Il governo ha approvato il decreto sul lavoro
Contiene una riduzione del cuneo fiscale, il sussidio che rimpiazza il reddito di cittadinanza e altre misure, ma i sindacati lo contestano
Nel giorno della festa dei lavoratori, il governo di Giorgia Meloni ha organizzato un Consiglio dei ministri per approvare un decreto-legge che contiene varie misure legate al lavoro, come la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, la sostituzione definitiva del reddito di cittadinanza, e un ampliamento delle possibilità di prorogare i contratti a tempo determinato. In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, un comunicato stampa ha illustrato i punti principali del decreto-legge, anticipati negli scorsi giorni da diverse bozze divulgate alla stampa, e attorno ai quali si è sviluppata un’accesa discussione tra governo e sindacati, contrariati anche dalla decisione di approvarlo simbolicamente il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori.
Domenica sera i leader dei tre principali sindacati, Cgil, Cisl e Uil, hanno incontrato i rappresentanti del governo che hanno spiegato le novità del decreto. Non sembra essere andato molto bene, anche perché i sindacati si sono lamentati di essere stati convocati a poche ore dall’approvazione definitiva del decreto-legge. Maurizio Landini, segretario della Cgil, aveva definito «un atto di arroganza offensivo» la decisione di approvarlo il primo maggio. Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, ha poi commentato: «al governo dà fastidio che la narrazione del primo maggio sia fatta dai sindacati. Quindi inventa il decreto e sicuramente proverà a oscurarci con una conferenza stampa. Legittimo, ma è un atto di propaganda». La conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri alla fine non c’è stata.
Il principale intervento del decreto-legge è l’abbassamento del cosiddetto cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quello che il lavoratore percepisce come stipendio netto, per i redditi fino a 35mila euro l’anno. Il cuneo fiscale consiste nella somma di due principali componenti: l’imposta sul reddito delle persone fisiche da un lato (IRPEF) e i contributi previdenziali e assistenziali dall’altro. Il dipendente si fa carico dell’imposta e di parte dei contributi, il datore di lavoro della restante parte dei contributi.
Il decreto interviene sul cuneo fiscale con una misura temporanea, che vale da luglio a dicembre: per i redditi fino a 25mila euro all’anno, il taglio sarà del 4 per cento, e si aggiungerà a quello del 3 per cento già in vigore nel 2022, pari in media a circa 96 euro lordi al mese in più in busta paga. Per i redditi fino a 35mila euro, il taglio aggiuntivo sarà sempre del 4 per cento, che si aggiungerà al precedente del 2 per cento, per una media di 99 euro lordi al mese. La misura dovrebbe costare in totale 4,1 miliardi di euro.
Landini ha commentato il taglio del cuneo fiscale dicendo che risponde a una richiesta dei sindacati, ma criticando le modalità con cui è stato attuato perché «si tratta di una misura temporanea, non strutturale». Ha invece contestato completamente le altre due principali misure, la cancellazione del reddito di cittadinanza e quella che ha definito una «liberalizzazione» dei contratti a tempo determinato. Anche secondo Bombardieri «il decreto aumenta la precarietà», mentre Luigi Sbarra è stato più conciliante. Cgil, Cisl e Uil manifesteranno il 6 maggio a Bologna, il 13 a Milano e il 20 a Napoli.
Il decreto sostituisce anche il reddito di cittadinanza, che il governo Meloni ha abolito nella sua forma precedente, rimpiazzandolo da gennaio 2024 con un “Assegno di inclusione” rivolto però solo ai nuclei famigliari in cui ci sono persone sopra ai 60 anni, minori o disabili, e a patto che abbiano l’Isee sotto una certa soglia. Per capire meglio come funzionerà bisognerà aspettare la pubblicazione definitiva.
Secondo le bozze circolate in questi giorni, l’importo dell’assegno sarà al massimo di 500 euro al mese, a cui si aggiunge un contributo fino a 280 euro in caso di nucleo famigliare in affitto. Viene erogato per 18 mesi, poi è previsto un mese di interruzione, seguito da altri 12 mesi di rinnovo. Se nel nucleo c’è una persona da 18 a 59 anni ritenuta “occupabile”, questa deve avviare un percorso di ricerca di lavoro tramite un centro per l’impiego. Se rifiuta un’offerta con contratto di almeno un mese, l’assegno viene perso dall’intero nucleo (con alcune condizioni per quanto riguarda il tipo di contratto eventualmente offerto e la distanza del lavoro da casa).
Il decreto-legge interviene anche sui contratti a termine, cambiando quanto era stato deciso col cosiddetto “decreto dignità” approvato nel 2018 dal governo di Movimento 5 Stelle e Lega. Quel decreto-legge aveva ridotto le possibilità di prorogare i contratti a tempo determinato dopo i primi 12 mesi, che erano in precedenza state aumentate per i datori di lavoro dal Jobs Act del governo Renzi. Ora il governo Meloni ha introdotto alcune nuove causali ampliando la possibilità di prorogarli da 12 a 24 mesi: lo si potrà fare «nei casi previsti dai contratti collettivi; per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2024; o per sostituire altri lavoratori».