A Cuba manca la benzina
È il motivo per cui è stata annullata la grande manifestazione dell'1 maggio per la giornata internazionale dei lavoratori
Il partito comunista cubano ha annullato i festeggiamenti della giornata internazionale dei lavoratori che si tiene ogni anno l’1 maggio in piazza della Rivoluzione, all’Avana. Il segretario generale del sindacato dei lavoratori, Ulises Guilarte de Nacimiento, ha annunciato che la sfilata sarà sostituita da una manifestazione minore sul lungomare. La manifestazione è stata annullata a causa della mancanza di benzina che sta creando gravi problemi all’economia dell’isola, già molto fragile. Da settimane gli automobilisti sono costretti ad appostarsi per ore vicino ai distributori per non lasciarsi scappare la poca benzina disponibile: le code si estendono per chilometri, con notevoli problemi di ordine pubblico.
Non è l’unica carenza a cui i cubani devono far fronte. Da almeno due anni Cuba sta attraversando una delle crisi più gravi e profonde dal 1959, anno della rivoluzione guidata da Fidel Castro che instaurò nel paese un regime comunista. Mancano cibo, elettricità e materie prime. Le cause di una crisi così grave sono molte. La più evidente è la pandemia e le conseguenti restrizioni che hanno azzerato i flussi turistici, una delle principali fonti di guadagno dell’isola. Gli effetti della pandemia si sono aggiunti a decenni di politiche sbagliate, che hanno limitato se non fatto regredire lo sviluppo economico dell’isola, in particolare dell’industria e dell’agricoltura.
L’embargo è una delle ragioni, o la principale, della storica difficoltà di trovare beni di consumo sull’isola. Fu istituito dal presidente americano John Fitzgerald Kennedy quasi due anni dopo che la rivoluzione castrista aveva rovesciato il dittatore Fulgencio Batista, quando il nuovo regime di Cuba aveva iniziato a nazionalizzare alcune grosse industrie che operavano in territorio cubano e che erano di proprietà degli Stati Uniti. Nel 1962 l’embargo fu esteso a quasi tutte le esportazioni cubane.
Nel corso dei decenni Cuba aveva trovato partner commerciali differenti, ma negli ultimi anni i mancati pagamenti dei debiti da parte dello stato hanno interrotto molte linee di approvvigionamento, anche dei beni di uso comune come la benzina. Il presidente Miguel Díaz-Canel ha detto che l’isola sta ricevendo solo due terzi del petrolio di cui ha bisogno e che questa carenza è dovuta al mancato rispetto degli accordi contrattuali da parte degli stati fornitori. In particolare Cuba sta ricevendo molto meno petrolio dal Venezuela, stato con cui firmò un accordo nel 2000 per barattare petrolio in cambio di forza lavoro, soprattutto medici e insegnanti.
Le esportazioni venezuelane verso Cuba sono diminuite del 50 per cento nell’ultimo decennio anche per via della diminuzione della produzione. Nell’ultimo anno, inoltre, la crisi energetica dovuta all’invasione della Russia in Ucraina ha reso il petrolio molto più conteso dal mercato. Gli Stati Uniti hanno rimosso alcune delle sanzioni che erano state imposte al Venezuela a seguito di negoziati tra il governo e l’opposizione del paese, e soprattutto con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica del resto del mondo dalla Russia. Molte aziende petrolifere sono quindi tornate ad acquistare petrolio venezuelano.
In realtà Cuba potrebbe utilizzare il suo petrolio, che però è di bassa qualità e le raffinerie dell’isola non sono in grado di trattarlo per farlo diventare benzina. Secondo diversi economisti, alla lunga questa mancanza farà diminuire ulteriormente la produttività delle aziende cubane con conseguenze per il prezzo del cibo, destinato ad aumentare.
L’attuale regime cubano non sembra in grado di invertire la tendenza che ha visto un costante e radicale peggioramento delle condizioni di vita nell’ultimo decennio. A peggiorare le cose c’è anche un’ondata di emigrazione delle generazioni più giovani. Si stima che solo nel 2022 sia partito il 2 per cento della popolazione, che rappresenta anche il 4 per cento di quella attiva nel mercato del lavoro: anche se non esistono cifre ufficiali complessive, potrebbero aver lasciato l’isola 300.000 persone in un anno.