Libera aiuta i minori che hanno commesso un reato
Il suo progetto Amunì si ispira ai principi della "giustizia riparativa"
Negli ultimi decenni in molti paesi del mondo, e anche in Italia, si parla sempre più spesso di modalità diverse, rispetto al carcere, attraverso cui una persona che ha commesso un reato può estinguerlo. Sono modalità che rientrano nei principi della cosiddetta giustizia riparativa che prevede la partecipazione attiva della vittima, del colpevole e della stessa comunità, facendo sì che la pena non abbia più solo un valore “afflittivo”, cioè che porta limitazioni alla libertà personale, ma appunto “riparativo”, quindi un percorso in cui il colpevole si impegna a rimediare al reato commesso. I percorsi di giustizia riparativa si sviluppano in particolare in Italia all’interno della “messa alla prova”, una misura prevista dal DPR 448 del 1988. Dal 2014 è stata estesa anche al sistema penale degli adulti, seppur con molti limiti. Per i minori la messa alla prova può avere una durata massima di tre anni.
Nel sistema giudiziario italiano, quindi, la cosiddetta “messa alla prova” offre al minore che ha commesso un reato la possibilità di estinguerlo attraverso l’adesione a un progetto educativo che viene elaborato con i servizi minorili della giustizia, evitando così misure più restrittive come il carcere. Su richiesta dell’imputato o del pubblico ministero il giudice può “sospendere il processo” e affidare il minore ai servizi minorili della giustizia che svolgono nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo.
I servizi elaborano poi un percorso educativo legato ai diversi ambiti della sua vita: lo studio, la formazione, il lavoro, lo sport, la socializzazione e le attività di pubblica utilità (come ad esempio quelle di volontariato). Questo percorso è reso possibile non solo dal lavoro dei servizi sociali ma spesso anche dal supporto di altre associazioni con cui i servizi collaborano.
Fra queste c’è anche Libera, associazione di promozione sociale presieduta da don Luigi Ciotti, che dal 1995 si batte per sensibilizzare alla lotta contro le mafie e per la creazione di realtà sociali alternative alla diffusione della criminalità. Libera è una delle organizzazioni senza scopo di lucro a cui si può devolvere il 5 per mille compilando la dichiarazione dei redditi, sostenendo così le sue iniziative (qui come farlo). Fra le numerose iniziative di Libera ce n’è anche una che si chiama “Amunì“, ed è proprio dedicata ai minori a cui è stata concessa la messa alla prova.
Nato nel 2009 per iniziativa di alcuni volontari dell’associazione a Palermo e Trapani, Amunì coinvolge oggi circa 1.500 ragazze e ragazzi in tutta Italia. Spiega Barbara Pucello, referente nazionale per la giustizia minorile di Libera: «”Amunì” è un’esortazione che in dialetto palermitano vuol dire “andiamo”, “diamoci una mossa”. Nella prima fase il progetto prevedeva la partecipazione dei ragazzi e delle ragazze a incontri con i familiari delle vittime di mafia e alla manifestazione del 21 marzo, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie», che si tiene ogni anno dal 1998. Pucello ci ha spiegato che «dal 2012 “Amunì” è poi diventato un progetto più strutturato, in qualche modo trasferibile anche in tutto il resto del territorio nazionale».
Dopo che il giudice ha accettato la messa alla prova, e ne ha stabilito la durata, il minorenne viene affidato ai servizi sociali con cui viene realizzato un progetto personalizzato di “riparazione” del reato. Questo percorso riparativo può essere attivato presso Libera, attraverso appunto “Amunì”. Il progetto è possibile anche grazie a un Protocollo, cioè un accordo, tra il ministero della Giustizia e Libera, che riconosce all’associazione la possibilità di accompagnare i giovani nel periodo di messa alla prova e in percorsi che li aiutino a non commettere più reati. Uno degli scopi di “Amunì”, fissati nel Protocollo, è infatti quello di favorire l’allontanamento dei giovani da modelli sociali cosiddetti “distorti”, cioè dai presupposti che li hanno portati a commettere i reati per i quali sono stati condannati.
Le attività di Amunì non sono pensate per essere svolte da soli, come invece avviene in altri progetti simili di messa alla prova dedicati ai giovani, ma in gruppi. I giovani partecipano a incontri settimanali in cicli da ottobre a giugno. Per Pucello è importante che nei gruppi avvenga «un confronto tra ragazzi e ragazze che parlano gli stessi linguaggi o che hanno avuto esperienze simili». Attualmente i gruppi sono tredici, sparsi in po’ tutta Italia: Palermo, Ragusa, Messina, Napoli, Caserta, Roma, Torino, Milano, Genova, Chiavari, Imperia e La Spezia.
Un’altra caratteristica di “Amunì” è che nei gruppi non ci sono solo i ragazzi e le ragazze, i volontari e gli educatori di Libera, ma anche gli operatori della giustizia minorile, cioè gli assistenti sociali incaricati dal tribunale di seguire i giovani durante il periodo di messa alla prova. Secondo Pucello questo permette che fra «i ragazzi e le ragazze e gli assistenti sociali – che rappresentano lo Stato – si crei un rapporto diverso da quello esclusivamente istituzionale, un rapporto più diretto: cominciano a conoscere diversamente l’adulto e a fidarsi, e quindi anche a confidarsi».
L’attività di Libera con i giovani che devono affrontare la messa alla prova tocca quattro temi principali: la memoria, l’impegno, il viaggio come momento di confronto e la cittadinanza attiva. Alcuni esempi di questo tipo di attività sono gli incontri con i familiari delle vittime della criminalità organizzata, le visite a luoghi simbolo della crudeltà mafiosa, ma anche a spazi recuperati dalla comunità, come i beni confiscati.
Pucello ci ha spiegato che il momento più importante connesso ai viaggi è quello in cui una selezione di giovani dei gruppi partecipa al cosiddetto “campo di impegno e di informazione”, in cui si svolgono una serie di iniziative a ridosso della manifestazione del 21 marzo. Un ulteriore momento di reinserimento sociale è legato alle attività sportive, che hanno una finalità educativa: «Si pratica soprattutto il calcio – ci ha raccontato ancora Pucello – ma le partite si giocano senza arbitro. Si gioca per puro divertimento e chi commette un fallo deve “chiamarlo”, cioè ammettere subito di averlo commesso. E vi assicuro che non è mai successa una rissa in campo». Un altro riscontro positivo è legato alle recidive, cioè al numero dei ragazzi e delle ragazze che tornano a commettere reati: «Anche se non ci sono statistiche ufficiali – ci ha detto Pucello – durante la messa in prova la recidiva è rarissima».