In Paraguay vincerà di nuovo il «dinosauro della politica latinoamericana»?
Si vota oggi per eleggere il presidente e il parlamento, e per la prima volta da molto tempo il Partito Colorado non è sicuro di vincere
Domenica in Paraguay ci sono le elezioni presidenziali, ma anche quelle per rinnovare deputati e senatori delle due camere del parlamento e per scegliere i 17 governatori dei dipartimenti in cui è suddiviso il paese dal punto di vista amministrativo. Il presidente uscente è Mario Abdo Benítez, del Partito Colorado, conservatore e di destra, e non potrà essere eletto per un secondo mandato perché lo vieta la Costituzione. Le presidenziali si svolgono in un unico turno, e sarà dunque eletto chi otterrà più voti. Nonostante il Partito Colorado governi da decenni, l’esito delle elezioni è stavolta molto incerto: sia perché il candidato scelto dal Partito Colorado divide il partito stesso, sia perché le sue posizioni sul mantenere relazioni diplomatiche con Taiwan – e quindi non mantenerne con la Cina – non sono più popolari come un tempo.
I due candidati favoriti per le presidenziali sono Santiago Peña, ex ministro delle Finanze, del Partito Colorado, e Efraín Alegre, leader del Partito Liberale Radicale Autentico (PLRA) e a capo di un’alleanza di partiti di centro e centrosinistra chiamata Concertazione Nazionale. I due candidati sono stati scelti attraverso le primarie che si sono svolte nel dicembre del 2022.
La prima cosa da sapere è che il Partito Colorado è stato definito un «dinosauro della politica latinoamericana». Controlla infatti il paese dal 1947, con un’unica breve interruzione tra il 2008 e il 2012 quando fu eletto alla presidenza l’allora leader dell’opposizione di centrosinistra Fernando Lugo, ex vescovo cattolico che venne sfiduciato quattro anni dopo con un’operazione politica promossa proprio dal Partito Colorado, che da lì in poi riprese il potere.
Peña, all’interno del suo stesso partito, rappresenta l’opposizione all’attuale presidente Mario Abdo Benítez, simbolo dell’ala più tradizionale e più volte criticato per aver difeso gli anni della dittatura militare del generale Alfredo Stroessner. Benítez è diventato molto impopolare a causa della crisi economica che si è aggravata con la pandemia e per le accuse di corruzione in cui sono coinvolti i massimi esponenti del partito.
Lo scorso anno il governo degli Stati Uniti impose sanzioni personali per “corruzione sistemica” contro il vicepresidente del partito, Hugo Velázquez, e contro l’attuale presidente, Horacio Cartes, che è stato anche presidente del Paraguay tra il 2013 e il 2018. Durante la campagna elettorale, Peña si è concentrato sui temi della sicurezza, della difesa dei valori tradizionali della famiglia, ma soprattutto sulla necessità di cambiare le cose, anche rispetto al recente passato della sua area politica: «Saremo migliori», è il suo slogan.
Il suo principale oppositore è Efraín Alegre. Si definisce «padre, sposo e cattolico» ed è la terza volta consecutiva che si presenta alle presidenziali (nel 2018 perse per meno di quattro punti percentuali). Alegre è stato ministro dei Lavori pubblici durante la presidenza di centrosinistra di Fernando Lugo e ha passato la campagna elettorale a criticare i suoi avversari: «I paraguaiani hanno due opzioni: o votare per un narco-stato con dei corrotti legati alla criminalità organizzata o votare per un paese che difende il valore dell’integrità». Anche Alegre ha fatto spesso ricorso al termine “cambiamento”: «Dai una possibilità al cambiamento», è il suo slogan.
Entrambi i principali candidati hanno in comune il fatto di dover affrontare una situazione politica molto complicata, il forte malcontento della popolazione, la corruzione, l’insicurezza, gli alti tassi di disoccupazione e la povertà. La campagna elettorale di entrambi, però, non si è concentrata su proposte forti per affrontare questi problemi: è stata anzi definita da alcuni osservatori «fredda e smorta», rivolta soprattutto agli elettori e alle elettrici che non hanno ancora deciso per chi votare.
L’esito delle elezioni è effettivamente piuttosto incerto. I sondaggi sulle intenzioni di voto differiscono molto tra loro: alcuni danno in vantaggio Peña e altri Alegre. Ma anche se Alegre vincesse, le cose non sarebbero semplici per lui.
