinto i Mondiali, potrebbe rappresentare a suo modo un problema per le ambizioni scacchistiche della Cina.
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