Perché i capelli diventano bianchi
Una nuova ricerca ipotizza che c'entri un malfunzionamento delle cellule staminali, ma ci sono ancora molti aspetti da chiarire
La comparsa dei primi capelli grigi è tra i segni più evidenti e riconoscibili dell’invecchiamento, ma nonostante sia un fenomeno che riguarda praticamente tutte le persone, a oggi non conosciamo ancora di preciso tutti i meccanismi che portano all’incanutimento. Sappiamo che il processo può iniziare presto in alcuni individui, mentre per altri si presenta in età molto avanzata. Una nuova ricerca da poco pubblicata suggerisce che il fenomeno sia legato a un comportamento anomalo delle cellule staminali nel bulbo pilifero, che col passare del tempo diventano meno efficienti nel mantenere la colorazione del capello.
I principali pigmenti responsabili della colorazione dei capelli sono le melanine, molecole complesse (polimeri) con forme e funzioni diverse a seconda di dove si trovano nel nostro organismo. Nel caso dei capelli, le due forme di melanina coinvolte sono l’eumelanina, che ha un colore marrone-nero, e la feomelanina, che ha invece un colore più chiaro e che vira dal giallo al rosso. La loro produzione avviene a partire da uno specifico aminoacido, la tirosina, grazie all’attività dei melanociti, cioè di cellule che si trovano nel bulbo pilifero e che colorano il capello man mano che cresce inserendo al suo interno un tipo di melanina a seconda del soggetto.
In generale, le persone con i capelli scuri e castani hanno un eccesso di eumelanina, mentre quelle che li hanno chiari hanno soprattutto feomelanina. La proporzione tra i due polimeri è regolata dalle caratteristiche genetiche cui si aggiungono fattori ambientali, che possono influire sulla colorazione dei capelli. Tra i fattori ambientali, il principale è la luce solare che interviene sulla melanina proprio come avviene per l’abbronzatura della pelle.
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I raggi ultravioletti del Sole hanno un effetto distruttivo nei confronti della melanina, ma c’è una importante differenza tra ciò che avviene nella pelle e nei capelli, come ha spiegato la divulgatrice scientifica Beatrice Mautino nel suo libro La scienza nascosta dei cosmetici:
Nella pelle, che è un organo vivo, questa azione [dei raggi UV] genera una catena di segnali molecolari che spingono i melanociti a produrre altra melanina per creare una barriera protettiva. I capelli, invece, sono fibre “morte”, anzi, trattandosi di proteine, possiamo tranquillamente dire che non sono mai state vive, e quindi la distruzione della melanina si manifesta semplicemente con uno schiarimento, senza che questo scateni alcuna reazione da parte dei melanociti, che continueranno il loro lavoro di produzione come sempre.
I capelli crescono dalla base, dove c’è il bulbo pilifero, di conseguenza è solo in quel punto che ricevono il colore grazie ai melanociti. Con l’arrivo delle stagioni in cui siamo di solito meno esposti ai raggi solari – l’autunno e l’inverno – il lavoro dei melanociti non viene turbato più di tanto dai raggi ultravioletti e la parte nuova del capello cresce più scura rispetto alla punta scolorita nel periodo precedente dall’effetto del Sole. I capelli “tornano scuri” semplicemente perché quelli scoloriti dopo un certo periodo cadono nell’ambito del loro ciclo naturale o vengono tagliati.
L’invecchiamento turba però l’attività dei melanociti, che col passare del tempo tendono a colorare sempre meno i capelli, fino a quando questi iniziano a ingrigire ed eventualmente a diventare bianchi. Negli anni vari gruppi di ricerca hanno identificato alcune componenti genetiche che determinano questo processo, ma i suoi meccanismi e le sue cause non sono ancora del tutto chiare.
Uno studio del 2016, per esempio, identificò il gene IRF4 come un possibile responsabile nella regolazione dell’espressione di un enzima, che avrebbe un ruolo importante nella sintesi della melanina e nel mantenimento dei melanociti. Lo studio aveva però rilevato come i fattori ambientali fossero responsabili del 70 per cento dei casi di incanutimento, aprendo a nuove ricerche sul tema.
Negli ultimi anni le attenzioni di vari gruppi di ricerca si sono concentrate sulle cellule staminali che si specializzano diventando melanociti. Ogni bulbo pilifero ha una certa scorta di queste cellule, che grazie all’intervento di particolari proteine avviano quando necessario il loro processo di specializzazione per diventare ciò che tinge il capello. Inizialmente si pensava che l’incanutimento iniziasse quando nel bulbo termina la scorta di cellule staminali, ma non tutti erano convinti perché c’erano indizi sul fatto che l’ingrigimento potesse iniziare anche prima della carenza di queste cellule.
Uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Nature ha indagato questi meccanismi nei topi, trovando spunti e implicazioni anche per gli esseri umani. Il gruppo di ricerca ha analizzato per lungo tempo le cellule staminali nei bulbi piliferi della pelliccia dei topi notando che in realtà queste passano ciclicamente dallo stadio in cui sono mature e producono la melanina a quando smettono di produrla, con un meccanismo non osservato prima e difficile da spiegare con le conoscenze generali sulle staminali.
Col passare del tempo, queste cellule perdono però la loro capacità di passare da uno stadio all’altro. Sembra che quando il pelo cade, nel suo ciclo naturale, il bulbo pilifero si indebolisca e alcune sue funzioni rimangano compromesse, compresa la produzione della proteina che fa da interruttore per dire alle staminali come comportarsi. Il risultato è che il nuovo pelo cresce privo di melanine e di conseguenza senza colore.
Quando il gruppo di ricerca ha provato a strappare alcuni peli ai topi, per simulare più velocemente le fasi di caduta e crescita, è stato osservato un maggiore accumulo di staminali nella riserva del bulbo pilifero, senza il loro passaggio allo stadio in cui producono melanina. Il risultato è stato un ingrigimento del pelo dei topi in poco tempo.
Lo studio ha preso in considerazione i topi, ma alcune delle conclusioni possono essere applicate agli esseri umani, secondo il gruppo di ricerca. Il meccanismo di perdita e ricrescita del capello, con l’incapacità di produrre il colore, dovrebbe essere simile ed è quindi probabile che siano effettuate nuove osservazioni negli esseri umani.
Al momento non è però chiaro perché le staminali smettano di comportarsi come dovrebbero. La pratica di strappare i peli durante gli esperimenti sui topi potrebbe avere inoltre interferito nel processo, considerando che una perdita traumatica è diversa da quella naturale e potrebbe avere altri tipi di conseguenze ancora non completamente note.
Dopo lo studio del 2016 (quello sul gene IRF4) era stata ipotizzata a breve la produzione di un principio attivo che avrebbe potuto arrestare l’ingrigimento dei capelli, ma a distanza di circa sette anni non ci sono stati grandi progressi. I risultati della nuova ricerca hanno portato a qualche dichiarazione simile e alquanto ottimistica per contrastare l’incanutimento, ma è probabile che ancora per molto tempo la colorazione dei capelli con le tinte sarà l’unica possibilità per mascherare la perdita del colore.
Al di là degli aspetti estetici, le ricerche in questo settore sono importanti perché possono offrire nuovi elementi sul comportamento di alcuni tipi di cellule staminali, così come sul ruolo di particolari geni che potrebbero essere coinvolti anche in alcune malattie come i tumori e più in generale nei processi di invecchiamento.
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