Come cambierà l’hotspot di Lampedusa
Fra pochi giorni la gestione passerà a Croce Rossa, che dice di volerlo «rivoluzionare» e migliorare le pessime condizioni in cui si trova
di Luca Misculin
Nei prossimi giorni quasi certamente l’hotspot di Lampedusa, il centro di prima accoglienza per migranti dell’isola, cambierà gestione. La cooperativa che lo gestiva fra moltissime critiche per le condizioni estremamente precarie in cui venivano ospitati i migranti sarà rimossa dalla prefettura di Agrigento, che ha la giurisdizione sull’isola, e la gestione del centro sarà affidato alla Croce Rossa italiana.
La misura è contenuta in un emendamento al cosiddetto “decreto migranti” approvato a metà marzo dal governo di Giorgia Meloni, di cui il parlamento sta discutendo la conversione in legge. L’emendamento è sostenuto da tutta la maggioranza, è già stato approvato dal Senato e quasi certamente sarà approvato anche dalla Camera senza problemi: il voto finale è previsto per giovedì.
Sarà un cambiamento radicale. Negli ultimi anni nessuna delle cooperative che hanno gestito l’hotspot è riuscita a renderlo un posto dove vengono garantiti i bisogni di persone che in molti casi sono traumatizzate, vittime di violenza, e che sono reduci da una rischiosa traversata in mare dalla Tunisia o dalla Libia. I migranti ospitati sono tuttora costretti a dormire all’aperto, spesso senza cibo, in condizioni igieniche preoccupanti, obbligati ad accendere dei falò per riscaldarsi.
Le ambizioni di Croce Rossa, la prima grossa e rispettata ong internazionale a occuparsi del centro, sono piuttosto esplicite. «Dovremo rivoluzionare quello che c’è oggi», spiega Ignazio Schintu, direttore della sezione Operazioni, emergenze e soccorsi della Croce Rossa italiana. «Le immagini che si vedono non ci piacciono», dice Schintu riferendosi a quelle pubblicate di recente sui giornali, che mostrano per esempio cumuli di rifiuti un po’ ovunque all’interno della struttura. «Cercheremo di rendere quel posto più vivibile». «Il nostro impegno più importante è di preservare vite umane. In questo caso parliamo di persone che scappano da guerre, carestie e conflitti, verranno supportati nelle prime fasi del loro percorso dal nostro personale specializzato».
Nei giorni scorsi Croce Rossa ha già iniziato una prima valutazione delle condizioni dell’hotspot, dove finora non ha mai operato ad eccezione di un servizio per garantire test per il coronavirus. Giovedì, proprio in corrispondenza dell’approvazione definitiva dell’emendamento, il personale di Croce Rossa farà un primo sopralluogo nell’hotspot per capire come organizzare il passaggio di consegne con gli attuali gestori. L’emendamento prevede che Croce Rossa gestisca l’hotspot per due anni e mezzo, fino al 31 dicembre 2025.
I centri di prima accoglienza si chiamano hotspot dal 2015, quando furono definiti meglio a livello europeo i loro compiti e funzioni. In Italia ce ne sono quattro: oltre a Lampedusa esistono quelli di Pozzallo e Messina, in Sicilia, e di Taranto, in Puglia.
Dentro a un hotspot ai migranti viene fornita una primissima accoglienza – vengono dati cibo, indumenti puliti e cure mediche di base – e ciascuna persona viene fotosegnalata. All’interno dell’hotspot le autorità italiane dovrebbero poi “smistare” le persone nelle successive strutture di accoglienza per richiedenti asilo, a seconda del loro profilo: i minori non accompagnati vanno trasferiti in appositi centri, così come in teoria i casi più vulnerabili come disabili, malati cronici e donne incinte. Tutti gli altri finiscono nei Centri di Prima Accoglienza (CPA) o nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). I pochissimi che non chiedono asilo, magari perché non fanno capire esplicitamente di volerlo fare, vengono mandati nei controversi centri di permanenza per il rimpatrio (CPR).
