Quando inizia una guerra civile
Per esempio in Sudan si continua a parlare di “scontri” e “combattimenti”, anche perché le definizioni ufficiali sono piuttosto vaghe
Da poco più di due settimane sono in corso in Sudan duri combattimenti tra l’esercito regolare e un forte gruppo paramilitare per il controllo del potere nel paese: gli scontri hanno provocato un numero imprecisato di morti (centinaia soltanto tra i civili) e tutti gli sforzi della comunità internazionale di organizzare una tregua tra le parti sono risultati di fatto inutili.
Gli scontri in Sudan sono ancora a uno stadio iniziale, e non è del tutto chiaro come dovrebbero essere definiti: i combattimenti sono ad alta intensità, estesi a gran parte del paese e coinvolgono ormai decine di migliaia di persone, tra quelle impegnate negli scontri e quelle costrette a fuggire dalla violenza. Al tempo stesso, però, i media e gli esperti esitano a definire quello che sta succedendo in Sudan una “guerra civile”: sia perché sembra prematuro, sia perché al termine è attribuita un’accezione estremamente grave. Questo caso mostra inoltre quanto sia complicato definire con precisione sufficiente cosa sia una guerra civile, e quando scontri interni a un paese possano essere definiti o meno come tali.
– Ascolta Globo: Capirci qualcosa degli scontri in Sudan, con Sara De Simone
Generalmente con guerra civile si intende un conflitto armato in cui due gruppi organizzati si contendono il potere all’interno di uno stato. Solitamente i due gruppi sono da un lato il governo de jure del paese, cioè quello giuridicamente riconosciuto, dall’altro un gruppo di rivoltosi, che però deve avere un certo livello di organizzazione militare. Nel corso dei decenni, tuttavia, vari studiosi hanno dato definizioni leggermente diverse di “guerra civile” a seconda delle interpretazioni dei vari elementi presi in considerazione.
Una delle ragioni principali di questa incertezza è che le istituzioni internazionali come l’ONU non hanno mai dato una definizione precisa di guerra civile. La convenzione di Ginevra, che definisce gli standard legali del diritto in guerra, parla di «conflitti armati non internazionali», e li descrive come conflitti «che si svolgono sul territorio di un’Alta Parte contraente fra le sue forze armate e forze armate dissidenti o gruppi armati organizzati che, sotto la condotta di un comando responsabile, esercitano, su una parte del suo territorio, un controllo tale da permettere loro di condurre operazioni militari prolungate e concertate».
Un’istituzione con uno status internazionale prestigioso come la Croce Rossa Internazionale, in un commento alla Terza Convenzione di Ginevra, fornisce una definizione più specifica, secondo la quale:
(1) la parte in rivolta contro il governo de jure possiede una forza militare organizzata, un’autorità responsabile per i suoi atti, agisce all’interno di un territorio determinato e ha i mezzi per rispettare e far rispettare la Convenzione [di Ginevra].
(2) il governo legale è obbligato a fare ricorso alle forze militari regolari contro i rivoltosi organizzati militarmente e che sono in possesso di una parte del territorio nazionale.
La Croce Rossa Internazionale prevede poi altre clausole, in particolare riguardanti il riconoscimento di entrambe le parti come parti belligeranti all’interno di un conflitto.
Queste definizioni più o meno ufficiali ci mostrano che, quando si parla di guerre civili, le caratteristiche da considerare sono:
– chi sono le due parti in conflitto, che nella maggior parte dei casi sono l’una il governo in carica e l’altra un gruppo rivoltoso;
– il modo in cui le due parti combattono: devono avere organizzazioni militari paragonabili a eserciti, e secondo alcune definizioni i combattimenti devono raggiungere una certa intensità prima di poter essere considerati “guerra”;
– l’obiettivo per cui le due parti combattono: il controllo del potere, il controllo dello stato o, in alcune definizioni più teoriche ma efficaci, il «monopolio della forza», cioè la possibilità di essere l’unico ente all’interno di uno stato capace di usare strumenti di coercizione, e quindi di esercitare di fatto il potere (la definizione di «monopolio della forza» è del celebre sociologo tedesco Max Weber).
Queste tre caratteristiche aiutano a distinguere le guerre civili da altri conflitti che possono avvenire all’interno di uno stato. Nelle rivoluzioni l’obiettivo degli insorti è la conquista del potere, ma gli insorti non si organizzano come un esercito (anche se è vero che spesso alle rivoluzioni seguono le guerre civili, come avvenne dopo la Rivoluzione russa del 1918). Le insurrezioni differiscono per l’organizzazione degli insorti e per gli obiettivi. Le guerre di secessione hanno invece un obiettivo differente: una regione o una colonia di uno stato combattono per ottenere l’indipendenza.
Com’è abbastanza evidente, tutte queste definizioni sono empiriche e piuttosto fumose. Possono adattarsi in maniera chiara ed evidente ad alcune delle grandi guerre civili del passato, come la Guerra civile americana e la Guerra civile spagnola, ma per molti altri casi storici, anche estremamente noti, le definizioni sono difficili da applicare. Per esempio non è chiaro come definire i “Troubles nordirlandesi”, in cui si scontrarono da un lato lo stato britannico e dall’altro gli indipendentisti nordirlandesi dell’IRA: gli scontri andarono avanti per trent’anni tra il 1968 e il 1998 e provocarono oltre 3.500 morti.
Anche lo scontro in Sudan ha molte caratteristiche della guerra civile: due eserciti interni a uno stato che evidentemente si affrontano militarmente per conquistare il monopolio della forza. Nonostante questo, i media e gli esperti non ritengono ancora che la definizione di guerra civile sia adeguata, anche se secondo alcuni rischia di mancare poco.
Per questo, alcuni studiosi tendono ad aggiungere caratteristiche per rendere ancora più specifica la definizione di guerra civile: una condizione molto popolare è quella in base alla quale una guerra civile, per essere tale, deve provocare almeno 1.000 morti all’anno (un’altra definizione prevede invece mille morti in tutto). In questo modo sarebbe possibile distinguere guerre ad alta intensità da combattimenti più sporadici.
Ci sono poi moltissimi altri elementi da considerare, per esempio il coinvolgimento internazionale. Molte guerre civili cominciano come scontri interni, ma finiscono con il coinvolgere anche altri paesi: per esempio un governo straniero alleato può entrare in guerra in sostegno di una delle due parti, “internazionalizzando” il conflitto. Per questo alcuni gruppi che studiano le caratteristiche della guerra, come l’Uppsala Conflict Data Program e l’International Peace Research Institute di Oslo, distinguono tra «guerre interne» e «guerre interne internazionalizzate».