Lo scontro con Disney sta diventando un problema per Ron DeSantis?
L’azienda ha fatto causa al governatore Repubblicano della Florida, che rischia di perdere consensi tra il proprio elettorato
Disney, la più grande azienda dell’intrattenimento al mondo, ha fatto causa mercoledì al governatore della Florida Ron DeSantis, probabile candidato alle primarie Repubblicane per la presidenza degli Stati Uniti. La citazione in giudizio, che definisce alcune scelte dell’amministrazione di DeSantis una «ritorsione politica contro l’azienda», si inserisce in uno scontro fra Disney e il governo della Florida che dura da oltre un anno e su cui DeSantis ha provato a costruirsi l’immagine di “uomo forte” della destra americana. Ora, con l’avanzamento dello scontro per vie legali, per DeSantis questa campagna potrebbe però essere diventata un problema.
La Walt Disney Company è l’azienda privata più influente della Florida e Disney World attira ogni anno decine di milioni di turisti. Dà lavoro direttamente a circa 70.000 dipendenti, ma l’impatto sull’economia dello stato è molto superiore.
Lo scontro tra Disney e il governo della Florida era cominciato lo scorso anno, durante le discussioni per la proposta di legge chiamata informalmente “Don’t say gay” (“non dire gay”), che tra le altre cose proibisce di parlare di orientamento sessuale e di identità di genere nelle scuole. Inizialmente Disney non si era esposta contro la legge, ma dopo aver ricevuto numerose critiche e pressioni dai suoi dipendenti in Florida si era scusata e aveva sospeso le donazioni che devolveva ogni anno ai politici dello stato, di entrambi gli schieramenti politici.
A marzo 2022, dopo la firma della legge da parte di DeSantis, Disney aveva inoltre diffuso un comunicato in cui diceva che il provvedimento «non avrebbe mai dovuto essere votato».
I Repubblicani e DeSantis avevano accusato Disney di «essersi approfittata troppo a lungo» dei privilegi concessi dal governo della Florida, di voler «governare lo stato», oltre che di voler portare avanti un programma di ideologia «woke», parola che definiva l’atteggiamento di chi era particolarmente attento e impegnato contro le ingiustizie sociali ma che oggi ha una connotazione spesso dispregiativa e sarcastica. Per questo, il governo locale aveva minacciato di revocare lo status fiscale speciale di Disney World e poi, nell’aprile del 2022, l’aveva fatto.
Più di recente, attraverso persone di sua fiducia, DeSantis ha preso il controllo del consiglio che gestisce il Reedy Creek Improvement District (da febbraio diventato il Central Florida Tourism Oversight District), uno tra i moltissimi distretti speciali che esistono in Florida e che possono gestire in maniera autonoma il proprio territorio. Fu istituito nel maggio del 1967 per permettere alla Walt Disney Company di costruire un parco di divertimento, Disney World, a sud-ovest di Orlando: per oltre cinquant’anni ha garantito a Disney il controllo del territorio, oltre a sconti fiscali e finanziamenti agevolati per lo sviluppo di servizi e infrastrutture che potessero essere usati anche da tutti i residenti e attirare turisti.
Il nuovo board gestito da persone vicine a DeSantis ha deciso di cancellare un accordo fiscale in atto, provocando l’azione legale di Disney.
Disney ha accusato lo stato della Florida di «ritorsione politica», attuata per punire l’espressione di un’opinione, un diritto difeso dalla Costituzione: «Siamo obbligati a difendere l’azienda contro uno stato che usa il suo potere come un’arma per portare avanti punizioni politiche».
Al di là dei possibili sviluppi legali, lo scontro con Disney rischia di diventare soprattutto una questione politica per il governatore della Florida: DeSantis era appoggiato dalla base Repubblicana nelle prime risposte alle presunte ingerenze dell’azienda nella politica dello stato, ma oggi anche all’interno del partito c’è un crescente timore riguardo a possibili ripercussioni economiche di uno scontro che sta aumentando di intensità.
Disney non è il classico obiettivo facile contro cui scagliarsi, visto da un’ottica conservatrice e Repubblicana, e la lotta alle grandi corporation non è uno dei tratti distintivi tipici dei politici della destra statunitense. DeSantis sta provando a presentare la situazione come una lotta «del popolo contro le aziende woke», ma i critici sostengono sia diventata una guerra personale che rischia di indebolire la sua immagine di politico affidabile in grado di far sviluppare l’economia americana.
Disney ha mostrato in passato di poter sopportare senza particolari contraccolpi critiche e boicottaggi, il suo potere locale in Florida è grande (grazie al gran numero di cittadini che ottengono benefici dalla presenza dei suoi parchi tematici) e la sua influenza culturale e economica su tutti gli Stati Uniti è profonda.
Anche i principali rivali di DeSantis all’interno del partito Repubblicano stanno iniziando a vedere la questione come un possibile fattore di debolezza dell’aspirante candidato alla presidenza. Donald Trump ha parlato dello scontro dicendo che «Disney sta distruggendo DeSantis», Nikki Haley, altra candidata alla presidenza ed ex governatrice del South Carolina, ha scritto su Twitter a Disney: «Il mio stato accoglierebbe volentieri i vostri 70.000 dipendenti se decideste di lasciare la Florida».
Come ha fatto notare fra gli altri il New York Times «sfidare Topolino è un affare pericoloso», tanto più in un periodo in cui le grandi aziende americane sembrano collocarsi su posizioni più progressiste, soprattutto per valutazioni legate all’impatto che queste scelte hanno sulla loro immagine e quindi sui loro affari.
Le grandi corporation americane sono state per decenni più vicine alle posizioni del partito Repubblicano, soprattutto per questioni legate alle tasse e alla regolamentazione del lavoro e dei commerci (i conservatori sono sempre stati forti sostenitori del libero mercato e della sua capacità di autoregolarsi). Negli ultimi anni però sono sempre più spesso entrate in conflitto coi Repubblicani per questioni legate ai diritti civili.
Accadde nel 2018 con la campagna della Nike con protagonista Colin Kaepernick, il quarterback di football americano che era stato il primo ad inginocchiarsi durante l’inno nazionale in protesta contro le violazioni dei diritti degli afroamericani. Trump la attaccò duramente, l’azienda ne ebbe un ritorno d’immagine (ma anche in Borsa) oltremodo positivo. Aziende molto diverse come McDonald’s o la banca Citigroup si schierarono apertamente a favore dei manifestanti dopo l’omicidio di George Floyd da parte di agenti di polizia. Più in generale l’attenzione per le tematiche sociali e per i diritti delle minoranze delle grandi aziende non è mai stata così alta, anche per timore di boicottaggi da parte del pubblico. L’ultimo esempio arriva da Adidas, che ha ritirato nel giro di poche ore una causa avviata contro il movimento Black Lives Matter per un’eccessiva similitudine del suo marchio con le tre strisce del proprio.
Disney, portando lo scontro con il governo della Florida a un livello più alto, sta confermando questa tendenza: le grandi aziende non temono più lo scontro politico sui grandi temi, ma possono talvolta scegliere di sfruttarlo a proprio vantaggio. DeSantis, a sua volta e per un lungo periodo, ha sfruttato lo scontro per consolidarsi con il proprio elettorato di riferimento, ma in un contenzioso prolungato potrebbe vedere i suoi consensi scendere, più che aumentare.