Il Partito Colorado è popolare e di massa. L’unica sconfitta che subì, nel 2008, fu causata principalmente da una sua divisione interna, situazione che potrebbe ripresentarsi anche oggi. I sostenitori del partito attribuiscono il suo successo ai risultati ottenuti dai governi che ha guidato. I critici sottolineano invece che la vittoria è stata ottenuta eliminando i rivali (durante il regime militare), poi con la frode e infine facendo leva sugli apparati statali che il partito continua a controllare.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la grave instabilità politica del Paraguay ebbe come esito una guerra civile che si concluse con la presa del potere, nel 1954, del dittatore Alfredo Stroessner, profondamente conservatore e del Partito Colorado. Rimase al potere per più di trent’anni. Il regime guidato da Stroessner fu caratterizzato da violazioni dei diritti civili, corruzione, cospirazioni, brogli elettorali, detenzione e tortura degli avversari politici, uso della violenza come arma politica, scambio sistematico di posti di lavoro pubblici con affiliazioni al partito, e gestione “personale” dell’economia nazionale. Stroessner offrì, tra le altre cose, protezione ai criminali di guerra nazisti.
Di fatto, durante la dittatura, i confini che separavano il partito dall’apparato statale divennero sempre più sfumati. E dalla dittatura in poi l’egemonia del Partito Colorado a tutti i livelli dell’apparato statale, della magistratura, dei media e dell’economia persiste. Non solo. L’appartenenza al partito promossa durante la dittatura è stata trasmessa dalle vecchie generazioni a quelle più nuove: un sentimento che alcuni paragonano alla fedeltà alla famiglia o quella che si ha verso una squadra di calcio. «Ecco perché il coloradismo è un fenomeno così strano», ha detto a BBC Mundo lo storico paraguaiano Fabián Chamorro. «Non importa chi sia il candidato, non importa il suo curriculum o che sia un criminale, il voto si sposterà lì, senza alcun problema».
L’analista politico Caio Manhanelli ha a sua volta spiegato che se anche il Partito Colorado dovesse perdere le elezioni, chi ne prenderà il posto avrà molta difficoltà a governare: perché gran parte del potere politico del Paraguay resterebbe nelle mani del Partito Colorado.
Al centro delle prossime elezioni del Paraguay c’è poi un’altra questione che ha a che fare con la politica estera: le relazioni del paese con Taiwan e, di conseguenza, con la Cina.
Di fatto Taiwan è uno stato indipendente, con un suo governo eletto democraticamente e proprie istituzioni, ma a livello diplomatico e formale non è riconosciuto come tale da quasi nessun paese del mondo, con pochissime eccezioni. E tra queste c’è il Paraguay. La Cina considera Taiwan parte del suo territorio, come provincia ribelle della Repubblica Popolare che un giorno andrà riunificata alla madrepatria. Taiwan è dunque un punto estremamente sensibile della politica estera della Cina: qualsiasi relazione bilaterale, soprattutto se formale, tra Taiwan e un paese terzo viene considerata una minaccia diretta all’integrità territoriale cinese. La conseguenza è che la Cina non ha rapporti con gli stati che hanno rapporti con Taiwan.
Il legame diplomatico del Paraguay con Taiwan risale al 1957, quando il regime militare e anticomunista di Alfredo Stroessner riconobbe il governo dell’isola creato da ciò che rimaneva del Kuomintang, l’amministrazione nazionalista che aveva governato la Cina fino alla rivoluzione comunista e alla vittoria del Partito Comunista. Da quel momento in poi Taiwan venne dunque vista come un alleato fondamentale per il contenimento del comunismo, in Asia e non solo. Il Paraguay del Partito Colorado ha mantenuto quel rapporto fino ad oggi, mentre molti altri paesi hanno via via deciso, negli anni, di spostarsi dalla parte della Cina (l’ultimo a farlo è stato l’Honduras).
Per rafforzare i propri legami con uno dei pochi paesi che gli sono rimasti alleati, Taiwan ha fatto significativi investimenti economici in Paraguay, per la costruzione di case popolari o per migliorare l’istruzione. Negli ultimi tre decenni quasi 700 giovani paraguaiani sono andati a studiare a Taiwan sovvenzionati dal governo, 140 solo lo scorso anno. Negli ultimi tempi, il sostegno di molti paraguaiani nei confronti di Taiwan è però venuto meno, soprattutto durante la pandemia quando la Cina ha fornito vaccini a gran parte dei paesi vicini, ma non al Paraguay causando nel paese parecchie difficoltà.
I due principali candidati alla presidenza hanno espresso posizioni differenti sulle relazioni del loro paese con Taiwan e la Cina. Efraín Alegre ha messo in dubbio il legame con Taiwan e ha parlato della possibilità di stabilire delle relazioni con la Cina: principalmente per ragioni economiche. Il Paraguay è tra i dieci maggiori esportatori mondiali di carne bovina e di soia. Ma la mancanza di relazioni ufficiali con la Cina ha reso molto difficile entrare in quel mercato, che sarebbe invece particolarmente importante proprio per carne e soia. I proprietari terrieri e gli allevatori del Paraguay, nonostante siano tradizionalmente legati al Partito Colorado, spingono per migliorare i rapporti con la Cina.
Santiago Peña ha invece promesso di preservare le relazioni con Taiwan dicendo che quel legame «non ha prezzo, ma è basato su principi e valori». Questa sua chiusura potrebbe fargli perdere consenso anche all’interno del suo elettorato tradizionale.