Coltivare orti per riqualificare le città
A Roma alcuni volontari hanno ottenuto il permesso di coltivare piante in terreni dove c'erano discariche o avrebbero dovuto esserci palazzi
di Angelo Mastrandrea
Agli orti urbani della valle dei Casali, un’area verde nel quadrante ovest di Roma tra i quartieri Gianicolense e Portuense, si arriva attraverso un percorso sterrato che costeggia viale Isacco Newton, una strada a scorrimento veloce. Sul lato opposto ci si imbatte dapprima in un cancello da cui si accede ai primi appezzamenti, che si trovano su terreni privati concessi in comodato d’uso dal proprietario, poi un secondo dal quale si entra negli orti comunali, che il Municipio XI ha affidato all’associazione Valle dei Casali. Più avanti si incontrano un canile abbandonato ricoperto di rovi e il rudere di un casale settecentesco che in passato ha ospitato un forno.
Fino al 2013 tutta l’area era abbandonata e utilizzata come discarica abusiva, mentre i canneti e la vegetazione spontanea nascondevano un rifugio per i cani da caccia gestito in maniera informale. Un gruppo di abitanti dei palazzi che si affacciano sulla valle costituì un’associazione e presentò un progetto al Municipio per riqualificarla. Impiegarono due anni per ottenere la concessione, che fu data per sei anni e nel 2021 è stata rinnovata per altri sei. Quando arrivò l’autorizzazione, si misero al lavoro e ripulirono tutta l’area.
«C’erano frigoriferi e altri elettrodomestici abbandonati, copertoni di camion e le gabbie dove venivano rinchiusi i cani», ricorda Tiziana Clementucci, una delle attiviste dell’associazione. Una volta rimessa a posto l’area, divisero i terreni in lotti da 50 metri quadrati ciascuno, raccolsero le domande di chi voleva coltivarli e li assegnarono a chi aveva fatto richiesta. «Una buona parte fu affidata a pensionati che abitano nei dintorni, perché il nostro scopo principale era quello di farli uscire di casa e farli incontrare tra loro, privilegiando nell’assegnazione chi viveva più vicino», spiega Claudia Ciabatti, un’altra attivista. Tutti devono rispettare un regolamento che prevede l’obbligo di mantenere i terreni in buono stato e il divieto di vendita dei prodotti.
A coltivare gli orti della valle dei Casali ci sono architetti, informatici, medici e psicologi, accomunati dalla passione per la terra e la botanica e dal desiderio di socialità. «Ma qui dentro siamo tutti contadini», dicono. Con il tempo, molti sono andati via e sono stati sostituiti. «Passato l’entusiasmo iniziale, si sono accorti che coltivare l’orto è un impegno faticoso, bisogna saper lavorare la terra e le piante non si possono abbandonare», dice Clementucci. Per questo ai nuovi arrivati hanno deciso di assegnare per il primo anno solo 25 metri quadrati di terreno a ogni persona. Poi, se resiste alle fatiche, viene concessa anche l’altra metà dell’appezzamento.
Sui terreni comunali della Valle dei Casali ci sono 60 orti, uno dei quali sinergico – vale a dire che il suolo non viene arato né zappato, perché si ritiene che la terra si rigeneri da sola, e non si taglia la vegetazione che cresce in maniera spontanea –, un alveare da cui si estrae il miele, una serra che gli attivisti considerano «il nostro orgoglio» e ospita decine di varietà di pomodori, quattro contenitori da mille litri l’uno per l’acqua piovana, uno spazio per l’aridocoltura che prevede una serie di accorgimenti per coltivare in caso di siccità, una piantagione di erbe aromatiche e un giardino delle piante succulente. L’Accademia di Spagna ha finanziato uno scambio di innesti e l’associazione Cercatori di semi ha inviato cereali in via di estinzione da coltivare.
Uno dei soci, Lanfranco Ciaglia, sta sperimentando coltivazioni idroponiche – una popolare tecnica di coltivazione “fuori suolo”, in vasi e con soluzioni nutritive apposite – di fragole, insalata e pomodori. «In questo modo non consumiamo suolo», spiega. Le piantine crescono nell’acqua prelevata da un pozzo, «settanta litri che cambiamo una volta al mese e poi riutilizziamo per l’irrigazione per ridurre al massimo lo spreco», dice ancora. Il prossimo passo, aggiunge, sarà la costruzione di una vasca per le coltivazioni, con i pesci a concimarla in maniera naturale.
L’associazione organizza visite guidate per le scuole e altri eventi, come il pranzo della Liberazione che la mattina del 25 aprile ha preparato nello spazio comune, che comprende una cucina e un gazebo in legno, e al quale hanno partecipato un centinaio di persone, tra cui diversi iscritti della sezione locale dell’Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi) e buona parte della giunta del Municipio XI, guidata da Gianluca Lanzi del Partito Democratico.