Secondo la legge italiana le persone devono rimanere all’interno dell’hotspot fino a quando vengono fotosegnalate, idealmente entro due giorni dal loro arrivo, e non possono essere trattenute dopo i 30 giorni. Questi centri dovrebbero inoltre garantire il pieno rispetto dei diritti umani e della sicurezza delle persone ospitate.
Nella realtà gli hotspot sono posti in cui i migranti vengono trattenuti per molti giorni, in condizioni estremamente precarie: soprattutto in quello di Lampedusa, una piccola isola a circa 200 chilometri di distanza delle coste siciliane. L’hotspot di Lampedusa è gestito da circa un anno dalla cooperativa siciliana Badia Grande, peraltro coinvolta in due processi per sospetta truffa nella gestione di centri di accoglienza. In un rapporto scritto qualche mese fa dopo una rarissima visita all’hotspot – di solito giornalisti e attivisti non ottengono un’autorizzazione a entrarci – una delegazione dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) aveva parlato di «assenza di attrezzature per dormire», «insufficiente approvvigionamento di cibo» e «condizioni igienico sanitarie degradanti».
Da un punto di vista legale gli hotspot sono strutture che dipendono dalle prefetture, i distaccamenti del ministero dell’Interno sul territorio italiano: ma concretamente vengono gestiti da cooperative selezionate tramite bandi pubblici, giudicati molto problematici dagli esperti di accoglienza. Le cooperative sono incentivate a risparmiare su quasi tutto: i bandi per gestire gli hotspot sono sempre al ribasso, cioè vince chi riesce a garantire le prestazioni essenziali, in teoria, al minor prezzo possibile. Da mesi comunque la procura di Agrigento era scontenta della gestione di Badia Grande, e aveva segnalato di volerla rimuovere dall’incarico prima della scadenza naturale, ad agosto 2023. A gennaio era stato aperto un nuovo bando pubblico per la gestione dell’hotspot, che però a questo punto sarà verosimilmente abbandonato.
Con l’assegnazione diretta della gestione dell’hotspot di Lampedusa a Croce Rossa, almeno questo dovrebbe cambiare. Non si conoscono ancora i termini economici dell’accordo col governo – Croce Rossa dice di non avere ancora quantificato quanti fondi le serviranno, esattamente – ma Schintu dice che Croce Rossa «non lesinerà» sulle risorse necessarie per gestire al meglio l’hotspot.
Schintu dice che Croce Rossa si assicurerà prima di tutto che «cibo e beni di prima necessità non manchino». L’idea di Croce Rossa sarà quella di fare arrivare sull’isola scorte di cibo per sfamare 20mila persone, in modo che nessuno resti senza anche nei periodi in cui l’hotspot sarà sovraffollato. Il centro dovrebbe mantenere la sua capienza attuale da circa 400 posti, ma in certi periodi dell’anno, a seconda dei flussi, arriva spesso a ospitare anche duemila o tremila persone (a febbraio secondo una stima riportata da Repubblica le persone ospitate erano arrivate a 3.850).
Nel caso in cui la raccolta di rifiuti dovesse rivelarsi un problema, soprattutto nei periodi più affollati, Schintu dice che Croce Rossa avrà «delle persone che si dedicheranno a questo lavoro». Croce Rossa ha già individuato il direttore e due vicedirettori del centro, ma deve ancora approntare un bando per assumere parte del personale. Schintu dice che potrebbe essere un’opportunità anche «per i giovani dell’isola, che potremo formare con appositi corsi di formazione», soprattutto per le mansioni meno specializzate.
Per quanto riguarda le primissime migliorie, cibo e beni di prima necessità a parte, Schintu ha in mente soprattutto di trovare un sistema per far sì che i migranti possano usare i propri telefoni. «Oggi le persone che arrivano hanno il telefono, e la prima cosa che vogliono fare è telefonare a casa per dire che sono salvi: organizzeremo dei punti di ricarica per i telefoni, e anche dei punti per collegarsi a internet», in modo che i migranti soccorsi e arrivati sull’isola possano avvertire le proprie famiglie. Oggi in teoria la cooperativa che gestisce l’hotspot dovrebbe garantire alle persone ospitate delle schede telefoniche, che a volte non vengono nemmeno fornite, e il cui utilizzo è comunque piuttosto macchinoso.