Il Comune di Roma punta sugli orti urbani per riqualificare le aree verdi della città che non riesce a gestire. Già nel 2015 l’amministrazione di centrosinistra guidata da Ignazio Marino aveva approvato una delibera che li riconosceva come «spazio comunitario». Ora sono in arrivo la regolarizzazione e un regolamento scritto dalle stesse associazioni di ortisti che tra le misure principali prevede l’accesso all’acqua per l’irrigazione, la stipula di un’assicurazione contro gli incidenti e l’obbligo di farsi seguire da una figura professionale, il gardeniser (da garden e organiser), una sorta di consulente per chi gestisce un orto urbano. L’associazione Zappata romana, costituita per condividere le buone pratiche su orti e giardini, ha censito 133 giardini e 67 orti condivisi su aree abbandonate di proprietà del Comune.
Da anni molte altre città italiane ed europee mettono a disposizione terreni incolti alle persone che ne fanno richiesta, soprattutto anziani. Secondo gli ultimi dati Istat, relativi al 2021, gli orti urbani a Roma occupano 35mila metri quadrati di terreno. In Italia la città che ne ha di più è Bologna, con 165mila metri quadrati. La seconda è Parma con 143mila, mentre Milano è all’ottavo posto con 81mila. Per Andrea Messori, portavoce del Forum degli orti comunitari di Roma, si tratta però solo di stime, «perché l’amministrazione non ha mai fatto un censimento per far emergere e regolarizzare le situazioni abusive, che sono circa il 90 per cento del totale». Il Comune punta a stipulare convenzioni con le associazioni che gestiscono gli orti. «È fondamentale perché permette di offrire servizi, finanziamenti ad hoc e ampliare il raggio delle buone pratiche, come dotare gli orti di sistemi di raccolta di acqua piovana», ha detto l’assessora all’Ambiente Sabrina Alfonsi al Sole 24 Ore. L’assessorato sta anche cercando di fare una mappa dei terreni comunali inutilizzati, per affidarli ad associazioni di ortisti attraverso un bando pubblico.
Alla metà di febbraio, otto rappresentanti del comune colombiano di Barranquilla sono venuti a visitare un orto urbano realizzato proprio sotto il palazzo che ospita la sede della Regione Lazio alla Garbatella, un quartiere popolare nel quadrante sud di Roma. La delegazione colombiana è arrivata a Roma grazie a un progetto europeo per studiare il «modello Garbatella», dove 40mila metri quadrati di terreni furono occupati tredici anni fa per fermare un progetto che prevedeva la costruzione di palazzi. L’associazione Legambiente raccolse 13mila firme contro quella che definì una «speculazione edilizia». «Gli orti sono stati il cavallo di Troia per fare in modo che tutta l’area del parco non venisse edificata», dice Luigi Di Paola, uno degli ortisti. Ora l’area è diventata un orto urbano con 25 aree da trenta metri quadrati ciascuna.
Nel Parco delle Tre Fontane, nel quadrante sud di Roma tra i quartieri della Montagnola e del Tintoretto, la giunta guidata da Roberto Gualtieri del Partito Democratico ha approvato uno studio di fattibilità per la cosiddetta rigenerazione urbana dell’area che prevede uno stanziamento di 3,8 milioni di euro, provenienti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), i fondi europei assegnati all’Italia per rilanciare l’economia dopo la pandemia di Covid. La proposta prevede la riqualificazione del parco attraverso la piantumazione di alberi e arbusti, aree giochi per bambini, la creazione di sentieri e di spazi per il giardinaggio condiviso e la costruzione di capanni per gli attrezzi nei 28mila metri quadrati che il Municipio VIII ha concesso a un’associazione di cittadini.
«Quest’area era una discarica abusiva, abbiamo fotografato e denunciato i camion che di notte venivano di nascosto a gettare i rifiuti dei cantieri edili, l’abbiamo occupata, risistemata e messa a disposizione del quartiere, tutto con le nostre risorse», racconta Marcello Cornacchia, che prima di andare in pensione e dedicarsi all’orto urbano lavorava come tecnico informatico al Manifesto. L’orto urbano delle Tre Fontane ha 118 terreni coltivati e un’ampia area comune aperta a tutti. «Abbiamo deciso di lasciarlo sempre aperto, senza recintarlo, consapevoli di esporci al rischio di furti e vandalismi, ma per noi è stata una scelta di campo perché riteniamo che questo sia uno spazio di tutti», dice il vicepresidente dell’associazione Orti Urbani Tre Fontane Enzo Silvi. Nel «parcorto», come lo definiscono, chi vuole viene anche solo per fare una passeggiata o prendere il sole. Si fanno sedute di yoga e di meditazione tibetana, per un periodo ha ospitato una scuola di italiano per stranieri e ora c’è un doposcuola per 40 bambini. Grazie a una convenzione con l’Asl, alcuni pazienti psichiatrici vengono a curarsi con l’ortoterapia.
Gli ortisti del parco delle Tre Fontane temono però che l’arrivo del soldi del PNRR e l’approvazione del regolamento sugli orti urbani possano snaturare il loro progetto di rimanere un luogo aperto. «Non vogliamo diventare dei piccoli proprietari terrieri», dicono. Sostengono che nel loro caso «basterebbe applicare il regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni», approvato dalla giunta comunale a fine novembre del 2022. Le norme prevedono la stipula di un «patto di collaborazione» tra il Comune e gruppi di cittadini «attivi» quando questi si prendono cura nell’interesse generale di beni che il Comune non riesce a gestire. Tra le attività previste c’è la manutenzione di strade, parchi e giardini.