Per Croce Rossa la gestione del centro di Lampedusa sarà comunque un’esperienza nuova. Finora l’organizzazione non ha mai gestito un hotspot, anche se ha una lunga esperienza di lavoro con i migranti: dal 2015 al 2019 ha gestito due Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) a Milano, e da anni in Italia gestisce un un servizio interno chiamato Restoring Family Links (RFL) per mettere in contatto i migranti arrivati in Italia e i loro parenti nei paesi di origine, e viceversa.
Schintu è molto ottimista sulle capacità di Croce Rossa di gestire l’hotspot di Lampedusa ed entrare a breve a pieno regime. Sostiene che la fase iniziale, «da start up», durerà circa un mese: poi la struttura sarà pronta ad accogliere e completare tutte le procedure per ciascuna persona entro 24 ore. Anche Schintu, però, riconosce che una gestione efficiente del centro dipenderà anche da altri fattori: su tutti, la capacità del governo di trasferire più rapidamente chi arriva nell’hotspot in altre parti d’Italia.
Dall’inizio del 2023 al 3 maggio sono arrivati via mare in Italia 42.369 migranti, circa il quadruplo rispetto al 2022. Gran parte di queste persone è arrivata a Lampedusa, anche per via della nuova instabilità politica e sociale della Tunisia, le cui coste distano appena 120 chilometri da Lampedusa. Nelle ultime settimane ci sono stati giorni con almeno dieci sbarchi al giorno, e arrivi superiori alle mille persone: numeri che causano continui sovraffollamenti all’hotspot, e che aumenteranno ulteriormente durante l’estate, quando il Mediterraneo si fa più calmo e tradizionalmente aumentano le partenze dalla Libia e dalla Tunisia.
Giovedì in un’intervista alla Stampa il questore di Agrigento, Emanuele Ricifari, ha anticipato che il governo sta lavorando a un piano per coinvolgere aerei militari e navi militari e private per «trasferire fino a 1.400 persone al giorno» da Lampedusa alla terraferma. Sono numeri mai visti finora, e bisognerà capire se davvero il governo troverà le risorse necessarie per raggiungere questo obiettivo.
A prescindere da quello che riuscirà a fare il governo, per Croce Rossa sarà una sfida anche solo gestire un tipo di centro con cui finora ha avuto poco a che fare, e che secondo alcuni esperti di accoglienza ha dei difetti strutturali. L’ASGI fa spesso notare che negli hotspot «la libertà personale è nei fatti limitata: non è possibile uscire né autonomamente né previa richiesta di autorizzazione», nonostante la legge italiana vieti di trattenere persone per più di 48 ore senza una precisa motivazione e richiesta formale. Da anni poi gli hotspot vengono regolamentati con norme piuttosto opache, spesso con circolari interne dei ministeri, mentre al suo interno viene garantita totale libertà alle agenzia di sicurezza dell’Unione Europea come Frontex ed Europol, molto più interessate alla ricerca dei presunti scafisti che all’accoglienza di persone vulnerabili e traumatizzate.
Schintu rifiuta qualsiasi paragone fra l’hotspot e un centro di detenzione, come per esempio i CPR, che il governo Meloni vorrebbe aprire in ogni regione italiana. «Croce Rossa non entrerà mai in un CPR, qui parliamo di una struttura di primo arrivo», sostiene Schintu. La sua tesi è che centri come gli hotspot possano essere gestiti in una maniera compatibile col rispetto dei diritti umani delle persone che ci finiscono dentro, e che questo debba diventare la norma. «Dovremo abituarci sempre di più alle migrazioni: per via dei cambiamenti climatici e dei conflitti la gente si sposta, non si deve aver paura di chi arriva perché è il peggior modo per fare le cose».
Riguardo alla possibilità che le persone che finiscono dentro all’hotspot non siano trattenute al suo interno per giorni, Schintu non si sbilancia: sostiene che gli hotspot «sono tendenzialmente dei luoghi chiusi anche per rispetto della privacy», ma al contempo assicura che il centro non sarà inaccessibile alle persone che vorranno verificarne le condizioni. «Cercheremo di essere più trasparenti possibili, non ci sarà niente da nascondere».